venerdì 11 dicembre 2020

POST 7 – L’ESPERIENZA UNIVERSITARIA ALLA CESARE ALFIERI DI FIRENZE

Periodo faticoso, intenso, emozionante. Le poche amicizie, i grandi professori, la tesona.

 

Il periodo della giovinezza si consolidò con l’esperienza presso la Facoltà Universitaria di Scienze Politiche Cesare Alfieri di Firenze.

Fu un’esperienza in tutti i sensi. Anche di vita.

Per la prima volta mi trovai da solo in una città dove avevo alcune amicizie nate ai campi-scuola, ma nella quale non fu semplice ambientarsi, specie a livello universitario. Per i fuori-sede non era facile entrare nei meccanismi di facoltà e, almeno per me, non lo fu. I contatti con i docenti erano piuttosto rarefatti, tanto era l’alone sacrale che avvolgeva taluni di loro. Quei pavimenti erano stati calpestati da Giovanni Spadolini, Giovanni Sartori, Gaetano Arfé.

L’orientamento era disorientato, cioè in realtà non esisteva.

E poi i viaggi da Pitigliano con il pullman delle 5,45 che giungeva a Firenze alle 10.10, erano impegnativi. Dalla stazione di Santa Maria Novella subito di corsa all’università, allora in via Laura; il pomeriggio a casa, o meglio in una camera (divisa con l’amico Massimo Calò) all’interno di una casa dove abitavano due signorine simpatiche e attempate. I pranzi e le cene le consumavo alla mensa di via dei Servi, dopo aver fatto file di 30-45 minuti. E così via, dal lunedì al giovedì, raramente il venerdì. Facevo la settimana corta perché gli impegni in Azione Cattolica mi spingevano al ritorno settimanale.

Tutto questo allungò oltre il previsto i tempi universitari (nel mezzo ci si mise anche il militare) e la cosa mi dispiaceva assai, perché la mia permanenza a Firenze era dovuta agli sforzi economici dei miei genitori, che in verità non mi hanno mai fatto pesare nulla; anzi, erano proprio felici che il loro figlio potesse diventare dottore.

 

Il periodo fiorentino fu intenso e mi segnò profondamente.

Intanto, perché Firenze è una città con un patrimonio artistico diffuso di primissimo livello il cui profumo si assorbe semplicemente camminando per le sue vie.

Poi, per il ricordo di momenti emozionanti e tragici: rammento come se fosse ora la quantità enorme di posti di blocco, con militari in assetto di guerra, che incontrammo per il ritorno a Pitigliano il giorno successivo a quello del rapimento di Aldo Moro nel marzo del 1978; come pure la notizia dell’uccisione ad opera delle BR di Vittorio Bachelet, nostro amato presidente di Azione Cattolica, nel febbraio dell’80. Stavo uscendo, insieme a Rossella, dall’ascensore del palazzo dove dimoravo quando seppi la notizia, il 13 maggio 1981, dell’attentato a Giovanni Paolo II che, tra l’altro, costrinse a trasformare l’incontro che la sera avemmo con Madre Teresa di Calcutta da una riflessione sulla vita (quattro giorni dopo, il 17 maggio, ci sarebbero stati 2 referendum per la soppressione della legge 194 sull’aborto) in un forte momento di preghiera per la vita del Papa.

Ma anche per altre cose che sono scolpite nel mio cuore: il fidanzamento con Rossella e le deliziose serate che di tanto in tanto passavamo nella casa delle sorelle De Caro.

 

Quanto all’università, dopo aver sostenuto 23 esami, si concluse con l’agognata laurea.

Vi giunsi dopo aver lavorato a lungo alla elaborazione di una tesi su “La struttura organizzativa del P.S.I. dalla ricostruzione ai giorni nostri: continuità e innovazione”, che infatti prese una forma spropositata: 1.100 pagine. Il colpo finale lo detti recandomi 20 giorni a Sarnano, chiuso in casa con la mia zia Maria e con un orario di lavoro che andava dalle 4,30 del mattino sino alle 19,30 di sera interrotto solo dalla colazione verso le 8,00 e dal pranzo alle 12,00. Poi la cena e a ninna entro le 21,00. A quei ritmi il lavoro rende.

 

Naturalmente ricordo come ora il giorno della discussione, con Rossella e i miei genitori a farmi da corona. Vi giungevo con una media dei voti intorno a 102 o 103 e quindi mi sarei accontentato di un 106 o 107. Debbo dire che non avevo mai assistito alla discussione delle tesi e neppure gli inattesi complimenti del preside Lotti per la parte storica del mio lavoro mi misero in allerta. Ero un ragazzo rurale. Dopo la discussione uscii dall’aula in attesa della chiamata per il voto finale. L’attesa fu breve e fu preceduta dal suono di una campanella. “E che è”, dissi. “La lode… la lode” aggiunse con decisione la bidella. “La lode, e come è possibile”. Rientrai tesissimo e in effetti mi assegnarono la votazione di 110 e lode.

L’elaborato che avevo presentato doveva essere piaciuto molto e la cosa fu confermata dalla proposta di pubblicazione che mi fu fatta dai professori Alberto Spreafico e Roberto D’Alimonte (splendido tandem che si occupava di Sistema politico italiano). Ad una condizione: che le 1.100 pagine fossero ridotte a 250. Cosa che, con lo stress e la fatica accumulata, non riuscii ad accettare e quindi a fare.

 

Dell’università ricordo l’alto livello dei professori: oltre a Spreafico e D’Alimonte, il preside e ordinario di Storia contemporanea Luigi Lotti, anche Antonio Zanfarino (estroso ordinario di Filosofia politica), Fausto Vicarelli (keynesiano ordinario di Economia politica), Luciano Cavalli (innovativo ordinario di Sociologia), Domenico Fisichella (rigoroso ordinario di Dottrina dello Stato), Stefano Passigli (brillante ordinario di Scienza della politica), il poeta Mario Luzi con il quale rammento un seminario di pochi intimi, su Marcel Proust e il suo monumentale ciclo narrativo Alla ricerca del tempo perduto, di una suggestione straordinaria.

Una piccola chiosa vorrei farla sul professor Roberto D’Alimonte, non per ricordarne il livello o la notorietà, tanto è conosciuto e presente sui media e sulla stampa specie durante i periodi elettorali, essendo uno dei massimi esperti italiani del settore. Ma per ricordare una sua telefonata che mi giunse inaspettata 22 anni dopo, un giorno della prima settimana di gennaio 2007. Io stavo molto male, mi muovevo a malapena con l’ausilio dell’ossigeno, mi fu passato da Rossella il telefono: era il prof. D’Alimonte che chiedeva di me. Gli ero tornato in mente, così mi disse, perché riordinando le tesi degli studenti che lui aveva seguito nel corso degli anni, era riemersa nella sua prorompente consistenza quella che discussi io nel lontano 1985 (e che ora è collocata nello scaffale del suo studio presso la facoltà fiorentina).

Fu per me un’emozione unica, anche perché pensavo che fosse una delle ultime.

Pochi giorni dopo, la notte tra il 6 e il 7 gennaio, fui chiamato a Siena per il trapianto.


Il prof. Luigi Lotti proclama il voto finale

I professori Alberto Spreafico e Roberto D'Alimonte a colloquio con me

La mamma Ele, la fidanzata Rossella e il babbo Ezio insieme a me dopo il 110 e lode

Nessun commento: