lunedì 13 dicembre 2021

POST 44 – E I VESCOVI DELLE TRE DIOCESI COME SI COMPORTARONO?

Chi fecero sostenere e chi votarono Babini, Scola, Bassetti. E Comastri cosa pensava?

La dimostrazione che ci furono lamentele da parte di alcuni in ambito ecclesiale per il presunto appoggio che mi avrebbero dato il vescovo e alcune strutture della mia diocesi, fu palesata dal fatto che Mons. Giacomo Babini (allora ordinario di Pitigliano-Sovana-Orbetello) sentì la necessità di intervenire sulle pagine del settimanale Confronto.

Sapevo perfettamente che nulla di tutto questo era avvenuto e, infatti, il vescovo esordì affermando “di aver mantenuto sull’argomento un assoluto riserbo” e difendendo “l’utilizzo del settimanale che ha ospitato le varie prese di posizione che avevano l’autorità di chi le firmava”. Leggendo con attenzione quell’articolo emerge inoltre come la visione culturale di Mons. Babini fosse ancora legata all’idea che l’impegno cristiano in politica avrebbe avuto maggior valore se si fosse manifestato senza contaminazioni con la destra o la sinistra. E invitava le comunità cattoliche a “non dare deleghe di alcun tipo”, ma a “continuare il lavoro di sempre”, tanto più in quel frangente in cui “gli sviluppi e gli interessi politici hanno condotto ad uno stadio nuovo molti cristiani, per cui lo spirito di partito è diventato più forte di ogni altro tipo di associazione e le relazioni tra le comunità sono ora determinate dal loro orientamento politico”.

Mons. Babini nutriva affetto nei miei confronti, ma la sua impostazione culturale non lo avrebbe mai potuto portare a sostenere la mia candidatura, anche in modo riservato. Quanto al voto, dipende se prese il sopravvento la testa o il cuore e, soprattutto, se andò a votare.

Come, poi, la pensasse l’allora vescovo di Grosseto, Mons. Angelo Scola, era di tutta evidenza. Egli era stato e continuava ad essere (con modalità più riservate) uno dei principali leader ideologico-teologici di Comunione e Liberazione e anche in quell’occasione rimase fedele all’impronta originaria. Mai e poi mai avrebbe sostenuto un cattolico alleato con la sinistra. Non so se fece nulla per il cattolico alleato con la destra. Certo, alcuni che si richiamavano più fedelmente a lui, erano organizzativamente schierati con Tamburro. Ma il vescovo è il vescovo e, presumo, che anche lui sia rimasto in riserbo.

Il suo pensiero, però, lo espresse nella tradizionale omelia per i santi Pietro e Paolo, nella Chiesa di San Pietro al Corso di Grosseto, il 29 giugno 1995 (quindi di poco successiva alle elezioni), ed ebbe anche eco, con una prosa diversificata, su La Nazione del 20 luglio sotto il titolo: Cattolici smarriti tra destra e sinistra. Ovviamente il suo sguardo era rivolto prevalentemente allo scenario nazionale, ma sono convinto che un po’ si riferisse anche alle nostre questioni locali quando diceva “I cattolici in Italia? Qualcuno sostiene che, quanto alla politica, mai siano stati così visibili e influenti come ora. Ciascuno degli schieramenti in campo usa volentieri come gonfaloniere un cattolico, visto come figura moderata e perbene. Dunque, di che lamentarsi? I cattolici sono più che mai visibili, blanditi da tutti, e hanno persino troppi cuscini dove posare il capo. Tutto bene allora? Sono portato a dubitarne”. Perché ne dubitava il vescovo? “Perché nella rincorsa a valorizzare i cattolici in questa o quella formazione politica, accade che venga perduto qualcosa di essenziale”. Infatti, “il cristianesimo si pretende come evento e non come sentimento religioso” e “in tutto questo rigirarsi tra destra, sinistra e centro, accade sia ridotto alla promozione di alcuni valori morali. La verità è sostituita dai valori”.

Temeva, il vescovo, che l’evento di Gesù Cristo morto e risorto fosse ridotto a poca cosa, “ad uno spunto di motivazione privata, a un pretesto per l’impegno”. Mentre i contenuti di quell’impegno venivano “determinati da concezioni del mondo estranee o addirittura in contrasto con l’evento cristiano”. Egli era rattristato da quel processo (perdurante da anni, palesatosi allora in modo più evidente) che aveva condotto il cristianesimo “a non essere più sorgente di un’esperienza, di una cultura, di un metodo di presenza nella società”. Ma che rischiava di “offrire solo un supporto esterno ad altri progetti di vita”.

Passava quindi a criticare le due impostazioni culturali che si stavano contendendo il primato nel nostro Paese. Quella del “pensiero utopico non conclamato” (e ce l’aveva con gli ex-marxisti e i loro cugini) e quella della “ideologia pragmatica” (e qui se la prendeva con i neoliberisti e i loro affini). E criticava noi cattolici che ci eravamo immersi in quei mondi senza la “preoccupazione di mostrare la rilevanza sociale della fede”. “Se ci fosse stata avremmo potuto godere di una qualche testimonianza in più di tensione all’unità, perché l’unità, anche in politica, perché no, resta un segno forte per il mondo”.

Insomma, al di là della lucida impostazione, molto ciellina, della traduzione quasi senza mediazioni della fede nel sociale e nella politica, Mons. Scola giungeva al solito punto di Mons. Babini: anche lui era un nostalgico dell’unità politico-partitica dei cattolici.

E, pertanto, se mai fossi entrato nei suoi pensieri, non avrebbe certo potuto vedere di buon occhio la mia alleanza con il fronte del “pensiero utopico” che prometteva “la realizzazione di una società politica perfetta nella storia, come condizione definitiva e irreversibile, a patto di un necessario sacrificio della libertà”, “vedeva come fattore di disturbo il libero aggregarsi di persone unite da una stessa visione delle cose” e puntava a svolgere “un’azione culturale e sociale intesa come realizzazione di una egemonia su tutta la società da parte di una forza politica che di fatto si concepisce e si propone come un’avanguardia” (stralci dell’Omelia tenuta il 29 giugno 1995 nella Chiesa di San Pietro al Corso di Grosseto).

Confesso come quelle riflessioni, per alcuni aspetti (e non certo per la centralità dell’evento Gesù Cristo), le sentii un po’ arretrate e trovarono poco spazio nei miei pensieri, ormai già occupati da strade, ponti, lavoro, ambiente, formazione professionale, agricoltura, caccia e altro ancora; cioè, da persone in carne e ossa.

Il vescovo Mons. Gualtiero Bassetti non lo conoscevo. Aveva sostituito il vescovo Angelo Comastri a Massa Marittima-Piombino nel settembre del 1994. In seguito ebbi modo di conoscerlo ed apprezzarlo. Egli mi inviò un telegramma nel quale esprimeva i suoi “più fervidi voti augurali per l’adempimento della sua alta missione” e assicurava “preghiere perché il suo impegno inteso come servizio alla nostra gente possa essere pieno, generoso e fecondo”. Tutto qui. Nessun appoggio, nessuna sollecitazione in favore della mia candidatura.

Desidero, peraltro, cogliere l’occasione di far presenti le parole di Mons. Angelo Comastri inviatemi a fine ’92, in risposta ad una mia richiesta di sua opinione circa un documento socio-politico che ebbi modo d’inviargli, perché fornivano una serie di consigli assai interessanti. “1. Non usate la Chiesa (compresi i Vescovi) per produrre consensi politici: la Chiesa vi dà un’anima per il vostro impegno in politica, ma non deve mai diventare uno strumento per la politica”. “2. Vivete una sana responsabilità laicale nella vita sociale e politica puntando sulla validità della proposta e sulla credibilità delle persone per produrre consenso”. “3. Riattiviamo, almeno a livello provinciale, strumenti per la formazione cristiana dei politici e di tutti coloro che operano nel sociale, affinché sia davvero conosciuta la dottrina sociale della Chiesa”“4. Agite in fretta, perché l’accelerazione del processo di disgregazione non vi darà la possibilità di discutere a lungo”. Concludeva assicurando la sua preghiera affidandoci “alla Madonna, silenziosa ed efficace collaboratrice di Dio”.

Mi riconobbi pienamente in quei consigli e cercai, anche in seguito, di rimanervi fedele. Motivo per cui, ad esempio, anche solo pensare di strumentalizzare la Chiesa per trarne vantaggi personali, anche di carattere politico, mi faceva ribrezzo.

Insomma, l’accusa rivolta ad alcuni sacerdoti, organizzazioni cattoliche e, in filigrana, anche ai vescovi, di avere in qualche modo favorito o sostenuto la mia candidatura alle elezioni provinciali, era destituita di ogni fondamento. Era una vera e propria bufala. Ma contribuì ad agitare le acque.

E aggiunse preoccupazione a preoccupazioni.






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