mercoledì 20 aprile 2022

POST 85 – NO AL COGENERATORE DI SCARLINO

La mia contrarietà fu sempre forte e chiara, senza titubanze o ripensamenti

Il mio primo approccio con il cogeneratore di Scarlino fu nel marzo-aprile 1995, durante la campagna elettorale. Non ricordo con esattezza se a Scarlino, Monterotondo Marittimo o forse Massa. E lo rammento come questione da affrontare, insieme al Piano provinciale dei rifiuti. Poi me lo trovai tra le gambe come Presidente della Provincia. Come ho già avuto modo di dire, a Scarlino fu attuato il processo per lo sfruttamento integrale della pirite con la produzione di acido solforico, pellets di ferro ed energia elettrica. Il calore avanzato dall’arrostimento delle piriti veniva trasformato in vapore e quindi in energia elettrica che utilizzavano per i propri bisogni e in parte vendevano all’Enel. Nacque così la centrale termoelettrica, credo costruita dopo il 1983 e che nell’ottobre 1990 fu gravemente danneggiata da un incendio. Nel tempo le cose si modificarono: l’acido solforico si iniziò a fare in un altro modo, il pellets di ferro non serviva più alle acciaierie di Piombino ed ENI Ambiente pensò di impiegare i forni a letto fluido, che non erano più usati per l’arrostimento della pirite, per l’incenerimento dei rifiuti.

In campagna elettorale mi ero preso l’impegno di approvare quanto prima il Piano provinciale dei rifiuti, già portato a buon punto, ma non approvato. Di questo si discuteva da anni e noi, dopo alcune verifiche e modifiche lo approvammo entro il 1995, ma su questo mi soffermerò più avanti. Lo cito però perché il nostro piano prevedeva che l’esistente inceneritore di Valpiana si trasformasse in cogeneratore accogliendo l’RDF prodotto dai rifiuti provinciali, trasformandolo in energia elettrica. E il tentativo di far uscire di scena Valpiana, per farci entrare il cogeneratore ENI di Scarlino, fu promosso con insistenza periodica e sempre più pressante. Ma io non ho mai ceduto.

Torniamo al cogeneratore di Scarlino.

• Noi eravamo contrari alla sua attivazione ed io più di tutti. Follonica lo vedeva come il fumo negli occhi; gli altri comuni del comprensorio erano contrari, sia pure con qualche distinguo. La maggior parte delle associazioni di categoria sparavano a zero. Favorevoli pubblicamente erano solo i sindacati che non volevano perdere i circa 60 lavoratori impiegati nello stabilimento. Dico con franchezza che, laicamente, si può discutere di inceneritori e cogeneratori, ma non in quelle condizioni. Non con l’arroganza dei responsabili ENI, né con la contrarietà della stragrande maggioranza delle popolazioni. La questione non era tecnica, anche se problemi tecnico-ambientali c’erano. Ma politica, di più ‘psico-politica’. E quando le situazioni diventano psico-politiche non si possono gestire con il ragionamento e il compromesso. Richiedono solo decisioni: o sì oppure no. E noi eravamo per il no: almeno io, Sammuri e Gennai, che seguimmo la vicenda da vicino ed anche pressoché tutti i consiglieri provinciali. Anche perché – come detto – ci faceva saltare il Piano provinciale dei rifiuti.

L’Ente di Stato che, per decenni, aveva fatto sul territorio dell’alta Maremma il bello e il cattivo tempo, prima di andarsene, tramite la sua subordinata ENI Ambiente, aveva deciso per tutti quello che si doveva fare. Chiuse le miniere, ridimensionato il polo chimico del Casone, messo in mobilità qualche centinaio di dipendenti, cosa proponeva? Un impianto per produrre energia elettrica bruciando negli ex forni Solmine una massa ingente di rifiuti industriali, detti machiavellisticamente “combustibili non convenzionali”, che sarebbero giunti al Casone con un quotidiano convoglio di camion provenienti dai luoghi più disparati. Era veramente troppo. Eppure, con quell’arroganza che faceva proprio imbestialire, a natale del 1996 ci fece lo sgradito regalo. In barba all’invito rivolto dal ministro dell’Industria e in assoluto dispregio verso il parere contrario degli Enti Locali (comuni, provincia, regione) e della grande maggioranza della popolazione, Eni Ambiente accese l’inceneritore del Casone. L’impianto dopo essere stato riscaldato e messo a punto, partì alimentato proprio con i combustibili non convenzionali che, nello specifico, erano costituiti dagli scarti derivanti dalla lavorazione di legno, carta e stoffa.

Il 24 dicembre la mia assessora, Mariella Gennai, dopo che un ennesimo incontro a Firenze si era risolto con un nulla di fatto, anche a nome della regione e dei comuni interessati dichiarò quanto segue: “Ci troviamo di fronte a interessi diametralmente contrapposti. Eni Ambiente ha giustificato (se è possibile giustificare un’azione che sin dall’inizio è stata nettamente contrastata dalle popolazioni interessate) la necessità di avviare l’impianto prima del 31 dicembre poiché, in caso contrario sarebbe saltata la convenzione riguardante la fornitura di energia elettrica stipulata con Enel. Le prove dovrebbero proseguire per 40-50 giorni dopo di che, se le risultanti tecniche saranno positive, aprire una fase sperimentale di 18 mesi preludio alla effettiva entrata in funzione di tutto il complesso. I dirigenti Eni, forti delle autorizzazioni ministeriali ricevute, si sentono praticamente in una botte di ferro e, come hanno sempre fatto, non tengono in alcun conto le ripetute e documentate riserve socio-economiche avanzate dagli Enti locali, né la dura contrarietà espressa dalle popolazioni. A questo punto, come Regione, Provincia e Comuni non ci resta che chiamare direttamente in causa il ministro dell’Industria Bersani, al quale già ci siamo ripetutamente rivolti, autoconvocandoci, se non otterremo risposta, a Roma per discutere in sede politica tutta la questione. Questo è quello che faremo fin da subito” (Inceneritore: regalo sgradito. Gennai: ci appelliamo a Bersani, Il Tirreno, 27.12.1996).

• Io non avevo dubbi, Mariella neppure. Nel nostro campo, i dubbi risiedevano prevalentemente all’interno del partitone della sinistra, in profonda trasformazione. Ricordo di aver partecipato ad un incontro nella sede dei DS di Follonica nel quale emersero con chiarezza posizioni contrastanti, sia pure con una prevalenza di contrarietà al cogeneratore (dopo tutto eravamo a Follonica). Probabilmente sul finire del 1997 la Quercia sciolse i suoi nodi: no ai gruppi pro Eni ad essa interni, no all’ala cigiellina, no ad alcune frange del suo vecchio apparato; sì all’emergente gruppo filo ambientalista, ai fautori del turismo e del terziario come motori trainanti dell’economia della zona. Il requiem al primo gruppo fu recitato da Fabio Mussi e Flavio Tattarini, insieme ad altri tre deputati meno noti in Maremma (Vigni, Campatelli e Brunale) in una mozione presentata alla Commissione Ambiente e Lavoro della Camera del giugno 1997, nella quale si chiedeva alla stessa di impegnare il governo a “mettere in atto ogni iniziativa utile, compresa la revoca delle autorizzazioni concesse dal Ministero dell’Ambiente e dell’Industria, a rimuovere con il progetto di cogenerazione l’atteggiamento dell’Eni…” (La Nazione, 4.07.1997).

• Questa volta non voglio dilungarmi troppo nel ricordare la mia azione nei confronti del cogeneratore di Scarlino. La mia posizione, come detto, era chiaramente contraria e lo ripetei in tutte le salse. Partecipai, quasi sempre con Mariella Gennai, a molti incontri locali e regionali con comuni, sindacati, lavoratori, comitati. Rammento un incontro a Firenze a fine maggio 1997, dopo che il Consiglio di Stato aveva annullato la sentenza del Tar con cui veniva bloccata la sperimentazione al cogeneratore e l’ENI aveva confermato la volontà di riattivare rapidamente i forni. In quell’occasione, tra l’altro, segnalammo come il Ministro Bersani e il sottosegretario Carpi avessero di fatto ignorato le richieste avanzate dagli enti locali in un incontro del 13 marzo (Inceneritore. No degli enti locali alla ripresa dei test dell’ENI, La Nazione, 27.05.1997). Ricordo di aver partecipato ad una manifestazione a Follonica nell’aprile 1998 (Mussi: ‘Il cogeneratore non s’ha da fare’, La Nazione, 21.04.1998). Inoltre, appoggiammo il ricorso al Tar contro il ministero dell’Industria, precisando che “non ci sono né ci saranno atti persecutori nei confronti dei lavoratori da parte della Provincia” (Cogeneratore, Gentili e Gennai in difesa dell’occupazione, Il Tirreno, 22.10.1997). Facemmo quella precisazione perché il ricorso lo avevamo inviato per conoscenza anche agli operai di ENI Ambiente in quanto coinvolti e non perché avevano presentato un ricorso contro il Comitato del No in favore del Cogeneratore, come qualcuno malignamente andava dicendo. Anzi, ribadimmo il nostro impegno per i problemi occupazionali di quell’area, invitando i lavoratori ad un incontro, che poi ci fu presso il loro stabilimento. Incontro schietto, per certi versi duro ma rispettoso, nel quale però non potei far altro che ribadire la nostra contrarietà al cogeneratore. Tra l’altro ebbi l’occasione di incontrare dopo tanto tempo un mio compagno di scuola che era proprio tra quegli operai. E questo rese ancor più faticoso il mio no. Ma non vedevo alternative.

Finché ho presieduto la Provincia ho sempre tenuto lontano l’inceneritore e i suoi uomini dal Piano provinciale dei rifiuti e ho sempre manifestato la mia netta contrarietà alla sua attivazione. Chissà che qualcuno non l’abbia ricordato a chi di dovere quando, a fine legislatura, si trattò di decidere se ripresentarmi alle elezioni del maggio 1999. Dopo tutto si trattava di dire SI o NO a Gentili. E fu detto NO. Stranamente somigliane al mio NO al cogeneratore di Scarlino.

Lo so, ho pensato male e quindi ho fatto peccato, ma come diceva Andreotti…










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