venerdì 23 aprile 2021

POST 27 – LA MIA RELAZIONE AL XVII CONGRESSO PROVINCIALE DC DEL 4 FEBBRAIO 1990: O SI CAMBIA O SI MUORE

 Il XVII Congresso provinciale della DC era convocato per il 3-4 febbraio 1990. Io mi recai a Grosseto solo il 4 mattina. Era la prima volta che mettevo piede in un congresso di partito, con i suoi riti e i suoi re. Due cose mi colpirono in modo negativo. La quasi nulla attenzione che la maggior parte delle persone rivolgeva agli interventi dei delegati di base, accompagnata dal fastidiosissimo chiacchiericcio proveniente dalla zona antistante la sala congressuale, colma di persone. Il silenzio calava solo quando intervenivano i big. E la stampa, che si comportava nello stesso modo seguendo appunto gli interventi di 3 o 4 big, senza minimamente domandarsi se mai potesse venire qualcosa di nuovo e di raccontabile da parte degli altri delegati. Da parte mia, seguii tutti gli interventi con curiosità e per il rispetto che si doveva ad ogni persona, tanto più se militante territoriale. E ne trassi beneficio.

Comunque il ballo era iniziato e bisognava danzare. Dopo il saluto degli altri partiti (sicuramente Bonsanti per il PCI, mi sembra Giunta per il PRI e altri) e l’intervento di Alessandro Andrei, toccò a me, senza camicia e cravatta a differenza degli altri candidati. Non ero a dorso nudo, naturalmente, ma con un maglioncino nero. Ricordo di essermi avviato verso il palco, per l’intervento, assai emozionato. Non ero disabituato ad intervenire in pubblico e questo mi aiutava, ma la prima volta in un congresso provinciale di partito e oltretutto da candidato alla segreteria provinciale era roba.

• Consapevole di ciò ed anche in segno di rispetto per i presenti, avevo trascorso tre giorni pieni a preparare l’intervento. Era scritto, proprio per essere preciso e non divagare troppo, cosa che ho sempre rispettato anche in seguito nei momenti più importanti. Motivo per cui posseggo ancora oggi i testi di quasi tutte le mie relazioni. L’elaborato (rintracciabile per intero al seguente link: https://docs.google.com/document/d/1hbpd_xCvVOjh42926KrFpEOJpr-vVqab/edit )

nella prima parte riguardava una breve analisi della situazione nazionale così articolata: la situazione del Paese, il nostro elettorato, il mondo cattolico, la questione comunista, l’evoluzione del sistema politico. D’altronde ero laureato in scienze politiche, perbacco! La seconda consisteva nella nostra risposta, ossia la nostra linea politica, che doveva essere innovativa rispetto al passato e tutta giocata sull’asse vecchio/nuovo, cambiamento/conservazione con al centro la questione morale. Poi: i nostri alleati, una particolare attenzione alla costituente proposta dal PCI. Per questa politica nuova vi era bisogno di un partito profondamente rinnovato.

 

• Ma andiamo con ordine, saltando un po’ qua un po’ là su quel mio intervento.

RIGUARDO AL MONDO CATTOLICO dicevo che esso “chiede sempre maggiore limpidezza sulla questione morale, da recuperare nei comportamenti della classe politica, nella riforma delle regole ormai invecchiate, nell’attenzione da rivolgere verso nuove questioni quali l’ecologia, la bioetica e nei riguardi di tutte le forme di povertà del nostro tempo.

La stessa unità politica dei cattolici – continuavo – sta mutando di segno, essendo sempre meno unità partitica e sempre più unità sulle questioni di fondo della nostra epoca, soprattutto per aggredire quelle che sono state autorevolmente chiamate le strutture di peccato”.

“Caro Andrei –affermavo diretto – i cattolici sono da tempo vaccinati per non lasciarsi abbindolare dalle citazioni di Sacra Scrittura usate come paravento per coprire il vuoto progettuale (e Alessandro vi si era riferito). Sono, anzi, stufi e indispettiti del fatto che si parli di loro ritualmente nelle sedi ufficiali e demagogicamente in campagna elettorale.

Provo un senso di fastidio per le citazioni bibliche inserite in discorsi politici, ma se proprio se ne desidera una, proporrei l’apertura del profeta Isaia: ‘Mi ripugnano le vostre celebrazioni: per me sono un peso e non riesco più a sopportarle. Anche se fate preghiere che durano a lungo, io non le ascolto, perché le vostre mani sono piene di sangue. Lavatevi, purificatevi; basta con i vostri crimini. È ora di smetterla di fare il male, imparate a fare il bene, cercate la giustizia, aiutate gli oppressi, proteggete gli orfani e difendete le vedove (Is. 1,14-1).

Anche il consenso cattolico sta per sdoganarsi nei riguardi della costituente ipotizzata dal PCI, in misura maggiore di quanto è già accaduto per il PSI. E questo perché la questione del voto non è più posta in termini di passaggio da una appartenenza ad un’altra, ma di semplice trasferimento in questa fase politica sulla base di obiettivi programmatici laicamente accettati”.

 

• Vedevo, poi, la necessità di UNA FORZA POLITICA PROFONDAMENTE E RADICALMENTE RINNOVATA. Dicevo, infatti, che “risposte corrette, sollecitazioni positive alla realtà sociale caratterizzata da ombre e luci rese opache dalla nostalgia di senso; risposte alla rinnovata sensibilità del mondo cattolico, all’affascinante sfida lanciata dal PCI e ad uno scenario politico ed elettorale in mutamento” (era tutta la prima parte dell’intervento) non potevano “certo giungere da un partito moderato, sclerotico, ciecamente pragmatico, da un partito burocratico come è sembrato quello emerso dalla relazione di Andrei”.

Provenivano invece “solo da una forza in grado di elaborare quella che potrebbe essere chiamata una politica alta e popolare, una politica progettuale. Lo stesso nuovo ciclo di sviluppo che si è aperto è nei suoi caratteri assai complesso e non può essere, quindi, affrontato con una pura gestione dell’esistente, affidandosi a dinamiche spontanee che rischierebbero, oggi, di essere distorcenti. Un partito adempie al suo ruolo se sa essere lungimirante, se riesce a costruire e interpretare non solo la società di oggi, ma anche quella di domani”.

“Ecco perché – aggiungevo – dobbiamo non tanto continuare le interminabili mediazioni, ma creare nella politica quella divisione tra vecchio e nuovo che tra la gente esiste. Anche se nella politica la mediazione è determinante, la politica non è mediazione! Non le mediazioni, né il silenzio oggi fanno per noi, ma la proposta e l’iniziativa che rendano decifrabile tra la gente l’idea democratico – cristiana: ecco cosa ci serve!”.

“Discriminante e, allora, non negoziabile” diventava “la divisione – anche al nostro interno – tra chi ha voglia di cambiare, voglia di trasparenza, di far vincere la politica dei valori e chi, invece, piega ogni scelta al tentativo di garantirsi tranquillità nella gestione del potere, nella conservazione dei propri consensi. Nel nostro partito, invece, così come viene gestito, tutto sembra giocarsi su chi dovrà ricoprire la presidenza della Banca X, sedersi in Consiglio Regionale, guidare la Camera di Commercio e via dicendo. Determinante è invece per noi la valorizzazione dei movimenti civili e imperativo morale ascoltare e accogliere la gente, rendere il cittadino arbitro, lottare contro tutte le mafie, in sostanza mettere al centro del discorso politico la questione morale”.

 

• Circa GLI ALLEATI la mia proposta era netta.

Mi domandavo, appunto, “con chi risolvere questi problemi, ovvero quale politica delle alleanze portare avanti?”. E aggiungevo: “come posso suonare un notturno con un flauto fatto di vecchie grondaie” (V.V. Majakovskij). “Cioè, sono strette le brache della vecchia politica, c’è poco da suonare su questo vecchio spartito. C’è poco da aspettarsi dalle vecchie mentalità e dai modi arcaici di ipotizzare alleanze, presenti anche al nostro interno e filo conduttore della relazione del Segretario uscente. Voglio dire che è morto e sepolto il tempo delle politiche di schieramento, degli steccati manichei che precludono il dialogo, dove le ragioni della maggioranza talvolta impediscono di vedere i reali problemi della gente (e questo riguardava anche la sinistra DC, dico oggi e lo pensavo allora). Ma la soluzione non sta nelle ambigue forme di convergenze programmatiche che in sostanza sono la copertura della vecchia politica di schieramento”.

“Mi sembra di poter intravedere, pur nelle contraddizioni che marcano l’attuale situazione di forte transizione politica, un orizzonte più disteso nel quale vi potrà essere la possibilità di collaborare con tutti coloro che saranno realmente intenzionati a far emergere il nuovo, inteso in modo non integralista né manicheo. Penso che sia, allora, necessaria – rifacendomi a Sturzo – la riscoperta di un sano municipalismo, nel quale le alleanze si costituiscono sui reali bisogni della gente e si fanno con chi si mette dalla parte del nuovo. Ad una linea politica nella quale le alleanze non dipendono dagli ordini romani e neppure dalla rigida strategia dei Comitati e delle Federazioni Provinciali che, spesso solo per interessi personali o di gruppo, imbracano e impacchettano i destini delle diverse zone della provincia e dei singoli comuni. Ben altro dovrebbe essere il ruolo del livello provinciale del partito, ben altro il suo spazio di raccordo, da realizzare in un modo di intendere i rapporti centro-periferia inseriti in una dinamica circolare e non piramidale e nel quale siano le realtà locali e zonali, con i loro problemi e le loro istanze, a diventare centro del processo”.

 

“E non mi si venga a dire – aggiungevo – che questo non è avere una linea politica, perché chi pensa così ha una visione ancorata al vecchio e pretende di guardare in avanti con la testa rivolta all’indietro. Ripeto, infatti, se qualcuno si ostinasse a fare orecchi da mercante, che il ciclo politico iniziato nel 1948 e caratterizzato da alleanze basate su formule politiche si è definitivamente concluso. E una linea politica nuova non consiste nell’aprire le porte agli uni e precluderle agli altri, nell’ipotizzare schieramenti precostituiti, caso mai, su questioni astratte e di poco conto per la gente dei nostri centri o, peggio ancora, per esclusive ambizioni di potere.

Una linea politica che si muove verso la fine del millennio e che prende atto di quanto è avvenuto a livello interno e internazionale e che voglia rappresentare la speranza per giovani indifferenti alle alchimie politiche e disgustati dalla gestione chiusa del potere, può solo consistere, a mio modo di vedere, nella difesa dei valori fondamentali della persona e della libera convivenza sociale, nell’inseguimento dell’equità e della giustizia e nella conseguente individuazione dei problemi, degli obiettivi e nella indicazione delle linee di soluzione e negli strumenti per tradurli in azione. Sono le idee e le azioni concrete che debbono riprendere il primato all’interno del partito e nel rapporto con gli altri partiti e la gente. È la politica dei diritti dell’uomo, della democrazia come regola di vita, della costituzione realizzata, la nostra linea politica”.

 

• Infine, IL PARTITO.

“Per realizzare l’ambizioso obiettivo della costruzione di una politica nuova abbiamo bisogno di un partito profondamente rinnovato. Rinnovato nei metodi di selezione della classe dirigente, nell’idealità e nella cultura di quest’ultima, nella sua capacità di leggere il nuovo e di governare il cambiamento. E rinnovato anche nella forma partito ormai giunta al capolinea, incapace come è di farsi carico dei mondi vitali e di essere un utile strumento della partecipazione della società civile alla costruzione del proprio futuro”.

Nelle considerazioni conclusive, oltre a chiedere i consensi per la mia elezione, dichiaravo la disponibilità a ritirare la mia candidatura per favorire una vera unità interna, con queste parole: “L’unità interna, a mio parere, si ottiene solo dividendo il nuovo dal vecchio in un orizzonte di chiarezza. Il resto è palude e non ci interessa”. Amen!

 

Ricevetti diversi applausi, poi complimenti e inviti ad andare avanti anche da parte di coloro che non avrebbero potuto votare per me, essendo portatori di pacchetti di voti precongressuali già confezionati. Ma in un pranzo di corrente (forse allargato a qualcun altro) fu deciso il ritiro della mia candidatura, con mio sollievo e sollievo anche da parte di chi mi aveva presentato.

I sinistri strateghi potevano così giocare (come si faceva nei congressi) a fare qualche accordo con altri (nello specifico il gruppo Simoncioli) al fine di ottenere o togliere a qualche lista uno o due membri del comitato provinciale (pensa un po’). O, se non ricordo male, a tentare il superamento della candidatura Andrei, in nome dell’unità del partito, con quella di Bellettini.

Quest’ultimo tentativo durò lo spazio di qualche ora, poi tramontò. Il primo invece condusse ad eleggere Nilvo Terramoccia a svantaggio di un componente della lista di Alfonso Brogi, il quale andò su tutte le furie. Cosucce democristiane. Ma quelli erano i congressi DC.

Il risultato finale per l’elezione del segretario tra i due contendenti rimasti in lista, Andrei e Fatarella, vide vittorioso il primo con il 58,59% rispetto al secondo con il 41,41% sul quale erano evidentemente confluiti i voti della cosiddetta sinistra.

 

I quotidiani locali di allora (Il Tirreno e La Nazione) mi dipinsero come il Leoluca Orlando della Maremma. È nata una stella” commentò il generoso Giuliano Carli (La Nazione, 5 febbraio 1990). “Di sicuro c’è – continuava il corrispondente S. Mannino – che la sinistra DC ha trovato il suo Leoluca Orlando: l’uomo del mondo cattolico, molto critico nei confronti dei vecchi schemi democristiani, più legato ai movimenti che al partito tradizionale. Il discorso di Gentili è stato tutto giocato sulla contrapposizione tra vecchio e nuovo. Andrei, la sua gestione, la prospettiva che offre sono il vecchio, un partito moderato e sclerotico”.

 

Terminato il congresso per me, di fatto, ebbe a concludersi anche l’impegno partitico.

Per un po’ seguii le vicende della DC provinciale ma nulla mutava e niente si muoveva. I frequentatori di via Adriatico sembravano gli ignari passeggeri di un transatlantico prossimo al naufragio. Ed io mi ritirai a Pitigliano a fare il consigliere comunale di minoranza e nelle attività di formazione politica come detto nei post precedenti.

Continuavano però, anzi si accrebbero, le relazioni personali con alcuni amici di Grosseto e di altre aree della provincia, compresa qualche nuova frequentazione al nord. Grazie a questi colloqui maturò sempre più forte la volontà di muoversi in maniera ancora più radicale.

La qual cosa condusse ad aprire altri cantieri, insieme a vecchi e nuovi amici.


1990 - Stefano, Rossella, Giovanni al battesimo di Lucia


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