lunedì 10 gennaio 2022

POST 68 – IL TORMENTONE DELL’INTERPORTO DI BRACCAGNI

Dovetti dedicare tempo prezioso ad una vicenda che non aveva prospettive. Presentato come l’ennesimo treno da non perdere, si concluse in un autentico flop

Nella vita, tanto più in quella politico-amministrativa, talvolta si è costretti a percorrere strade che si pensa non giungano a niente. Non per accondiscendenza, populismo o falsità, ma perché in tutta onestà si presume che altri (la gente o i corpi intermedi) possano avere una vista più lunga della tua. Inquadro in questa categoria la vicenda dell’Interporto di Braccagni.

A metà ’97 (ma il battage era iniziato prima), promosso dai responsabili della Confartigianato e fatto planare da alcuni interventi sul quotidiano Il Tirreno, prese il via il solito tormentone maremmano: vogliamo l’Interporto! “L’interporto vale 2500 posti. Tanti ne sono previsti se il progetto proposto dagli artigiani decollerà. Donati denuncia intralci burocratici che rischiano di fare perdere alla maremma l’ennesimo treno” (Il Tirreno, 9.5.1997). A me la cosa non convinceva affatto. E con me non convinceva neppure altri interlocutori associativi: Renzo Alessandri, direttore della Cna e Giovanni Tamburro, direttore dell’Associazione Industriali di Grosseto. E anche la Camera di Commercio era divisa al suo interno. “Interporto perplessità e speranze. I tanti dubbi di Cna e Assoindustriali. La Camera di Commercio è favorevole a patto che tutti siano coinvolti, Regione compresa” (Il Tirreno, 10.5.1997).

Perché non mi convinceva? Per le nostre debolezze. La nostra provincia era ancora marginale rispetto ai flussi di interscambio merci che caratterizzavano la regione e la nostra economia locale non aveva una forte base industriale consolidata. Pertanto non era in grado di esprimere elevati volumi di traffico. Inoltre, eravamo in presenza di inadeguate infrastrutture stradali e ferroviarie e carenti di efficienti strutture per la movimentazione, lo stoccaggio e il consolidamento delle merci. Infine, la zona di Braccagni non trovandosi nell’obiettivo 2 della normativa europea, non poteva beneficiare di finanziamenti a fondo perduto o con agevolazioni particolarmente vantaggiose.

• Nonostante le forti perplessità che io e i miei stretti collaboratori avevamo, non mi tirai indietro. Anzi, ribadii che la Provincia aveva “per prima proposto l’Interporto e noi avevamo riconfermato quella scelta (più modesta di un centro intermodale) nella prima Conferenza sul Piano Territoriale di Coordinamento”. Invitai, peraltro, ad essere “molto prudenti nel dire cose che poi rischiano di creare illusioni” (Il Tirreno, 10.5.1997). Stavo, da due anni, lavorando sul Patto territoriale per lo sviluppo della maremma grossetana e toccavo con mano quanta dedizione, fatica, competenza, silenzio operativo, capacità di tessere le giuste relazioni, coinvolgimento di tanti attori erano necessarie per puntare a raggiungere il traguardo (che allora intravedevamo ancora lontano). Ma tant’è. Tra l’altro, il presidente della Camera di Commercio, Eliseo Martelli, non trovò altro che polemizzare col sottoscritto perché dissi che lo studio sulla fattibilità dell’opera, che loro avevano già pensato di assegnare alla Sgl Logistica, non poteva essere a carico degli enti pubblici. E se l’associazione camerale voleva farlo, se lo doveva pure pagare (Il Tirreno, 16.05.1997).

Per quanto mi riguardava, in un intervento alla Conferenza regionale dei trasporti (nel gruppo sull’intermodalità) del 20 giugno 1997, dapprima criticai fortemente il dott. Casini, coordinatore del bacino logistico centro-nord delle ferrovie dello stato, che aveva parlato di potenziamenti dell’asse ferroviario fuorché in una zona della Toscana, quella grossetana e gli dissi che avrei gradito “conoscere le motivazioni di questo disinteresse per la logistica di una zona della Regione che potrebbe invece utilmente collocarsi tra l’Interporto di Guasticce e Civitavecchia. A meno che non si voglia sostenere che la Maremma non fa più parte del centro, ma del Sud (e allora esulerebbe dalle sue competenze di coordinatore)”. Poi aggiunsi: “Prendo atto della volontà della Regione di puntare al potenziamento o alla completa realizzazione dei due Interporti di Livorno-Guasticce e Prato-Gonfienti. Forte, però, di quanto indicato nel Piano di Indirizzo Territoriale regionale, dove si parla della possibilità di previsione di centri intermodali e scali merci, comunico che in sintonia con la Camera di Commercio, il Comune capoluogo e il mondo associazionistico grossetano, stiamo lavorando per verificare la fattibilità di un centro intermodale collocato in Maremma. Ciò in ragione della presenza di una importante T di tipo stradale (Aurelia e Due Mari) e di tipo ferroviario (specie se si tendesse a potenziare la linea trasversale). Vorrei, pertanto, comprendere se la Regione Toscana condivide la nostra volontà di lavorare in tal senso. Noi lo stiamo facendo con senso di realismo, senza pensare ad inutili concorrenze, ma ad un sistema integrato e perseguendo quella logica di spesa che punta alla conclusione delle opere intraprese”. Non ebbi risposte, né in quella sede, né dopo.

• Quando adottammo il PTC, il 7 aprile 1999, mantenemmo la previsione di un centro intermodale (non un interporto) e trovammo pure il finanziamento per lo studio di fattibilità nel Fondo di sviluppo del Monte dei Paschi di Siena, da me presieduto, per un importo di 89 milioni di lire. Fu effettuato quel magno studio che al punto 1.4. recitava: “Considerato quanto sopra, l’iniziativa imprenditoriale relativa alla realizzazione di un Centro Intermodale al momento non si giustifica”. Amen!

Più che una vista più lunga, quella dell’interporto fu una svista clamorosa.







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