lunedì 28 settembre 2020

17 – LA STRAORDINARIA E DRAMMATICA ESPERIENZA NAZIONALE

Tra il 1980 e l’86 vissi proiettato anche a livello nazionale, per frequentazioni e per essere diventato consigliere nazionale di AC. La battaglia tra la scelta religiosa e quella sociale e popolare. O con me o contro di me. Oppure no. Il grano e la zizzania.

 

Il periodo tra il 1980 e il 1986 lo vissi anche molto proiettato sul livello nazionale dell’Azione Cattolica. Fu una gran bella esperienza e conobbi diverse persone innamorate del Signore, legate fortemente all’Associazione, ma ancor più alla Chiesa. Laici e sacerdoti che misero pezzi più o meno lunghi della loro vita a totale disposizione degli aderenti dell’Azione Cattolica, adulti, giovani, ragazzi.

Per le circostanze ricordate – incontri diocesani con responsabili nazionali, rapporti epistolari, sostegni formativi, frequentazioni – avevo stretto particolari amicizie, tra gli altri, con Dino Boffo, Umberto Folena, Annalisa Aicardi. Si diceva di volere una chiesa attenta alle attese della gente e alle fragilità esistenziali, si cercava di dare fiato ai movimenti d’ambiente, si vaticinava una chiesa più impegnata nel sociale. Forse anche grazie all’età, in quanto esponenti della parte più giovane dell’Azione Cattolica, volevamo dire la nostra e scendere in piazza per problemi scottanti come la disoccupazione, la pace (ricordo la questione degli euromissili del 1983), i diritti umani, la P2; ma il resto dei responsabili nazionali si mostrava molto prudente e, per certi versi, contrario a seguire la nostra impostazione. Si provava insomma a declinare la scelta religiosa anche in termini sociali e di vicinanza alle condizioni reali dell’uomo.

 

Quella fase personalmente non l’ho mai vissuta in contrapposizione all’altro gruppo presente in AC (Alberto Monticone, Rosy Bindi, alcuni della Fuci tra cui Tonini, altri dei Laureati), che consideravo composto da fratelli nella fede e nell’associazione, ma solo come elemento dialettico per far crescere l’Azione Cattolica. Certo, con loro il rapporto era per così dire meno caldo. Ma stimavo queste persone e da loro avevo molto da imparare.

 

Sandro Magister in un’analisi del 1987 sosteneva che la lotta tra questi due gruppi fosse parte di una battaglia di più ampia portata. Diceva infatti “che era passata sostanzialmente inosservata dall’opinione pubblica l’operazione revisionista tentata nella seconda metà degli anni 70 da un settore della segreteria di Stato vaticana che faceva capo al sostituto Giovanni Benelli, dalla segreteria della Conferenza episcopale, ove Luigi Maverna aveva preso il posto dello scomparso Enrico Bartoletti, e dalla stessa presidenza dell’Azione Cattolica, passata in quel periodo a Mario Agnes. L’operazione si proponeva di frenare il declino numerico dell’associazione e di restituirle seguito popolare ripristinandone, in verità con scarsa riuscita, alcuni stili preconciliari. In particolare esigeva che il discusso termine scelta religiosa fosse tramutato in scelta pastorale: formula ritenuta più adatta ad esprimere il ritorno dell’Azione cattolica a una più stretta dipendenza dai dettami della gerarchia ecclesiastica”.

Continuava il vaticanista: “Ma proprio nel 1980 alla testa dell’Azione cattolica si ha un avvicendamento che contrasta questa tendenza: ad Agnes succede Alberto Monticone, professore di storia moderna all’università di Roma, sostenitore inflessibile della scelta religiosa. Parallelamente, al vertice della Conferenza episcopale si delinea e si impone un gruppo dirigente di profilo marcatamente conciliare”.

Magister affermava anche che l’obiettivo del gruppo che si contrapponeva a Monticone, in vista dell’assemblea nazionale del 1986 era quello di conquistare la maggioranza del direttivo dell’associazione e di aggiudicarsi, di conseguenza, la presidenza dell’organismo. “Il traguardo sembrava a portata di mano perché, dei 52 consiglieri nazionali dell’Azione Cattolica in carica dal congresso di tre anni prima, solo poco più della metà erano assegnabili con sicurezza alla linea di scelta religiosa sostenuta dal presidente. Gli altri, per quanto privi di un compiuto progetto alternativo, erano invece portatori di quella spinta revisionista, di stampo sociale e popolare, che abbiamo già visto all’opera, con scarso esito, nella seconda metà degli anni 70 durante la presidenza di Mario Agnes”.

 

Non saprei dire se quell’analisi fosse valida.

Ricordo però alcune cose: la trasformazione lessicale avvenne e dal 1977 si cominciò a parlare di scelta pastorale. Penso anche che una parte dell’associazione, dopo la presidenza Agnes, avrebbe auspicato una presidenza Boffo; e forse lo stesso Dino vi puntava. Io ero molto giovane e quelle grandi battaglie, se mai vi furono realmente, non le percepivo in tutta la loro drammaticità. Pur essendo maggiormente in sintonia con un certo gruppo di consiglieri, non sarei mai stato disponibile a rinnegare la scelta religiosa, magari ponendola a servizio di un’opera di revisione conservatrice. Molto più semplicemente ritenevo, ed altri con me, che taluni dei fan della scelta religiosa ne dessero una lettura troppo riduttiva e pertanto inefficace dinanzi al fenomeno sempre più evidente del secolarismo.

 

Mi convinceva peraltro la lettura di quella scelta sulla linea di una maggiore indipendenza dell’AC rispetto alla politica democristiana, che lasciasse ai laici una certa autonomia nell’azione sociale e politica, sostenuta dai monticoniani. Fui colpito quando Alberto Monticone, nella replica all’assemblea nazionale del 1986, lesse due pagine del Concilio Vaticano Il: la prima sulla dignità della coscienza morale, la seconda sull’eccellenza della libertà, entrambe assunte come mediazione tra l’amore filiale dell’Azione Cattolica per la Chiesa e il suo contemporaneo amore fraterno verso questo tempo, questo popolo, questo paese. Forse alcuni rabbrividirono e ne ravvisarono una sfida rivolta addirittura a Giovanni Paolo II. La pensava così Mario Agnes che sull’Osservatore Romano bollò come inconcepibile, sconcertante, inammissibile la polemica antipapale e la pensavano nello stesso modo le cronache di quei simpaticoni di Comunione e Liberazione che la derubricarono in “il Concilio tirato in faccia al Papa”. Io non la pensavo così.


Quanto detto finora riguardava le impostazioni ecclesiali e pastorali che tendevano a farsi strada nella Chiesa di quel periodo, ed erano tutte posizioni legittime.

Ma non c’era solo questo. C’erano gli uomini.

Io sono sempre stato un uomo libero e mi sono trovato a mio agio con altri uomini liberi. Liberi da costrizioni esterne, ma anche interne come la vanità e il potere. Per questo non sopportavo, anzi soffrivo, dentro l’AC gli atteggiamenti di chi – da una parte e dall’altra – pretendeva obbedienza di gruppo preconcetta e di coloro che dietro discorsi roboanti o mistici nascondevano una evidente smania di potere. Non sopportavo chi sparlava degli altri. Quanto è saggio oggi Papa Francesco quando dice: “quelli che in una comunità fanno chiacchiere sui fratelli, sui membri della comunità, vogliono uccidere”.

L’affermazione del Papa mi fa tornare alla mente cosa pensavo allora dinanzi alle polemiche malevole, alle organizzazioni para-militari degli uni contro gli altri, della evidente sete di potere di alcuni. Mi faceva venire alla mente quanto mi disse un autorevolissimo personaggio della nostra Chiesa diocesana quando gli chiesi consiglio su un mio impegno nazionale (che mi fu chiesto a cavallo tra il 1980 e l’81): “Stai attento, Stefano. A Roma o ammazzi o ti ammazzano, anche in ambito ecclesiale – ecclesiastico”. L’espressione era figurata, ma molto chiara.

Questi modi di fare non facevano per me. Non faranno per me neppure in seguito, ad esempio in campo politico. Questo stile l’ho sempre pagato in termini di potere. Ma non ci posso fare nulla, è più forte di me. È nella mia natura, non faccio nessuno sforzo, non ne ho alcun merito, se è una cosa di cui vantarsi. Debbo, anzi, dire di guardare con curiosità quanti per raggiungere i fini che si sono proposti sono disposti ad usare tutti i m
ezzi, anche quelli che strumentalizzano le persone o addirittura gli mettono i piedi sopra. Dimostrano indubbiamente carattere.

Per la verità, non era proprio in questi ultimi termini la situazione dell’associazione nazionale a metà anni ’80, ma l’aria si era fatta molto pesante, allora tana libera tutti.

 

Alcuni di noi, tra cui il sottoscritto, rientrarono alle proprie basi associative a vivere la vita di tutti i santi giorni, qualcuno fece scelte di consacrazione radicale, altri si misero sulla scia della nuova stella episcopale nascente, Camillo Ruini, dal giugno 1986 segretario della Conferenza episcopale italiana; altri ancora cercarono fortuna in politica, altri si collocarono nel quotidiano Avvenire o nella Rai. È la vita, bellezza.



 

Incontro con il Santo Padre Giovanni Paolo II, insieme all'assistente nazionale Fiorino Tagliaferri e i delegati all'Assemblea nazionale del 1983

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