lunedì 4 aprile 2022

POST 74 – IL PARCO NATURALE DELLA MAREMMA: DAL COMMISSARIO AL COMMISSARIO

La caotica situazione del consiglio del Parco nominato dopo il commissario Andrea Vellutini, portò alla nomina del nuovo commissario. Il rumore grosso dei trattori e quello più sottile di un fax azzerarono gli organismi dirigenti. E quella gatta da pelare, il 25 gennaio 1999, toccò a me

Il Parco della Maremma nacque nel giugno del 1975 per impedire lo scempio della costa. Fu una lotta dura, che prometteva vantaggi incerti e rifiutava denaro e posti di lavoro nel presente. Qualcuno, sui muri di Grosseto, scrisse in quei giorni: “Lasciateci morire di agricoltura”. Lo slogan rimbalzò sui giornali, specie La Nazione (dalla quale traggo la descrizione che segue), che cavalcò la lotta contro gli speculatori. Il Parco della Maremma – una striscia di costa di 9.000 ettari tra Principina a Mare (a nord) e Talamone (a sud), limitata, ad est, dalla ferrovia Grosseto/Roma – divenne in quel modo il simbolo di un territorio povero che si faceva carico di scelte coraggiose in nome dell’ambiente. Simbolo di una Maremma incontaminata. Di pinete, colori e odori, mare e terra abbracciati in una dimensione senza tempo, con ruderi, torri e monasteri ad osservare dall’alto. La foce del fiume Ombrone, con l’area palustre della Trappola, i colli dell’Uccellina, le splendide scogliere e il sistema dunale. Poi la flora: nelle pianure i ginepri, i lentischi, i pini marittimi e domestici. Nelle aree palustri giunchi e cannucce. Nelle zone collinari forteto, macchia mediterranea e varie specie floreali: orchidee, ginestre, papaveri gialli, crisantemi. Quindi la fauna: i buoi dalle lunghe corna e le mandrie di cavalli, oltre ai cinghiali, daini, caprioli, numerose specie di uccelli acquatici che svernano tranquilli nelle acque del padule. Bello, bellissimo, si disse. E per questo, la Toscana attivò subito altri parchi naturali: Migliarino e San Rossore, Apuane, Casentino.

• Nel 1995 quando dicevi Parco della Maremma pensavi ad Andrea Vellutini ed Ilio Boschi. Fu infatti sotto la loro guida che, tra gli anni ’80 e ’90, il Parco transitò da entità locale a luogo di dimensione internazionale, culminata con il diploma europeo per la conservazione della natura del 13 ottobre 1992. Un amore viscerale specie quello di Vellutini, testimoniato anche dal fatto che dopo la sua morte, avvenuta nel luglio 2014, le sue ceneri, come da lui richiesto, furono sparse nel mare, davanti al Parco. Naturalmente sulla sua gestione le opinioni erano variegate: positive quelle del mondo ambientalista, negative quelle degli agricoltori del Parco e dei sindaci che trovai nella comunità del Parco. Il 14 dicembre 2015, durante la presentazione del libro postumo da lui scritto, “Dalla Provincia dei ‘senza’ al paradosso di Zenone, excursus sulla storia della Maremma toscana” il figlio Carlo ricordò che quando, nel 1980, il sindaco di Grosseto Finetti gli chiese di assumerne la presidenza, gli disse che da Roma avevano deciso che l’Uccellina sarebbe dovuto diventare un modello per dimostrare che con l’ambiente si poteva fare economia. Il primo esempio di sostenibilità, materia all’epoca quasi sconosciuta. Appunto, dalla protezione dell’ambiente fare economia: era ed è questa la sfida dei parchi naturali.

 

• Perché, allora, ne parlo? Perché nell’ultimo anno della legislatura provinciale fui costretto a fare il Commissario straordinario del Parco della Maremma.

Ma perché quel gioiello, che dal marzo 1996 aveva finalmente un presidente (Niccolò Mattei) e un consiglio per la gestione della sua vita, cadde nel baratro dello scioglimento e del commissariamento? Il discorso sarebbe troppo complesso. Quello che è oggi utile ricordare è il clima incandescente di quei giorni, la incomunicabilità che si era venuta a creare tra l’Ente e le persone fisiche e giuridiche che nel Parco operavano, con in mezzo le istituzioni comunali e provinciale sballottate nel mare magnum delle polemiche. Eppure Mattei alcune caratteristiche tecniche le aveva: era biologo, ricercatore universitario e aveva avuto esperienza amministrativa nella giunta orbetellana del sindaco Minucci. Io le avevo affiancato una giovane agronoma molto in gamba, preparata, sensibile e perbene, come Simona Piccini. Poi vi erano altri consiglieri, nominati dai comuni o dalle associazioni, come Luca Urbani, Massimo Felicioni, Fausto Corsi, Giovanni Covitto, Maurizio Gonnelli, Fabrizio Goracci. Mi pare che qualcuno aveva nominato anche Teglielli (che forse sperava di fare il presidente), ma non si presentò mai.

Fatto sta che invece di partire in quarta ed affrontare le problematiche del Parco, era tutta una polemica. Più volte ricevetti Mattei, dopo tutto ero il Presidente della Comunità del Parco. Lo incoraggiavo, lo spingevo a fare gruppo all’interno del consiglio, a delineare un programma operativo concreto, a sanare le diatribe passate. Ma, confesso, che i rapporti con lui, anche se più frequenti e cordiali, mi facevano venire alla mente quelli che avevo avuto con il presidente della Rama Fiorentini, ed anche il comportamento di una buona parte del consiglio mi ricordava sempre i consiglieri della Rama dimissionati. Ciascuno riteneva di avere ragione e non sentiva ragioni. Questi ultimi ad accusare il presidente di inattività, il presidente a sostenere che quel gruppo gli voleva far fare cose non ammesse dalla legge. Io non avevo le stesse possibilità di azione che avevo avuto per la Rama, di cui la Provincia aveva la maggioranza delle azioni: in quel caso potei mandarli a casa. Qui non avevo alcun potere e la presidenza della Comunità del Parco era poco più che un ruolo formale. Personalmente non avevo problemi con alcuno di loro. Percepivo però che la politica locale, anche quella diessina, pur avendo Mattei, credo, quella provenienza, non aveva bene accettato la sua nomina. Non parliamo come lo vedeva la destra, allora in ascesa. I 6 consiglieri che gli si opponevano e che, addirittura, prima dei consigli facevano una specie di pre-consiliare, per andare avanti tutti compatti e provare ad imporre le loro decisioni, culturalmente e politicamente erano uno strano mix socialista-destra-verde. Il presidente Mattei aveva anche un bel caratterino, e pian piano si alienò le simpatie un po’ di tutti: della politica ho detto, di buona parte dei consiglieri pure, poi anche del comitato scientifico del Parco. Non parliamo poi dei proprietari e dei gestori delle aziende agricole presenti nell’area protetta. Rapporti freddissimi anche con il direttore dell’Azienda Agricola di Alberese, Marco Baglioni. Tra l’altro, da un po’ di tempo i consigli convocati dal Presidente risultavano sempre senza il numero legale. Era la paralisi.

Ma la croce non può essere interamente posta sulle sue spalle. Ricordo un evento che nei suoi aspetti più reconditi venni a conoscere solo in epoca successiva. I sei consiglieri ricordati in precedenza ad un certo punto chiesero la sostituzione della vice-presidente, Piccini, per avvicendarla con Massimo Felicioni. Cosa veramente assurda e immotivata.

La lettera che inviarono al Parco per chiedere la sostituzione di Simona era irricevibile, ma esprimeva bene il substrato culturale dei firmatari: scrissero che non poteva fare la vice-presidente del Parco perché nel frattempo era diventata mamma. Roba da pazzi. Anche se gli uffici del Parco risposero ai firmatari che non si potevano chiedere dimissioni perché una persona aveva avuto un figlio, il granitico gruppo raggiunse l’obiettivo. Rammento un incontro del consiglio del Parco a metà luglio 1997, presenti come osservatori io, l’assessore regionale Del Lungo e il vicepresidente della Regione, Ginanneschi, nel quale avvenne la sostituzione. Simona, da vera signora, aveva anticipato tutti, presentando le sue dimissioni da vice-presidente e addirittura espresse parere favorevole per votare Felicioni vice-presidente. Naturalmente nessuno, neppure Simona, mi aveva informato delle motivazioni della richiesta. L’anno dopo, delusa dal caos, si dimise proprio dal consiglio.

In quell’occasione le parole di Del Lungo furono forti e chiare: “Ho dato due mesi di tempo per verificare il funzionamento del consiglio. Tornerò a settembre per fare il punto della situazione. Mi sembra che ora si possa tornare a lavorare” (La Nazione, 12.07.1997). Fu una pia illusione. Una volta andati via io, Del Lungo, Ginanneschi, continuò il consiglio per definire le deleghe (che poi deleghe non erano, ma incarichi fiduciari del Presidente) dei singoli consiglieri e si protrasse sino a tarda sera. Non ricordo come andò a finire e se furono confermati gli incarichi assegnati da un precedente consiglio. “Potrebbe esserci stato qualche problema”, chiosava Giancarlo Capecchi. I problemi, in realtà, durarono per tutto l’anno successivo.

• Tra l’altro nella comunità del parco mi trovavo con compagni di viaggio non proprio teneri col presidente. Il sindaco di Grosseto, Alessandro Antichi, che vista l’inerzia di Mattei sul parcheggio Marina di Alberese, per il quale aveva anche inviato una soluzione, dichiarava: “Se questo è il suo modo di confrontarsi, non posso che dare ragione ai sei consiglieri che l’hanno criticato”. Quello di Magliano, Giancarlo Tei che chiedeva scadenziari anche per l’abbattimento degli ungulati, aggiungendo che per gli agricoltori del Parco “rispetto alla vecchia gestione (quella di Vellutini) non è cambiato nulla e l’agricoltura all’interno del Parco è sempre più penalizzata” (La Nazione, 8.07.1997). Uno dei componenti del consiglio, l’architetto Luca Urbani, nella precedente legislatura consigliere comunale dei Verdi, ricordava che il presidente Mattei era di fatto sostenuto solo dal Coordinamento ambientale di “Barocci and company” e dai verdi regionali che, a suo dire, “o sono male informati o mirano solo a colpire il Consiglio Direttivo del Parco con la volontà, più o meno dichiarata, di raggiungere un commissariamento” (Il Tirreno, 12.01.1999). Il 16 gennaio 1999, il Comitato degli Agricoltori del Parco chiese addirittura al Presidente della Repubblica, Scalfaro, la rimozione del presidente del Parco e il “ripristino della democrazia nell’area protetta” (Il Tirreno, 16.01.1999). Insomma, da una parte c’erano quelli che volevano la testa di buona parte del consiglio e, dall’altra, chi voleva quella del presidente. Questi ultimi erano di gran lunga il numero più consistente.

 

• La protesta di questi ultimi culminò nella trattorata di venerdì 22 gennaio 1999. Un’adunata di 50 trattori in piazza Dante che, vista dal Palazzo della provincia, sembrava il colonnato del Bernini (guardato da San Pietro) intorno a Canapone. Urla, fischi e invettive. Ebbi l’intuizione di scendere tra quelle persone che smadonnavano anche contro di me. Ricordo qualche pacca sulle spalle modello Cannavacciuolo, mi pare si trattasse della manona di Perin. Ma non sono sicuro del cognome, comunque veneto, perché negli anni ’20 nell’area di Alberese, all’inizio della bonifica maremmana, furono costruiti i poderi dei mezzadri reduci combattenti della prima guerra mondiale, provenienti in prevalenza dal Veneto con le loro famiglie, appunto per bonificare e lavorare le terre.

Chiosava Bianca Zaccherotti su Il Tirreno del 23 gennaio 1999: “Gentili è sceso in mezzo agli agricoltori, ha sorriso e stretto le mani di chi lo insultava preventivamente accomunandolo al Commissario precedente che, stando alle invettive, doveva essere stato poco amato”. Nella premessa del giornale si diceva: “Gli agricoltori del Parco della Maremma venuti ieri a Grosseto, a bordo dei loro trattori, per chiedere la testa di Niccolò Mattei, sono tornati ad Alberese con, in tasca, una vittoria avvelenata. L’unica conquista è la testa di Mattei il quale, o si dimetterà spontaneamente, o sarà dimissionato dalla Regione non più tardi di lunedì prossimo, ma, con lui, faranno armi e bagagli anche i consiglieri (difesi strenuamente dagli agricoltori) ed al suo posto arriverà proprio quello che gli agricoltori non volevano, un Commissario. Il Presidente della Provincia, Stefano Gentili (commissario in pectore) ha parlamentato a lungo, in mezzo alla piazza con gli agricoltori e i loro rappresentanti (Mattia della Coldiretti, Martellini della Cia, Guerrini dell’Unione). E, nonostante le proteste per la decisione della Regione, la maggior parte ha convenuto che se commissario deve essere, meglio che sia Gentili, piuttosto che un funzionario fiorentino”.

La Regione in effetti mi aveva sondato ed io avevo preso tempo. Sempre Bianca riportava: “Non so ancora – ha detto il presidente della provincia agli agricoltori che lo stringevano da tutte le parti – se me la sentirò di prendermi questa croce gli ultimi mesi del mio mandato. La Regione ha chiesto la mia disponibilità, i sindaci della comunità che ho interpellato mi sono sembrati favorevoli. Ma io ho ancora molti dubbi. Ditemelo voi – ha provocato i contestatori – devo accettare o no? E gli agricoltori … hanno vacillato. I più scuotendo la testa hanno ammesso che è meglio Gentili che un commissario da fuori, altri hanno continuato ad insistere: ‘Non vogliamo un commissario, ma un nuovo presidente con lo stesso consiglio’”. Due presidenti delle associazioni degli agricoltori (Mattia e Martellini) dettero alla fine l’ok al commissariamento purché fosse breve. Il mio vecchio amico Ado Guerrini, presidente dell’Unione Agricoltori, rimase fermo sulla posizione: via Mattei, no al commissario, chiunque sia. Anche il sindaco di Grosseto, Alessandro Antichi, dichiarò: Quella di Gentili “è la soluzione giusta, purché sia una soluzione ponte che contribuisca a risolvere i problemi emergenti”.

Sempre il 23 gennaio, Luciano Salvatore su La Nazione, iniziando il suo pezzo, aveva sentenziato: “Il rumore grosso dei trattori e quello più sottile di un fax hanno azzerato gli organismi dirigenti del Parco della Maremma”. Ero con le spalle al muro, non avevo scampo.  Bastò attendere tre giorni e il 26 gennaio 1999, sempre Bianca Zaccherotti su Il Tirreno esordì dicendo: “Il dado è tratto. La giunta regionale toscana ha deciso di commissariare gli organismi direttivi del Parco della Maremma” ed “è stato nominato commissario il presidente dell’Amministrazione provinciale di Grosseto, Stefano Gentili”. Amen!

Una gattaccia da pelare, per lo più sopraggiunta nel momento in cui avevo ben compreso la guerra che, a livello politico, era stata scatenata per non farmi ripresentare alle imminenti elezioni provinciali.













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