venerdì 22 aprile 2022

POST 88 – IL PIANO PROVINCIALE DEI RIFIUTI

Dal superamento delle 16 discariche a cielo aperto all’avvio della differenziata. Puntavamo all’autosufficienza provinciale e a tariffe socialmente sostenibili. Non tutto filò liscio

ll Piano provinciale dei rifiuti lo approvammo poco dopo il mio insediamento, nel 1995. Io lo ereditai e fatte una serie di verifiche e modifiche lo deliberammo. Fu seguito con grande attenzione e competenza dal vice-presidente Giampiero Sammuri. I precedenti amministratori avevano cincischiato, forse con un occhio attento al cogeneratore di Scarlino in preparazione. Qualche saputello in seguito ha detto che allora era già vecchio. Può darsi, ma anche no. Un certo fascino, però, l’aveva. 

Di discariche a cielo aperto ne trovammo 16. In un lasso di tempo di 8-10 anni la nostra doveva essere tra le prime province italiane a non averne neppure una. Buona cosa in sé e bel biglietto da visita, che si inseriva coerentemente con l’idea di Maremma che avevamo. 

Era naturalmente prevista una fase transitoria che prevedeva al Tafone (Manciano) il conferimento soltanto di rifiuti sistemati alla Torba con un impianto di compattazione; alle Strillaie (la discarica del capoluogo) i rifiuti dovevano invece essere compattati in loco. Alla vecchia discarica di Semproniano i rifiuti sarebbero stati compattati in loco e poi stoccati. L’inceneritore di Valpiana (Massa Marittima) avrebbe continuato a funzionare sino a che non sarebbe stato trasformato in cogeneratore destinato a trattare unicamente i rifiuti solidi urbani della provincia. Ogni anno nella provincia venivano prodotte 110 mila tonnellate di rifiuti e noi prevedevamo un termovalorizzatore dimensionato a 80-90, proprio perché l’obiettivo del progetto era quello di massimizzare il recupero dei materiali. E mentre in passato avevano esportato i nostri rifiuti, noi prevedevamo di non esportarli, né di importarli. Era l’autosufficienza provinciale. I rifiuti dovevano essere trasformati in biogas e in ammendante per recuperare siti degradati come le cave. Sarebbero state recuperate le materie prime e secondarie come l’alluminio e il vetro e prodotto l’Rdf, combustibile da inviare a Valpiana che, una volta modificato in cogeneratore, lo avrebbe trasformato in energia elettrica. Ad ottobre dell’anno successivo (1996) il nostro Piano fu definitivamente approvato dalla Regione Toscana. 

Probabilmente io ero piuttosto ingenuo, ma il superamento delle discariche a cielo aperto, tariffe socialmente sostenibili e l’autosufficienza del bacino provinciale mi sembravano importanti obiettivi da raggiungere, tra l’altro, perfettamente in linea con il decreto Ronchi. Il nostro Piano, in un convegno regionale di approfondimento tenutosi a Rispescia l’11 aprile 1997, presente lo stesso ministro, fu elogiato e considerato perfettamente coerente e per certi versi anticipatore del decreto dello stesso ministro. Il capo dell’ufficio legislativo del ministro, Monticelli, che aveva curato il testo e l’iter di approvazione del decreto ministeriale, parlò di noi come di “un’sola felice” (Posti di lavoro dai rifiuti. Ronchi ha presentato il decreto, Il Tirreno, 12.04.1997). 

Una pianificazione provinciale che prevedeva l’organizzazione della raccolta differenziata (il piano provinciale l’approvammo nel consiglio del 14 maggio 1998) e la sua valorizzazione, comune per comune, la realizzazione di un impianto di riciclaggio di rifiuti solidi urbani e l’adeguamento tecnologico dell’impianto esistente, ritenevo e ritenevamo fosse la strada migliore da seguire. Tra l’altro i nostri esperti ci segnalavano anche la possibilità di incrementi occupazionali, il ricavo di 35 milioni di kWh annue, con un introito di circa 10 miliardi di lire che avrebbe potuto ammortizzare l’investimento di ristrutturazione e determinare condizioni tariffarie più accettabili per i cittadini. 

Purtroppo non andò tutto come sperato, anche per alcuni ostacoli che vi si frapposero. Il più rilevante fu il tormentone del cogeneratore Eni di Scarlino che, se partito, avrebbe messo in crisi la realizzazione di quello di Valpiana. E ce lo mise anche partendo a singhiozzo. Ma a me non andò giù neppure la nomina del commissario ad acta per la sua realizzazione. Non ce n’era bisogno, ma i pidiessini dovevano pur dare una ricompensa al vecchio presidente Ciani non ripresentato, che peraltro pressava insistentemente. Non con me perché sapeva come gli avrei risposto. Ventisei dei ventotto comuni della provincia, guidati dalla sinistra o dalla sinistra centro, con l’eccezione dei destri Semproniano e Civitella Paganico, furono invitati a chiedere alla regione di nominare un commissario per gestire la fase transitoria e la realizzazione dell’impianto del Poponaio. E così la Regione fece, con mio disappunto. Poi ci si mise anche il comune di Grosseto, guidato dalla nuova destra, a creare problemi di localizzazione. Che a me non interessavano, ma certamente ritardarono l’esecuzione. Ed anche i comuni si dimostrarono piuttosto restii a far partire la raccolta differenziata, per il salto culturale che richiedeva nella mente degli amministratori e nel comportamento dei cittadini.

Per questo, e altro, alcuni nostri obiettivi rimasero nel cassetto dei sogni. Noi, che avevamo in testa la Maremma bella, comunque ci provammo. 











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