giovedì 30 dicembre 2021

POST 54 – IL NUOVO MODELLO DI SVILUPPO LOCALE

Nel giro di un paio d’anni lo definimmo. Era fatto di sogno e concretezza, linee di sviluppo e assi strategici, azioni programmatorie e soldi

Ancora oggi, quando penso al lavoro che mettemmo in piedi, mi viene da dire che tramammo un ordito. Non ordimmo una trama, come normalmente si dice, ma tramammo un ordito, nel senso che tentammo di intrecciare i fili della trama con quelli dell’ordito, tesi da un lato all’altro del telaio. In modo da formare un tessuto di differenti colori e materiali, come il broccato e il piqué, ma anche striscioline di stoffa, fibre di rafia, stoppini di feltro. Fuor di metafora, l’obiettivo che volevamo raggiungere era quello di organizzare l’intera provincia come una vera e propria Città-distretto. La definizione la includemmo per la prima volta, con la Grosseto-Sviluppo, nel documento di presentazione del Patto Territoriale. Ma io e pochi altri l’avevamo abbozzata sin dal 1996. In quell’anno, con la Conferenza provinciale Agricola ’96 da noi chiamata: La terra promessa, la declinammo anche in altro modo: Distretto Rurale, per poi giungere alla proposta della Maremma, Distretto rurale d’Europa.

① Sognando un po’, pensavo il territorio provinciale simile a quello che oggi viene detto Smart Land, cioè, un ambito territoriale intelligente e brillante nel quale, attraverso politiche diffuse e condivise, si aumentava la competitività e l’attrattività del territorio, con una attenzione particolare alla diffusione della conoscenza, alla crescita creativa, all’accessibilità e alla libertà di movimento, alla fruibilità dell’ambiente (naturale, storico-architettonico, urbano e diffuso) e alla qualità del paesaggio e della vita dei cittadini. Dal punto di vista più strettamente economico, ad una piattaforma produttiva di area vasta da sostenere anche attraverso la realizzazione di politiche attive del lavoro, di sostegno allo sviluppo, di marketing territoriale e turistico, in rapporto con l’Europa e con le altre istituzioni.

L’idea del Distretto rurale piacque molto anche a Giuseppe De Rita, intervenuto a Grosseto nella Sala congressi del Centro Militare Veterinario il 14 maggio 1999, invitato da noi e da Ecovast alla Conferenza europea sullo sviluppo rurale. “Io parteggio per il Distretto rurale d’Europa in Maremma” esordì il presidente del Cnel, precisando che il distretto rurale poteva essere vincente come erano stati vincenti tanti distretti industriali. Tenendo presenti le differenze. Mentre il distretto industriale aveva sempre avuto un significato più forte nelle aree a monocoltura territoriale, l’approccio con il distretto rurale non poteva essere mono-settoriale. Continuava l’illustre ospite: “Occorre saper stare su una pluralità di filiere produttive”. Infatti si costruisce su “un’area connotata ruralmente che è capace di tenere dentro il turismo, l’industria e i campi da golf previsti nel Patto territoriale”. Creare un distretto “significa favorire l’intrecciarsi di piccole e medie imprese che, insieme, costituiscono una sorta di multinazionale territoriale. Ma mentre in un distretto industriale il sistema delle relazioni è agevolato dalla vicinanza dei soggetti, in un distretto rurale occorre adoperarsi per favorire la concertazione”. Un distretto “non nasce perché il soggetto pubblico lo vuole, ma scaturisce dal protagonismo collettivo; è l’insieme delle volontà di centinaia di persone, il loro intreccio. Insomma, è frutto della banale, quotidiana, coesione sociale.  Il soggetto pubblico può certo favorire la concertazione, la concentrazione degli interessi” (Il Tirreno, 15.05.1999). Insomma, era una rivoluzione che non richiedeva solo soldi, ma visioni comuni. Ed era una nuova cultura di governo che prendeva atto della realtà e voleva unire le potenzialità, le risorse, gli strumenti, le idee, le volontà delle diverse comunità senza semplicemente limitarsi a sommarle, ma creando reti e sistemi in grado di sviluppare con progressione geometrica la loro forza ed efficacia.

Per una certosina precisione voglio ricordare che i due termini partivano dalla stessa idea di organizzazione sistemica dell’intero territorio provinciale, valorizzandone tutte le potenzialità. Mentre, però, il Distretto rurale vedeva il legame primo nella ruralità, la Città-distretto la vedeva nel binomio ambiente-turismi. Al nostro interno e nella Grosseto sviluppo vi era chi parteggiava per l’una o l’altra ipotesi.

Io ero più sulla linea del distretto rurale, sia per la prosa, perché – dietro la sapiente regia del professor Pacciani – esso andava assumendo una fisionomia sempre più precisa e lasciava intravedere le migliori opportunità, unendo identità e politiche comunitarie presenti e future, stili di vita sempre più richiesti e carattere complessivo del nostro territorio, potendo raggiungere il risultato massimo a cui tendevamo: migliorare la qualità dell’ambiente e della vita, produrre reddito, sostenere e incrementare l’occupazione.

Come per la poesia, perché – per dirla con Ildebrando Imberciadori nello scritto agli “amici della mia provincia” del 10 agosto 1962 – : “(…) E su nelle colline poggiose di Scansano e di Pitigliano e di Sorano o nelle valli della montagna, boschi secolari di querci e di cerri, dicioccati e scassati dalla fatica eroica dei campagnoli, si trasfigurarono lentamente in fiorenti vigneti e oliveti. Poi, è giunta l’età nostra, con i suoi capitali e le sue braccia, con le sue macchine e col suo respiro grandioso, e noi cominciamo ad accorgerci di quanto sia anche bella la nostra provincia: bello il paesaggio agrario, creato dall’opera dell’uomo come bello il paesaggio creato dalla natura. Guardare la nostra terra dall’apparita di Montemassi o di Fercole è una rivelazione. Osservare dal crinale del Monte Labbro tutta la nostra provincia: voltarsi a riposare l’occhio sul gran verde del Monte Amiata; e poi scendere attraverso i poggi e le colline dalle stoppi d’oro sino alla riva del nostro mare per accorgerci che dal suo azzurro vivo sale la luce che brilla sul faggio e sul castagno, sulla vite e sull’olivo e sul campo seminato, è cosa che incanta ed esalta insieme (…)”.

② Comunque sia, personalmente PENSAVO AD UNA COSA DEL

GENERE: – alla cartina geografica del territorio provinciale con tutte le sue emergenze territoriali naturali, – sopra cui sovrapporre un’altra cartina trasparente delle tipicità storiche e culturali,– sopra la quale appoggiare un’altra cartina trasparente delle infrastrutture presenti e di quelle da aggiungere (nella logica del tutte quelle necessarie, solo quelle necessarie), – sopra la quale mettere la cartina trasparente delle attività economiche presenti e prevedibili sulla linea delle filiere vocazionali tipiche (agroalimentare di qualità, industrie ambientali, turismi selettivi, sistema cavallo, prodotti manifatturieri, artigianato evoluto), – sopra la quale collocare la cartina trasparente dei luoghi e delle azioni di coesione sociale (salute, scuola, comunicazione e informazione, ecc.).

Proviamo ora ad inserire nella cartina multistrato indicata in precedenza alcune delle azioni poste in essere dalla nostra Provincia.

• Gli oltre 150 INTERVENTI STRATEGICI PREVISTI E CONTENUTI NEL PIANO TERRITORIALE DI COORDINAMENTO, dalle infrastrutture stradali all’università, elencati dettagliatamente nel post 86 (Il PTC: governare il territorio perché la vita viva e l’uomo viva).

• I 79 PROGETTI CONTENUTI NEL PATTO TERRITORIALE (58 privati e 21 di enti pubblici) dotati di risorse definite (100 miliardi di lire dal Patto, 431 tra privati ed enti) e con previsioni occupazionali delineate progetto per progetto (per un totale di 824 tra i privati, 203 tra i pubblici, 360 stagionali privati, 1000 prevedibili in fase di cantiere e circa 500 nell’indotto) con la fattibilità urbanistica garantita dalle norme speciali previste dal Patto.

 

• Le INFRASTRUTTURE tipiche legate al Parco degli Etruschi e al Parco Minerario a servizio della filiera Turismi-Beni Culturali; alla Rete delle Aree protette e della Sentieristica a servizio della filiera Turismo-Ambiente; al Sistema delle Ippovie a servizio della filiera cavallo; alle Strade del vino, dell’olio, della carne, le vie della castagna a servizio dello sviluppo rurale. Come pure delle infrastrutture innovative legate alle autostrade telematiche, in sintonia con la Regione Toscana e l’Università di Siena.

• Le ATTIVITÀ E LE AZIONI CONTENUTE NEI TRE ASSI RURALI STRATEGICI di intervento per dare vita ad un sistema territoriale di qualità: consolidamento delle filiere e delle infrastrutture pubbliche, rafforzamento della Qualità, fare della Maremma un Sistema. Accennando solo al primo asse (per non farla troppo lunga) ricordo la spinta a consolidare le strutture delle imprese nelle filiere, puntando su investimenti innovativi in grado di rafforzare le capacità competitive delle imprese rispetto alla qualità dei processi, dei prodotti e dell’ambiente. Aggiungo le azioni volte ad accrescere le capacità concorrenziali del sistema, puntando innanzitutto al superamento del deficit delle infrastrutture rurali con particolare riferimento alla viabilità, al sistema degli acquedotti, ai sistemi di captazione delle acque, di irrigazione e di bonifica, favorendo un’armonizzazione delle stesse con l’ambiente; erano interventi di base ma volti a far raggiungere al sistema locale rurale la capacità di competere ad armi pari sul mercato, rimovendo i vincoli allo sviluppo.

 

•Le AZIONI SULLE FILIERE RURALI DI PARTICOLARE RILEVANZA per il territorio provinciale o comunque caratterizzate da problematiche particolari: la filiera vitivinicola, olivicola, zootecnica, della pesca e cerealicola, nonché il comparto del biologico. Anche in questo caso, accennando solo ad una filiera, quella vitivinicola, rammento come sostenemmo la sua forte dinamicità di metà anni ’90 (dopo la dura crisi del periodo precedente) con il Piano vitivinicolo provinciale. Vi fu un rilevante sforzo di qualificazione delle produzioni che trovò un importante supporto nell’approvazione di nuove denominazioni di origine (Sovana, Capalbio e Montecucco, che si aggiungevano alle cinque DOC storiche della provincia di Grosseto: Bianco di Pitigliano, Morellino di Scansano, Monteregio di Massa Marittima, Parrina, Ansonica Costa dell’Argentario). Come pure di grande importanza fu la parallela crescita degli investimenti di nuove superfici vitate, specialmente nelle aree collinari ed interne, in parte destinate a riassorbire la perdita fisiologica degli impianti esistenti registratasi negli anni della crisi e in parte a consolidare le nuove denominazioni di origine. La costituzione di due nuovi Consorzi di tutela che si affiancarono ai due Consorzi già esistenti rappresentò un altro importante passaggio per una migliore valorizzazione delle produzioni. In particolare la costituzione di un consorzio unico tra le cinque DOC pose i presupposti per una gestione economicamente valida, e favorì la elaborazione di programmi di più ampio respiro, pur nel rispetto delle singole specificità.

 

• Gli oltre 150 PRODOTTI INCLUSI NELL’ELENCO DEI PRODOTTI TRADIZIONALI DELLA MAREMMA (poi inseriti nell’apposito Elenco regionale) predisposto dalla nostra Provincia, in collaborazione con l’Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione in Agricoltura e con le Organizzazioni professionali agricole, mediante una accurata e capillare ricerca sul territorio. In particolare furono svolte azioni di tutela e valorizzazione su specie quali il Miccio Amiatino, la Vacca, il Cavallo, il Cinghiale, il Pastore e il Segugio della Maremma, sulle cultivar (tipi genetici strettamente associati ad un’area geografica) di olivo Olivastra Seggianese e Scarlinese, sui vitigni Ansonica e Vermentino, sul Riso della Maremma, sul Carciofo di Pian di Rocca e sul Fagiolo di Sorano. Tali elementi rappresentavano un potenziale per la valorizzazione futura del territorio stesso integrandosi perfettamente con le risorse ambientali della Maremma (parchi, oasi naturali, ecc.). In questa direzione la collaborazione tra Provincia e Slow Food portò alla realizzazione dei Presidi della Vacca maremmana, della Bottarga di Orbetello, dei prodotti goym (tra cui lo sfratto di Pitigliano) e della Palamita delle coste del Giglio e dell’Argentario.

Il Censimento dei prodotti tradizionali pose le basi per selezionare un paniere dei prodotti della Maremma di particolare specificità e legame con il territorio e con il sistema economico locale, suscettibili a diventare oggetto di valorizzazione commerciale per le caratteristiche proprie e del sistema di imprese che li realizzava.

③ Mi fermo, perché il brodo si è allungato e tralascio altre azioni che dovrei includere. L’importante è avere in mente oggi quello che noi avevamo in mente allora: la matrice. Fatta di sogno e concretezza, linee di sviluppo e assi strategici, azioni programmatorie e soldi. Certo, alcune di quelle azioni noi le programmavamo e altri avrebbero dovute realizzarle (comuni, imprenditori), altre le realizzavamo in proprio, altre sarebbero state consequenziali, per altre ancora avevamo bisogno di convincere interlocutori regionali e nazionali. C’era quindi bisogno di lavorare insieme, continuare a farlo affinando gli strumenti e la volontà reciproca, rifuggire da ogni risacca individualistica. E poi, ammesso che la strada fosse giusta, per avere risultati in termini di PIL, occupazione e qualità della vita ci volevano anni (10, forse 15) e tanta coerenza.

Io, insomma, ho la convinzione che durante la nostra legislatura riuscimmo a elaborare organicamente e a dare le gambe al tanto declamato DIVERSO MODELLO DI SVILUPPO DELLA MAREMMA. Era composto di soldi, azioni, strategie, matrice di fondo. E di sogno. Sì, di sogno, perché io la penso come Ivano Fossati (C’è tempo): “Dicono che c’è un tempo per seminare e uno più lungo per aspettare. Io dico che c’era un tempo sognato che bisognava sognare”.



Agricola '96 - L'assessore provinciale Pacciani con Periccioli e Ginanneschi 




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