giovedì 3 dicembre 2020

POST 8 – 90 SECONDI DI FINIMONDO: IL TERREMOTO DELL’IRPINIA

Partii insieme a don Lido e altri amici, il 9 dicembre 1980, per Sant’Angelo dei Lombardi. Rientrammo con il cuore in gola e la sensazione di avere ricevuto più che dato.

 

Il 1980 lo ricordo soprattutto per il terremoto dell’Irpinia: 90 secondi di scossa alle 19,34 di domenica 23 novembre avrebbero, alla fine, procurato quasi 3.000 morti, 9.000 feriti e 280.000 sfollati. Mi torna alla memoria perché la nostra diocesi si mobilitò subito con una raccolta fondi e un gruppo di noi si diresse verso quelle terre devastate. La nostra gente fu, come al solito, generosa e nel giro di un mese furono raccolti più di 15 milioni di lire, oltre a generi alimentari e indumenti. La Caritas diocesana prese contatti con la Caritas nazionale e ci fu chiesto di partecipare come volontari in un paese particolarmente colpito, Sant’Angelo dei Lombardi.

Nei primi giorni di dicembre ci si mobilitò per sistemare una roulotte che ci mise a disposizione, mi pare, Primo Cabri. Credo fosse sua e non di don Piero, come si dice nel resoconto del settimanale diocesano Confronto del 4 gennaio 1981.

Si partì il 9 dicembre alle 2,00 di notte per questo non breve viaggio: eravamo io, don Lido Lodolini da Pitigliano, Lucio Luzzetti di Scansano, Alberto Bisconti e la figlia Letizia di Magliano in Toscana, seguiti da un camion che trasportava roulotte, viveri e vestiario.

Quando arrivammo ci accolsero la neve e i primi palazzi accartocciati su se stessi. Devastante. Ci si sistemò in un campo sterrato, insieme ad altri sopraggiunti e si presero i contatti con i responsabili locali i quali ci indicarono i compiti da svolgere.

 

Cosa mi torna alla mente?

Le tende che insieme a Lucio consegnammo e aiutammo ad erigere ad un gruppo di contadini, Letizia che seguiva i bambini e distribuiva i pasti, una Messa molto sentita nella contrada dove operavamo. Alberto impegnassimo in tante piccole cose concrete. Don Lido operativo su tutti i fronti; il nostro desiderio di portare, insieme agli aiuti concreti, la forza cristiana della fede.

Ma anche il freddo delle notti nella roulotte scaldata (si fa per dire) da una stufetta a gas pericolosa assai, i bisogni fisiologici da collocare dentro una buca all’aperto (alla faccia del bidet) circondata mi sembra da poche tavole, il passaggio, di tanto in tanto, di qualche bossetto locale. Poi le ruspe tedesche apparentemente molto efficienti ma, che a nostro parere, andavano poco per il sottile nel togliere le macerie e qualche corpo che stava sotto; gli indumenti collocati per terra perché i cittadini ne potessero usufruire.

 

Domenica 14 pomeriggio lasciammo S. Angelo con il cuore in gola e la sensazione di avere, ancora una volta, ricevuto più che dato.

Lucio rimase un’altra settimana ed altri gruppi diocesani seguirono la nostra avventura. Uno di questi sarà composto da Don Enzo Baccioli di Sorano, che farà dire alla fine di una messa al sindaco di S. Angelo, Rosanna Repole, “sei riuscito a farmi piangere”, Stella Bevillotti di Roccalbegna, Monica Brignali di Sorano, Franca Giovani di P.S. Stefano e suor Camilla di Bisceglie (settimanale Confronto, 19 aprile 1981).

Le impressioni a caldo possono essere lette negli articoli a firma Stefano (io) e Lucio (Luzzetti).

A rileggerli oggi, debbo ammettere che essi risentivano del nostro desiderio, forse eccessivo, di rispondere ad una mentalità anche allora piuttosto comune e in parte veicolata dai mezzi d’informazione: quella di considerare quelle persone come terroni. Lucio lo dice chiaramente nel suo articolo, “gente che non merita niente, che non vuol lavorare, non vuol ricostruire, che sa in pratica solo piangere”.

Non era così, non erano santi, né super efficienti. Erano persone normali, come noi. Ma, in quel momento, noi stavamo dalla loro parte.






Nessun commento: