venerdì 18 settembre 2020

15 – PIEGARE LA POSTURA DELL’ASSOCIAZIONE VERSO L’ESTERNO DEL TEMPIO

La formidabile spinta del Vescovo Giovanni D’Ascenzi e di altri dirigenti nazionali, affinché l’AC si impegnasse nel sociale. La mia esperienza diocesana si chiuse a febbraio del 1986

Molto importante fu l’Assemblea diocesana del 5-6 marzo 1983 che si svolse a Triana. Il titolo scelto per quell’assise, L’Azione Cattolica: scuola di laicità per il servizio nella chiesa locale e per l’animazione cristiana della società, era tutto un programma, come si suol dire. Il vescovo diocesano, Mons. Giovanni D’Ascenzi, espresse il suo “grande interesse” e la “viva simpatia” per quell’iniziativa e ci accompagnò con la preghiera e la sua presenza. Anzi, colse l’occasione – in una lettera inviata al clero e ai religiosi – “per dire l’ammirazione e la gratitudine a questi laici che hanno capito il loro ruolo nella Chiesa, nella nostra Chiesa, cercano di approfondirlo con coscienza matura e rendono un servizio di formazione e di azione veramente encomiabili”. Cito le sue parole, non per ricordare che ci diceva bravi (sarebbe stupido), ma per segnalare che  Il giorno e mezzo di lavori fu intenso, accompagnato da sei corpose tesi pre-elaborate dalla Presidenza diocesana su lavoro, scuola, cultura, famiglia, terza età, formazione dei responsabili associativi ed impreziosito dalla presenza di Dino e Marisa Biancardi, responsabili nazionali dell’Ufficio Famiglia dell’Azione Cattolica. Anch’io, come solito, feci una corposa relazione e, negli ultimi paragrafi mi rivolgevo ai nuovi responsabili – dei quali ritenevo di non dover fare più parte – invitandoli ad “una più intensa preghiera personale e comunitaria” e ad “uno studio più approfondito delle scelte di fondo e di metodo dell’associazione”. Ne emerse un buon Consiglio diocesano ed una buona Presidenza. Purtroppo, mi ritrovai presidente e, ad essere sincero, non ricordo neppure perché. Forse perché, come accade di frequente, nessun altro era disponibile. I 16 presidenti parrocchiali (con la novità Pomonte, presidente Quinto Merli) per due terzi erano gli stessi del precedente triennio (Pitigliano, Semproniano, Magliano, Murci, Giglio Castello, Giglio Porto, Orbetello, Torba-Giardino, Poggioferro, Vallerona) e, per un terzo, new entry: Piero Burattini a Castell’Azzara, Bonato Pellegrino a Fonteblanda, Angelo Landini a P.S. Stefano, Rosanna Balestri a Scansano, Giorgia Bianchini a Montorgiali.

Come si dice: tradizione e novità. Nel 1984 ero consigliere nazionale e riuscii a far venire in diocesi alcuni responsabili di quel livello: il 25 marzo la segretaria nazionale Luisa Prodi per un incontro diocesano del MSAC; il 12 maggio ricordo una giornata di studio del consiglio diocesano con Scialpi; il 27 maggio un incontro diocesano per responsabili ACR con il rappresentante nazionale Antonio Tombolini. Sempre nello stesso anno, il 25 novembre, si tenne a Valentano un’Assemblea diocesana non elettiva, alla quale invitammo la delegata regionale adulti, Neda Dringoli che ci intrattenne su “L’AC con la chiesa diocesana, verso ed oltre il convegno: riconciliazione cristiana e comunità degli uomini”, tema allora di stretta attualità, visto che di lì a poco sarebbe stato celebrato il secondo convegno nazione della chiesa italiana a Loreto. In quel triennio – oltre alle altre cose che avevamo sempre pensato e fatto – sentimmo in particolare l’esigenza di proiettare l’associazione verso il mondo. 

Era il TERZO TEMPO. Lo facemmo forti dell’affermazione conciliare della Lumen gentium 31, là dove si dice che i laici cristiani cercano il regno di Dio trattando le cose temporali ordinandole secondo Dio e senza dimenticare quanto già detto da Paolo VI nella Evangelii nuntiandi al n. 70: “il compito primario e immediato dei laici non è l’istituzione e lo sviluppo della comunità ecclesiale – che è il ruolo specifico dei Pastori – ma è la messa in atto di tutte le possibilità cristiane ed evangeliche nascoste, ma già presenti e operanti nelle realtà del mondo”. Per questo ci fu naturale spingere per far maturare nella comunità ecclesiale la coscienza di essere collocata in un territorio del quale farsi carico. Con lo stile e i mezzi propri della comunità cristiana, in una linea di chiesa aperta, ma senza dimenticanze o zone franche e partendo dagli ultimi, come ci ricordavano i vescovi illuminati di quel periodo. Cercammo di farlo sulla linea della lettera A Diogneto, libretto di poco posteriore agli apostoli (che ci piaceva leggere e citare): “I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. Infatti, non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale. Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale”. Era il metodo di vita sociale mirabile e paradossale che avevamo in mente per noi e per la comunità ecclesiale. Non altro. 

Ci riuscimmo, non ci riuscimmo…ai posteri l’ardua sentenza. La postura più piegata verso l’esterno del tempio comportava serietà nei comportamenti, trasparenza, limpidezza, specie nel rapporto con il sociale e la politica. Noi, provvidenzialmente, quella questione l’avevamo risolta e le eravamo rimasti fedeli. La scelta religiosa, all’origine di tutto, ci rendeva liberi e nello stesso tempo ci responsabilizzava. Se non si offriva più una delega esplicita ad essere rappresentati politicamente da un partito o magari da un’organizzazione sindacale, allora era necessario uscire dal tempio, andare in piazza. E fu quello che provammo a fare. Con la strategia per la vita, come già detto e prendendo a cuore e di petto questioni che toccavano da vicino la pelle della gente. La mia esperienza diocesana si chiuse con l’Assemblea diocesana del 15-16 febbraio 1986 che si tenne nel seminario di Pitigliano. Il titolo scelto fu, ACI: associazione di laici per la missione della Chiesa in diocesi. Altri presero il testimone della buona battaglia e condussero avanti con coraggio e speranza un’associazione senza la quale la Chiesa tutta ed anche quella diocesana sarebbero state sicuramente più povere.


Convegno del marzo 1982 voluto dal Vescovo Giovanni D'Ascenzi per scuotere la coscienza sociale dei cattolici della diocesi.

Membri della nuova Presidenza diocesana (triennio 1986-1989) Il Presidente diocesano Augusto Ronca, il segretario Geremia D'Olimpio, la responsabile ACR Monica Renzi e gli assistenti Don Lido Lodolini e don Sandro Lusini.

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