mercoledì 20 aprile 2022

POST 86 – GOVERNARE IL TERRITORIO PERCHÉ LA VITA VIVA E L’UOMO VIVA: IL PTC

Deliberammo l’atto programmatorio per eccellenza, il Piano Territoriale di Coordinamento, il 6 novembre 1998, dopo un meticoloso lavoro e un percorso ampiamente condiviso. Le mie parole d’ordine erano: condividere, conoscere, custodire, coltivare. Ne uscì fuori uno strumento profondamente innovativo. Una pietra miliare

Dopo la pausa referendaria, torno di nuovo con la mia storia, promettendo di non superare complessivamente i 100 post. Ma altre due o tre cose debbo dirle. Sono ancora sul mio impegno in provincia e intendo parlare del principale strumento programmatorio del nostro ente. Perché, oltre alle azioni visibili su strade, scuole, beni culturali e via dicendo, la vocazione prima della Provincia riguardava attività meno visibili, ma importanti come le prime. Le attività programmatorie su una serie di questioni, quali rifiuti, trasporti, rete scolastica, attività venatoria.

• E, dubbio non v’è, che la madre di tutte le programmazioni aveva un nome ben preciso: PIANO TERRITORIALE DI COORDINAMENTO. Con esso si governavano le politiche del territorio quanto ad ambiente, infrastrutture, insediamenti. Cioè, cose serie, non robetta.

Dopo un meticoloso lavoro e un percorso condiviso, ricordo che a fine ’98, precisamente nel consiglio provinciale del 6 novembre, si approvò il Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia di Grosseto, siglato con l’acronimo PTC. Fu un impegno faticoso anche da un punto di vista politico perché la nostra maggioranza era presa a tenaglia tra i verdi rifondaioli e i rossi verdi per i quali esisteva solo la tutela assoluta, ingessata, ideologica e la retorica di destra, allora molto in voga anche nei giornali locali, che ci accusava a vanvera di ingessare il territorio e mortificare lo sviluppo.

Ricordo la premessa del mio intervento che era intitolata, non a caso, Un PTC per la vita.

“Gli intenti che hanno animato l’elaborazione del PTC, sono quelli che abbiamo sempre cercato di porre alla guida della nostra attività amministrativa. Governare il territorio perché la vita viva e l’uomo viva: gli uomini di oggi e le generazioni future. Governarlo, integrando sapientemente i valori e le sensibilità con gli interessi legittimi, per raggiungere il bene comune storicamente possibile. Governarlo insieme perché società civile, politica e mondi vitali hanno il diritto e il dovere di costruire una buona società nella quale vivere. Da questi intenti sono scaturiti una serie di atteggiamenti che vorrei descrivere scomodando i 4 verbi che utilizzai nella Prima Conferenza del 11.04.1996. 

CONDIVIDERE: che in questo caso vuol dire codecidere, mettere insieme le conoscenze, attivare la concertazione continuata. 

CONOSCERE: cioè individuare le risorse presenti e la loro disponibilità, valutare i rischi che le azioni sul territorio comportano e la loro compatibilità, censire le attività presenti e la loro correlazione con il territorio. 

CUSTODIRE: perché noi siamo custodi, non proprietari, del suolo, dell’aria, dell’acqua e dell’identità storica, culturale, insediativa della provincia. La custodia implica il riconoscimento che queste cose sono patrimonio comune, anche delle future generazioni e postula la restituzione. È in quest’ottica che si colloca la necessità della tutela, la sua eticità.

 COLTIVARE: cioè creare le condizioni perché l’uomo tragga i frutti della sua opera sull’ambiente, godendo degli interessi del capitale senza intaccare il patrimonio. E in questa prospettiva la stessa tutela deve trasformarsi in risorsa”.

• Ne uscì fuori, a mio modo di vedere, uno strumento PROFONDAMENTE INNOVATIVO. Perché innovativo? 

Perché prendeva le mosse da un’attenta analisi conoscitiva del territorio provinciale, non più considerato come un indistinto, ma come un’area vasta articolata al suo interno, dove le “diversità” erano riconosciute e inserite in un “sistema di complementarietà”. Perché organizzava una conseguente programmazione in grado di tenere conto dell’identità territoriale della Provincia, cioè delle tipicità storiche, culturali, ambientali che la caratterizzavano e delle risorse che possedeva. Perché consentiva, pertanto, il passaggio da un “sistema di vincoli” rigidi e generalizzati sul territorio ad un “pacchetto di regole” adeguato alle diversità e animato dalla filosofia della “fattibilità compatibile”. In Provincia di Grosseto da quel momento “si poteva fare tutto” (il bello, il buono, il lecito e l’utile); il PTC diceva “dove” e “come”. Ad esempio, se un comune voleva prevedere un insediamento urbano nel proprio piano strutturale, doveva dimostrare di avere a disposizione la risorsa idrica necessaria.

Perché superava tutti gli atti regionali di tipo settoriale, quali, ad esempio, la più o meno famosa 296/88 (che poneva vincoli generalizzati sul territorio). Perché puntava su uno “sviluppo capace di futuro”, in grado di integrare la salvaguardia del “capitale fisso sociale” (il territorio), con la “crescita ben temperata” delle infrastrutture, delle attività economiche e delle politiche di coesione sociale. Perché favoriva uno sviluppo complessivo, integrato ed equilibrato articolando azioni tendenti a modificare la realtà della “provincia a due velocità”, puntando ad una valorizzazione delle “economie interne” e ad una “qualificazione complessiva” del territorio provinciale. Perché immaginava attori sociali e individuali disponibili a farsi carico della salvaguardia e della valorizzazione del capitale fisso sociale. Perché faceva proprio il principio di “equiordinamento dei poteri elettivi” e il riconoscimento che a ciascuno dei livelli di governo del territorio dovevano essere garantiti pari dignità e poteri (superando quindi la cosiddetta “pianificazione a cascata” e la subordinazione dei livelli inferiori a quello superiore). Pertanto l’azione provinciale si incentrava su un efficace coordinamento tra i diversi centri di pianificazione, a cui forniva sia “scenari di riferimento sovracomunali” che un “tavolo permanente di confronto” al fine di attuare una programmazione integrata e individuare le priorità d’intervento.

Insomma un PTC che cercava di integrare sapientemente i valori e le sensibilità con gli interessi legittimi per raggiungere il “bene comune storicamente possibile” e con l’intento di governare il territorio perché la vita vivesse e vivessero gli uomini: quelli di allora e le generazioni future. 

• In concreto prevedeva oltre 150 INTERVENTI STRATEGICI raggruppati in: INFRASTRUTTURE STRADALI (corridoio tirrenico, due mari e potenziamento degli assi traversali, come la S.S. 74 Maremmana), AEROPORTO (scalo civile di Grosseto), AVIOSUPERFICI (Albinia, Santa Rita Cinigiano, Pitigliano, Gavorrano), PORTI E APPRODI TURISTICI (realizzazione dei nuovi porti turistici al Puntone di Scarlino e a Marina di Grosseto; il potenziamento del porto turistico di Talamone e di Giglio Porto, il mantenimento del porto commerciale e il potenziamento di quello turistico a P.S. Stefano; la riqualificazione dei porti di Castiglione della Pescaia e di Porto Ercole), PUNTI DI ATTRACCO (Giannutri), CENTRO INTERMODALE (Braccagni Grosseto), NODI SCAMBIATORI (Orbetello Scalo e Civitella Paganico), IMPIANTI TECNOLOGICI (Grosseto: impianto di selezione e riciclaggio rifiuti; Massa Marittima: cogeneratore di Valpiana; Monte Argentario: impianto di Terrarossa per il trattamento delle acque; piattaforme di trasferimento di La Torba, Valpiana, Aiaccia-Semproniano; impianto di smaltimento dei rifiuti speciali di Monterotondo Marittimo), IMPIANTI ENERGETICI (per la geotermia e il teleriscaldamento: Monterotondo, Montieri, Santa Fiora; per il fotovoltaico: Isola del Giglio; per le biomasse: Grosseto, Manciano, Scansano; per l’eolico: Scansano e Semproniano), DIGHE E INVASI (Milia a Massa Marittima, Roccastrada, Gretano a Civitella, Castiglione della Pescaia, Alma a Scarlino, Camerone a Manciano), LABORATORI SCIENTIFICI E AMBIENTALI (Orbetello Scalo e Scarlino), AGROALIMENTARE (Braccagni e Albinia), MATTAZIONE (Grosseto, Massa Marittima, Castel del Piano, Pitigliano), POLO DEL CAVALLO (Grosseto, Azienda Agricola di Alberese), CENTRO FIERE (Madonnino, Grosseto), CENTRI ESPOSITIVI (Valpiana, Castel del Piano, Pitigliano-Pantano), IPERMERCATI (Grosseto-Casalone), RICETTIVITÀ RURALE (un numero consistente, da Massa Marittima a Manciano, passando per Pitigliano, La Triana e via dicendo), CENTRO CONGRESSI (Castiglione della Pescaia), STRUTTURE SPORTIVE (sono molte e suddivise in impianti e percorsi fuori strada, campi da golf a 18 buche, ippodromi), STRUTTURE CULTURALI (Grosseto, Massa Marittima, Follonica, Arcidosso, Orbetello, Monte Argentario, Manciano, Pitigliano, Sorano, Capalbio-Giardino dei Tarocchi, Seggiano-Giardino di Daniel Spoerry), UNIVERSITÀ (Grosseto), SEDI SANITARIE (ospedali di Grosseto, Massa Marittima, Orbetello, Pitigliano, Castel Del Piano; socio sanitario di Follonica, riabilitativo di Manciano, geriatrico di Roccastrada; RSA).

Il Piano, come previsto, ha in seguito avuto aggiustamenti dettati dall’esperienza concreta, ma nella sostanza e nella quasi totalità della forma è rimasto quello di allora. Con uno slogan non bellissimo, ma chiaro, “né ingessati, né sciancati, ma incamminati verso il futuro”, chiusi l’intervento introduttivo al consiglio del 6 novembre ’98. Nel quale naturalmente ringraziai i protagonisti primi di quel lavoro: i nostri architetti Pietro Pettini e Lucia Gracili, l’assessore allo sviluppo e tutela del territorio, Giampiero Sammuri, i professionisti esterni che collaborarono.

Ritengo ancora oggi quello strumento un’autentica pietra miliare nella costruzione di una Provincia amica.






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