domenica 6 dicembre 2020

POST 19 – IL MILITARE DA MISSILONE

La chiamata, il Car a Taranto, la Scuola di guerra aerea di Firenze. Tempo perso? Forse non del tutto. Le belle amicizie.

L’esistenza umana, com’è noto, ha delle improvvise accelerazioni che quasi ti stordiscono e le cose che erano rimaste sospese, improvvisamente, si realizzano. Fu così per me nella prima metà abbondante degli anni ’80, gli anni di Craxi e De Mita e dell’Italia rampante.

Ho già detto che avevo portato a compimento gli studi universitari, ma prima della loro conclusione ricevetti la chiamata, non quella divina, quella militare.

Avevo quasi 25 anni e pensare di dover trascorrere 12 mesi dentro una caserma o giù di lì, insieme a frullacchiotti diciottenni provenienti da chissà dove, non mi entusiasmava affatto. Ma tant’è. Rimasi anche sorpreso dal fatto che mi avesse chiamato l’aeronautica militare e non ricordo se durante la visita di leva a 18 anni avessi espresso quella preferenza. Forse sì.

Detti in fretta il penultimo esame e presentai istanza per poter essere inviato nella caserma dell’aeronautica più vicina alla sede universitaria; era infatti possibile quella soluzione per gli studenti che dovevano sostenere un massimo di due esami e la tesi (ed a me di esame ne mancava solo uno). Giunto a casa, appresi che per il famoso C.A.R. (centro addestramento reclute) di circa un mese, mi sarei dovuto recare a Taranto. Taranto? E sti cavoli!

Un mese dopo (intorno al 20 ottobre), con il treno Orvieto-Roma e Roma-Taranto, via Battipaglia, mi recai al Saram di Taranto. Pochi chilometri prima dell’arrivo mi sembrava di essere giunto in Africa: sabbia, dune, piantagioni basse e rade. Sceso dal treno chiesi indicazioni e feci una bella camminata per giungere alla caserma. Primi incontri di rito, destinazione dell’alloggio (camerata con una ventina di brande), consegna dell’abbigliamento: giacca, pantaloni, cravatta, cappotto, camicia, scarpe e copri scarpe, tuta, borsone, bustina (cappello), biancheria, sapone in pomata, spazzola per scarpe e ceretta nera.

Iniziò così l’avventura dell’aviere Stefano Gentili. O meglio, del missile o missilone (come ci chiamavamo scherzandoci sopra) Stefano Gentili. Ricordo esercitazioni, alza bandiera, brande, comandi e poco altro. Ci stetti 25 giorni e mi sembrava di essere entrato in un mondo di matti. Quel periodo fu allietato dalla venuta dei miei genitori e Rossella il giorno del giuramento. Il primo giuramento laico della mia vita, per il secondo sarebbero trascorsi 13 anni, da presidente della Provincia.

A fine Car ebbi la destinazione sperata, Firenze, sede della mia università; per la precisione, alla Scuola di Guerra Aerea ubicata all’interno del parco delle cascine. L’immediata collocazione fu tra il gruppo autisti e in seguito mi assegnarono anche un giornaliero lavoro d’ufficio (disbrigo patenti e altro). Lavavo le auto e guidavo auto, pulmini e pullman dentro Firenze o dove c’era da andare.  Questo mi permise di uscire dalla leva con una patente di guida corrispondente alla D civile. Girare con il pullman dentro Firenze, anche se in zone riservate al traffico dei mezzi speciali, fu un’esperienza inizialmente ardua, poi vissuta con grande scioltezza.

Noi autisti facevamo poche marce, ma alcune furono veramente memorabili. La ricordo una, se non sbaglio fatta eseguire (o addirittura guidata) dal generale di Brigata, Stelio Nardini, in seguito anche capo di stato maggiore dell’aeronautica. E la ricordo perché ci comportammo come una vera armata Brancaleone. Un giovane aviere, quando il comandante non vedeva, faceva in continuazione i versi di Totò. Ci beccammo una bella punizione, ma fu una soddisfazione. Fu una soddisfazione perché quell’anno di leva ci sembrava veramente tempo perso, specie per quelli come me, più grandi d’età.

L’estate fu caldissima: la stazione meteo ufficiale di Firenze Peretola segnò il record assoluto di temperatura dal 1951 ad oggi, con +42.6°c. L’altra stazione meteo, quella di Firenze Ximeniano, segnò il valore di +41.6°c, che era il record assoluto di questa stazione meteo dal 1813. Cioè nel luglio 1983 fu raggiunta la temperatura massima di questi 201 anni. E noi la sentivamo tutta: l’abbigliamento nelle camerate al massimo prevedeva le mutande.

Durante le licenze riuscivamo ad uscire qualche ora prima, imboscandoci dentro i pulmini del trasporto mensa o del pane. La sera uscivo poche volte. Con gli amici rammento le bischerate fatte lungo le Cascine, zona nota per prostitute e travestiti. Bischerate che taluni di questi facevano solo a parole, almeno in mia presenza. C’era il mito di un travestito molto bello (e lo era effettivamente) che svolgeva servizietti a gente altolocata.

In effetti quell’anno di naia non fu del tutto tempo perso. Questo grazie ad alcune persone con le quali ebbi modo di stringere amicizia. Sul fronte dei graduati ricordo il maresciallo Caoduro, il tenente Leuzzi e soprattutto il maresciallo Marcello Lorenzoni. Con quest’ultimo siamo entrati di nuovo in contatto nel 2007 e da quel momento mi chiama tutti gli anni a Natale per gli auguri. Poco tempo dopo il trapianto mi è venuto anche a trovare. È proprio una bella persona. Tra gli avieri ricordo diversi volti, ma pochi nomi. Specie con alcuni strinsi una buona amicizia. Ottima fu con Patrizio Innocenti, bravo imprenditore e con il quale recentemente sono di nuovo entrato in contatto, ma la più profonda di tutti è stata con Alessandro Bartoli, affermato professionista di Città di Castello. Forse fu la stessa età o anche la consonanza di vedute su molte cose della vita che ha poi reso questa nostra amicizia forte come l’acciaio. Sulle questioni di fondo la pensiamo ancora allo stesso modo, ma abbiamo orientamenti politici leggermente differenti. Confido però nella canzone di Cocciante “Tu sei il mio amico carissimo”: “né soldi, né donne, né politica potranno dividerci”.





Ottobre 1982. Con tuta e bustina a Taranto.

Ottobre 1983. Firenze, giorno del congedo con gli amici più stretti.




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