giovedì 14 aprile 2022

POST 82 – LA VERTENZA ENI E L’OCCUPAZIONE

Insieme ad altri interlocutori sociali ci trovammo ad affrontare quella difficile questione e riuscimmo a portare a casa qualche parziale risultato, ma la partita non si chiuse. Il mio primo incontro con gli uomini dell’Eni, i rapporti con la Regione Toscana e il Ministero dell’Industria

La cosiddetta vertenza ENI si è mai aperta? Ed è mai stata chiusa? Secondo alcuni (uomini ENI) non si era mai aperta del tutto, secondo altri (alcuni sindacati) si era aperta e chiusa con la collocazione degli ex-minatori, per altri (Comuni, Provincia, qualche sindacato, altri soggetti sociali) si era aperta, ma nel 1999 – quando io lasciai la Provincia – non si era ancora chiusa. Quella vertenza – che aveva come interlocutori il Ministero dell’Industria, il Distretto Minerario di Grosseto, l’ENI, la Regione Toscana, la Provincia, i Comuni interessati, le organizzazioni sindacali dei lavoratori – per noi aveva 4 punti all’ordine del giorno: l’occupazione, le bonifiche e la messa in sicurezza, il patrimonio immobiliare ENI e il Parco Minerario, il Polo delle Tecnologie ambientali.

Basta guardare i 4 punti e la parola che viene in mente è complessità. Purtroppo, “la complessità è una parola problema e non una parola soluzione” (Edgar Morin). E la soluzione andava cercata, con dedizione, decisione, pazienza. Andiamo per ordine.

① IL MIO PRIMO INCONTRO UFFICIALE CON GLI UOMINI DELL’ENI. Dico subito una cosa con franchezza: a me gli uomini dell’ENI, che in quel periodo operavano nell’area scarlinese o facevano sporadiche apparizioni, non destavano particolare simpatia. Avevano un’aria navigata, da chi la sapeva lunga, forse troppo, odoravano di partecipazioni statali. Erano spocchiosi. Ma, come presidente, dovevo prescindere dalle sensazioni personali e provare, insieme ad altri, a portare a casa risultati utili per la nostra terra. Apprezzavo, comunque, l’impegno di alcuni di loro per una reindustrializzazione dell’area. Un primo approccio ufficiale ci fu a Scarlino nel gennaio 1996, ad appena 6 mesi dal mio insediamento, in un incontro tra noi, i comuni e l’Amministratore delegato di ENI Risorse che, forse, si chiamava Graziano Amidei. Ho ancora il testo di quello che dissi, introducendo i lavori anche a nome dei comuni presenti.

Dopo aver ricordato che noi, i comuni e la CM stavamo operando per uno sviluppo sostenibile e integrato – che, pur riconfermando il trinomio Agricoltura-Industria-Turismo, si fondava prioritariamente sulla valorizzazione delle risorse territoriali e ambientali, sul policentrismo, sull’integrazione a rete dei sistemi urbani, territoriali, ambientali che presentavano notevoli valori potenziali – e rammentato che quella idea di sviluppo si collocava su un territorio che aveva subìto nel corso degli anni grandi stravolgimenti (attività minerarie, discariche di materiali, attività chimica del Casone, ceneri di pirite, gessi, ecc.) – ferite sanguinanti che non potevano non essere curate, né semplicisticamente essere liquidate con la messa in sicurezza delle strutture minerarie – espressi le mie preoccupazioni e posi alcune domande.

“Preoccupazioni perché l’unica proposta che l’Eni fa ad un territorio che lo ha ospitato per circa 100 anni è quella di un impianto di produzione di energia elettrica da C.N.C. (sul quale ribadisco ancora una volta la nostra contrarietà), oltre a favorire l’accesso nella zona artigianale (tramite Nuova Solmine) di due aziende quali la MarZing e la Dayco. Nello stesso tempo, a seguito di un annuncio pubblicato su quotidiani a tiratura nazionale, apprendiamo che la società Nuova Solmine – ultimo anello di congiunzione tra ENI e territorio – è posta in vendita, sancendo così il reale abbandono del nostro territorio da parte di quella società.

L’idea di sviluppo e i progetti che coltiviamo per questo territorio per realizzarsi pienamente hanno bisogno della buona volontà, delle competenze e delle risorse di molti: del Governo, della Regione, della Provincia, dei Comuni, di società di grande livello, dei privati in genere, che inseriti in un circuito virtuoso, siano in grado di dare corpo e gambe ai progetti.  Ed in questo quadro è assolutamente necessario il coinvolgimento di ENI in un ragionamento più complessivo.

È pertanto indispensabile comprendere alcune cose.

Quale ruolo l’ENI (proprietaria di innumerevoli terreni, di compendi immobiliari delle ex Miniere, della struttura industriale del Casone) può continuare a svolgere sul territorio, in relazione alla bonifica ambientale dei siti degradati dall’attività mineraria, al Parco Minerario, alla gestione del patrimonio immobiliare, alla riconversione dei compendi immobiliari a fini produttivi o sociali.

Quali garanzie vengono date sulla riconversione occupazionale dei lavoratori usciti dal ciclo chimico-minerario. In quale altro progetto, coerente col tipo di sviluppo ricordato, può essere interessato a svolgere un ruolo di primo piano. Quale è il destino di Nuova Solmine”.

Se non ricordo male la risposta del nostro interlocutore fu piuttosto generica, tanto che sollecitammo la Regione Toscana ad entrare più direttamente in campo. 

② Dopo pochi mesi e una serie di incontri con i comuni dell’area, come provincia fummo spinti da loro a diventare protagonisti di quel confronto o braccio di ferro, come dir si voglia. Non senza qualche screzio tra me e Alduvinca Meozzi, come è possibile evincere dagli scambi di lettere, pubblicate sui giornali, di metà ottobre 1996, nei quali chiedevo ai Comuni dell’area di ribadire la loro fiducia nei nostri confronti, nello specifico, circa la nostra capacità di rappresentare le legittime istanze della nostra gente al tavolo attivato a livello regionale tra noi, la Regione e l’Eni. Senza della quale mi sarei ritirato da quel tavolo (Trattativa Eni. Gentili: i sindaci mi ribadiscano la loro fiducia, La Nazione, 16.10.1996).

Al di là di tutto, il mio intento, come quello dei Comuni interessati, era quello di DISCUTERE SULLA GLOBALITÀ DEI PROBLEMI CHE ENI AVEVA PROVOCATO SUL NOSTRO TERRITORIO. 

Infatti come ricorderà Emilio Bonifazi, allora sindaco del comune di Follonica, al Convegno FULC del 20 dicembre 1999 a Massa Marittima: “Programmi e progetti delle amministrazioni locali hanno cercato di trovare una sintesi in un unico progetto dei sei Comuni, coordinati dalla Provincia, cercando di porre all’attenzione del tavolo regionale prima e di quello ministeriale dopo, le problematiche inerenti le bonifiche, il recupero del patrimonio immobiliare, lo sviluppo occupazionale e una reindustrializzazione con imprese compatibili con il nuovo modello di sviluppo e coerenti con la programmazione dei Comuni e della Provincia” (Silvano Polvani, Miniere e Minatori. Il lavoro, le lotte, l’impresa, ed. Leopoldo, 2002, pag. 288). In questo eravamo in sintonia con i Sindacati, primi protagonisti di quella vertenza sul fronte occupazionale a partire dai primi anni ’90, specie con la FULC, l’organizzazione unitaria dei sindacati chimici di CGIL, CISL, UIL. I tre sindacati, sia a livello provinciale che nel comparto chimico non sempre furono concordi. Ma specie la FULC riuscì a combattere una battaglia unitaria che alla fine dette risultati. La lotta non fu semplice e quale fosse l’intento vero dell’Eni non era chiaro da tempo. Paolo Vazzana, AD della Nuova Solmine, due anni prima aveva detto che l’ENI era stata costretta a rimanere in quell’area con la Nuova Solmine, perché la sua chiusura avrebbe automaticamente provocato anche quella della Tioxide. Ma aveva anche rivendicato il proprio impegno nella creazione di nuovi posti di lavoro (la firma, nel 1994, di un accordo con imprenditori e sindacati per 169 posti di lavoro) e di aver dato vita, con la Nuova Solmine, ad un progetto di riconversione industriale compatibile con il territorio. Azienda che si era posta anche il problema di creare infrastrutture e presupposti per ricevere nuove attività industriali, creando un’area industriale di 33 ettari, spendendo 4 miliardi di lire in opere di urbanizzazione. 

③ I RAPPORTI CON LA REGIONE TOSCANA E IL MINISTERO DELL’INDUSTRIA. Ricordo bene un incontro a Firenze, il 18 o 19 dicembre 1996 (presenti con me, Mariella Gennai e Pietro Pettini), nel quale – oltre a sottoscrivere con la regione un Protocollo importantissimo che aprì la strada allo snellimento delle procedure previste per i progetti del Patto territoriale – parlammo molto dell’area nord della Provincia (Sviluppo. La Provincia ha puntato sulle Colline Metallifere, La Nazione, 20.12.1996). Stabilimmo di dar vita a tre gruppi di lavoro: ‘occupazione e reindustrializzazione’, ‘aree per insediamenti’, ‘messa in sicurezza e bonifica’. Chiedemmo anche alla Regione di convincere il Distretto Minerario (attraverso il Ministero) a partecipare direttamente al terzo tavolo, affinché si assumesse le proprie responsabilità. Le chiedemmo inoltre fondi perché l’Arpat potesse lavorare alla definizione di come fare le bonifiche e del loro costo. Ci occupammo anche del Parco Minerario delle Colline Metallifere, chiedendo che metà dei 13 miliardi che la legge 204 assegnava alla Toscana fossero destinate alle Colline e che il progetto fosse inserito, per 10 miliardi, fra quelli finanziati dall’obiettivo 2b. E per i restanti 8 miliardi segnalammo la possibilità di inserirlo nel Patto territoriale o nella trattativa con ENI.

Con la regione Toscana entrammo anche nel merito del patrimonio demaniale regionale delle Colline Metallifere: migliaia di ettari e un centinaio di poderi ridotti a ruderi in un ambiente incontaminato. Presentammo un nostro studio che individuava molti immobili da destinare al turismo verde, contenente anche otto progetti sul loro riutilizzo per attività turistiche e servizi. E le chiedemmo cosa intendesse fare: partecipare direttamente all’operazione con gli altri enti locali oppure vendere. L’orientamento sembrò essere il secondo.

Per quanto poi riguardava il cogeneratore di Scarlino, che Eni Ambiente aveva improvvisamente attivato qualche giorno prima, ribadimmo la nostra posizione di netta contrarietà. “Questa è l’opinione delle popolazioni e degli enti locali – spiega Gentili – per la sua contraddizione rispetto alle attese dello sviluppo locale e con il piano provinciale dei rifiuti che prevede Valpiana” (sempre nel citato articolo de La Nazione). Per la verità il rapporto con la Regione Toscana fu un po’ altalenante. Alcuni sembravano essere con noi, altri li vedevo più restii. I nostri interlocutori cambiarono più volte, prima Fontanelli, poi Ventura, infine Ginanneschi. Rammento, per averli seguiti pur non partecipandovi direttamente, ma perché Mariella – che si impegnò nella vicenda con tutte le sue forze – era presente e mi dettagliava con precisione, i quasi sempre deludenti incontri al Ministero dell’Industria: una volta con Bersani, poi con il sottosegretario Carpi, quindi con i segretari del sottosegretario. Diciamo la verità, ciurlavano nel manico.

④ LA QUESTIONE OCCUPAZIONE: IL RIASSORBIMENTO DEGLI EX-MINATORI. Come andò, dunque, in quegli anni l’opera di reindustrializzazione per l’assorbimento degli ex-minatori? Il Convegno della FULC provinciale a Massa Marittima del dicembre 1999 sul tema Dalla crisi del sistema chimico-minerario alla reindustrializzazione, dette una risposta abbastanza incoraggiante, anche se non tutto tornava. “L’ultimo decennio del secolo non è stato comunque del tutto negativo malgrado le prospettive che all’inizio si preannunciavano. Merito, è stato più volte sostenuto, della determinazione con cui è stata affrontata la vertenza Eni che di fatto ha modificato aspetti economici, sociali di sviluppo di un territorio quale quello delle Colline Metallifere fino ad allora esclusivamente legato ad una mono economia di tipo minerario” (Dopo miniere, la ripresa è ancora faticosa, La Nazione, 22.12.1999).

Durante i primi anni ’90 il governo nazionale aveva messo a disposizione finanziamenti per le aziende che inserivano in produzione gli ex-minatori. Alcune di quelle che iniziarono ad insediarsi sulle Colline Metallifere morirono sul nascere o dopo poco, come la Teleservice, la Geodaltec, la Tre Esse. Segno che gli imprenditori erano attratti più dai finanziamenti che dalla volontà di impiantare una vera attività produttiva. Altre però si insediarono con serietà e dettero i loro frutti, una, purtroppo, frutti avvelenati. 

Comunque i lavoratori provenienti dal settore minerario delle Colline Metallifere coinvolti nel processo di riconversione dopo la chiusura degli impianti che, nel 1992, erano 686, nel 1999 erano stati tutti sistemati (‘Sistemati’ 686 operai che lavoravano in galleria, La Nazione, 22.12.1999). Vediamo come: 12 operai erano andati alla Mineraria Campiano, 126 alla Sol.Mar., 56 all’Ambiente spa, 254 in prepensionamento e mobilità finalizzata alla pensione, 23 alla Se.Co.To., 115 lavoratori erano passati alle attività alternative: 24 alla Mar-Zinc (Scarlino), 38 alla Dayco (Scarlino), 5 alla Tecnopannelli (Follonica), 12 alla Tosco Prefabbricati (Caldana), 6 alla Michelini (Montieri), 17 alla Polistamp s.r.l. (Cinigiano), 13 alla Polyteckne (Fenice Capanne). Silvano Polvani, uno dei principali protagonisti di quelle lotte – insieme a Balloni e Granelli, della Cisl e della Uil – e uno dei tre segretari della FULC, disse cose piuttosto impegnative nel citato convegno del 1999: “Oggi si può parlare di recupero dell’attività artigianale, di qualificazione e sviluppo del turismo attraverso il miglioramento dei servizi, di valorizzazione dei beni ambientali e storico-culturali, di aumento dell’occupazione, di riqualificazione della forza lavoro”. La mission di ricollocazione degli ex-minatori si era conclusa, ma il territorio delle Colline Metallifere aveva perso posti di lavoro anche rispetto ai 689 di inizio decennio: i 254 prepensionati o messi in mobilità per giungere alla pensione erano di fatto oltre 200 posti di lavoro persi. 

⑤ LA VERTENZA ENI POTEVA DIRSI CHIUSA NEL 1999? 

Per questo, ed anche per altro, la vertenza ENI non poteva dirsi chiusa. Lo ribadì Mariella Gennai nel 1999 quando propose, a nome della Provincia, un Accordo quadro, con la partecipazione dei soggetti citati all’inizio, che avesse i seguenti contenuti.

• Occupazione: il mantenimento della responsabilizzazione dell’ENI rispetto ai posti di lavoro perduti; la creazione di attività aggiuntive promosse e garantite da ENI, l’individuazione di una somma per ogni posto di lavoro da ricostruire, da corrispondere ad un soggetto locale impegnato nella creazione di nuova occupazione.

• Bonifiche e messa in sicurezza: individuazione dell’insieme delle bonifiche e dei ripristini ambientali che dovevano essere effettuati da ENI o dagli acquirenti dei beni alienati; il carattere e le modalità di massima delle bonifiche e delle messe in sicurezza da effettuare; la programmazione temporale della progettazione degli interventi e della loro realizzazione che doveva essere collegata sia al tipo di inquinamento e messa in sicurezza, sia alla prospettiva di riutilizzazione dei compendi; l’individuazione del soggetto ENI, adeguatamente dotato delle risorse necessarie, con il compito di procedere alla progettazione e alla realizzazione degli interventi; l’attivazione di procedure di snellimento burocratico per consentire la massima velocizzazione dell’esercizio delle competenze amministrative ministeriali, regionali e degli enti locali interessati.

• Polo delle Tecnologie ambientali: l’attivazione di ricerche, studi professionali, progettazioni e formazione sul tema delle bonifiche in grado di produrre tecniche e metodi innovativi; il trasferimento di conoscenze, servizi e professionalità da esportare ai fini di una più ampia diffusione ed applicazione in situazioni analoghe a quelle delle Colline Metallifere; la collaborazione con gli istituti scolastici del territorio e le Università toscane.

• Patrimonio immobiliare e Parco minerario: la cessione gratuita agli enti locali delle proprietà dell’ENI; l’assunzione di adeguati impegni dell’ENI per gli ex villaggi minerari; nuove risorse statali per la legge 204 del 1993 riguardante gli interventi urgenti a sostegno del settore minerario; l’approvazione della proposta di legge per l’istituzione del Parco Minerario Nazionale delle Colline Metallifere.

I nostri interlocutori, nel loro libero arbitrio, potevano pur dirci una cosa e farne un’altra, ma noi quando avevamo azzannato l’osso non lo lasciavamo più. 











Nessun commento: