sabato 2 aprile 2022

POST 71 – LO STRAORDINARIO RAPPORTO CON NOMADELFIA

Il ricordo della relazione con gli amici “dell’Isola che c’è” lo porto stretto nel mio cuore. Più volte mi rifugiai da loro, ma gli incroci istituzionali furono quattro. Uno dei quali riguardò la visita del Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro

Su una collina sormontata da una croce, nel cuore della Maremma, al km 8 della Grosseto-Siena, sorge il villaggio nel quale vive il popolo nuovo creato da don Zeno Saltini, una delle voci profetiche più limpide e feconde del secolo scorso. Nel 1999 i suoi abitanti erano 320 persone, una cinquantina di famiglie: volontari cattolici decisi a costruire una nuova civiltà fondata sul Vangelo. A Nomadelfia tutti i beni sono in comune, non circola denaro, non esiste proprietà privata, le famiglie sono disponibili ad accogliere figli in affido. Qui sono nate le mamme di vocazione: dalla prima, Irene, poi seguita da Norina, Zaira, Agnese, Enrica, Sirte, Elis ed altre. Alle quali in seguito si sono aggiunte le coppie di sposi (Nelusco e Anna, i pionieri). Da allora, i figli vengono consegnati all’altare con le parole che Gesù in croce rivolse alla Madonna e all’apostolo Giovanni: Donna, ecco tuo figlio. Figlio, ecco tua madre. A Nomadelfia tutti lavorano ma nessuno è pagato, e non esiste disoccupazione. Chi sbaglia è perdonato, purché ammetta il suo errore e si penta. Ogni giorno si dedica un’ora alla riflessione, cioè si fa cultura. “Utopia? Semplicemente una comunità animata dallo spirito dei primi cristiani, di cui parlano gli Atti degli Apostoli. Per lo Stato è un’associazione civile, una fondazione, organizzata sotto forma di cooperativa di lavoro. Per la Chiesa è una parrocchia comunitaria e un’associazione privata tra fedeli, ma non chiusa in sé stessa, perché si presenta come fermento in mezzo alla società che la circonda” (Jesus, n. 8 agosto 1999).

La relazione con gli amici di Nomadelfia è tra i ricordi che custodisco più gelosamente nel mio cuore. L’aplomb istituzionale che dovevo tenere, spesso lasciava il passo alla condivisone e all’ammirazione per quella scelta evangelica radicale ed alla specialità delle loro persone. Più volte mi recai a visitarli al di fuori dei momenti solenni e trovai sempre amicizia e franchezza, senza accondiscendenze di comodo. Ne uscivo sempre edificato e stimolato a dare il meglio di me a servizio del popolo provinciale. A distanza di anni ho dimenticato alcuni nomi (non tutti), ma ho impressi i loro volti, belli, solari, puliti.

Gli incroci istituzionali furono prevalentemente quattro. Il primo relativo all’orientamento verso di loro dei finanziamenti giubilari, nella seconda trance, per la costruzione di tre fabbricati destinati all’accoglienza povera e la predisposizione di un’area di sosta e servizi per il Giubileo del 2000. Il secondo, il 22 gennaio 1998, per ricordare i 50 anni dal varo della Costituzione firmata sull’altare nel 1948, poi rinnovata il 22 maggio 1994 e approvata dalla Congregazione per il Clero. Il terzo, il 21 marzo 1999, per l’arrivo del Presidente della Repubblica Italiana, Oscar Luigi Scalfaro, in occasione dell’apertura del centenario della nascita di Don Zeno (1900-2000). Il quarto, collegato sempre al centenario, il finanziamento per la realizzazione del libro-ricordo Nomadelfia un popolo nuovo.

Proprio nella presentazione del libro, finito di stampare in occasione dell’apertura del centenario, dicevo le seguenti parole.

“Nomadelfia significa: la fraternità è legge. Ed i suoi membri si chiamano nomadelfi perché per essi l’amore fraterno è regola, in eroica applicazione della loro fede. È quanto si trova scritto nella loro Costituzione ed è quanto ho potuto sperimentare tutte le volte che sono entrato in contatto con la comunità. Dei tre grandi principi riaffermati due secoli or sono la fraternità è ancora la più negletta. Non ci siamo ancora neppure sul fronte dell’uguaglianza e della libertà, specie se diamo al nostro sguardo dimensione planetaria. Ma la fraternità è il traguardo ancora più lontano, forse perché, inglobandole, le sublima entrambe. E la comunità dei liberi figli di Dio di Nomadelfia è il segno che vivere da fratelli è possibile. È l’isola che c’è ed è qui, in mezzo a noi, tra le nostre zolle. Il popolo nuovo, come amano chiamarsi e come hanno voluto intitolare questa pubblicazione, somiglia a quei grandi massi dove, entrando nella Comunità, testimoniano le loro regole. Rappresentano un monito severo verso il resto del mondo, ma anche un sorriso, una speranza, una guida per coloro, tanti, che sono dispersi. E sono gioia i loro spettacoli, è gioia quella che trasmettono ai loro visitatori e ai loro figli. Non so se sarà mai possibile che comunità più vaste, nazioni, popoli si possano organizzare sullo stile di Nomadelfia. Dentro il mio cuore sento, però, che così dovrebbe essere”.

Ogni volta che penso a don Zeno e agli amici di Nomadelfia, m’illumino d’immenso.










Nessun commento: