giovedì 30 dicembre 2021

POST 56 – “SE CI PENSI CENTO ANNI PRIMA EDUCHI IL POPOLO”: MUTARE PELLE ALLA FORMAZIONE PROFESSIONALE

La situazione era disastrosa. Insieme a Mariella Gennai, intraprendemmo la strada del cambiamento radicale. La lotta fu durissima, ma noi avevamo messo l’elmetto e a fine legislatura registrammo una vera e propria mutazione genetica

Quando mi trovai in mano la famosa bicicletta provinciale indubbiamente le materie che mi erano più congeniali per storia e cultura personale erano quelle legate alla formazione, all’educazione e alla scuola.

Con Mariella Gennai decidemmo di mettere subito a fuoco la questione della formazione professionale e della scuola. Naturalmente dovendo dimensionarci sulle nostre competenze, molto estese sulla prima, meno sulla seconda.

• Ne discutemmo approfonditamente, insieme ad altri collaboratori giungendo a tre convinzioni elementari, ma decisive.

La prima riguardava la consapevolezza che la più importante risorsa di una comunità sono le persone (o come si usa dire, con espressione che non mi entusiasma, il capitale umano).

La seconda era la percezione del superamento della vecchia tripartizione della vita: la giovinezza legata alla formazione, la maturità dedicata al lavoro e la vecchiaia riservata al riposo e al tempo libero.

La terza consisteva nella convinzione che per riposizionare il nostro sistema produttivo e rilanciare l’economia era necessario vincere la sfida dell’innovazione, e quindi la strada obbligata per arrivare a ciò era ancora quella di investire sulle persone.

Dovevamo solamente fare scelte conseguenti, investire seriamente in formazione, costruire percorsi formativi di apprendimento “life long learning” (come si diceva), inventare strumenti di ricerca dei bisogni formativi, spalancare le porte del fortino provinciale.

Se penso all’avverbio usato – solamente – mi viene di nuovo l’orticaria.

• La situazione della formazione in Provincia era disastrosa.

Le ragioni erano molteplici (demotivazione e scontri tra il personale, nicchie che venivano salvaguardate, ecc.), ma ravvisammo l’errore di fondo nella gestione diretta dei corsi, figlia di quel tempo e di una mentalità statalista e ideologizzata propria della classe politica che sino allora aveva governato. Molta gestione, con connaturate clientele e in realtà poca vera e innovativa programmazione, che invece andava fatta e fatta bene, partendo dalle reali necessità del territorio, ascoltando interlocutori veri e possibilmente non politicizzati.

La lotta fu durissima ed è comprensibile il perché.

Messaggi trasversali, letteracce, ribellioni organizzate. Addirittura, visto che scegliemmo di pescare il nuovo dirigente, che fu poi il docente universitario Carlo Odoardi, al di fuori del personale dell’ente con una selezione rigorosa e innovativa (tra 150 candidati, una trentina dei quali con curricula formidabili), diversa dal solito inconcludente, lungo e forse pilotato concorso interno, a seguito di una immotivata denuncia di qualche dipendente, fummo attenzionati dalla procura.

• La lotta fu durissima, dicevo, ma noi avevamo messo l’elmetto e quando feci un bilancio di legislatura mi resi conto che avevamo prodotto una vera e propria mutazione genetica.

La gestione della Formazione Professionale era passata dalla forma diretta per la quasi totalità dei corsi, ad un prevalente spazio a quella autorizzata (cioè svolta all’interno delle aziende) ed alla formazione convenzionata (affidata alla collaborazione delle agenzie formative specializzate).

Nel 1996 il rapporto era 101 corsi in gestione diretta, 7 nelle altre due tipologie e circa 1000 allievi coinvolti.

Nel 1999 fu di 15 corsi in gestione diretta, 188 tra l’autorizzata (132) e la convenzionata (56) e la previsione era che vi partecipassero oltre 3000 allievi.

Inoltre il sevizio formazione della Provincia gestiva al 1999 relazioni esterne con 13 agenzie formative e con oltre 30 aziende che facevano formazione al loro interno attivando circa 600 operatori. Era di fatto nata una rete di soggetti, fatta di scuole, imprese, associazioni di categoria, università, enti locali, che direttamente o indirettamente si facevano carico e contribuivano a garantire lo sviluppo di competenze individuali e che avrebbero potuto sempre più e sempre meglio favorire l’innovazione e lo sviluppo del sistema economico e di tutto il territorio.

Non tutto era oro, naturalmente; anche all’esterno c’erano alcune vischiosità, qualche lentezza e in certi casi cattive abitudini figlie di un antico legame col potere.

Ma il salto era fatto e la Provincia, anche in questo caso, era uscita in campo aperto, fidandosi dei soggetti diversi da se stessa e per ciò stesso riuscendo a promuovere una formazione meno pensata dall’alto (poi non si sa da quali menti sopraffine) e, abbandonando l’impegno nella gestione diretta, a riposizionarsi sul fronte della programmazione, del controllo della qualità e della consulenza.

La capacità di spesa dei finanziamenti che la Regione erogava ogni anno sul Fondo Sociale Europeo era cresciuta esponenzialmente. Il programma di Formazione Professionale del 1998 fu totalmente realizzato e i corsi tutti terminati entro la fine dell’anno. Fu l’unico caso in tutta la Toscana.

L’esigenza di aderire sempre meglio alle richieste del territorio al fine della programmazione ci spinse a dotarci di un Sistema informatizzato proprio per rilevare il fabbisogno formativo che, con la imminente nascita del Centro per l’impiego, avrebbe dovuto anche incrociare domanda e offerta di lavoro.

Progetti specifici innovativi – come il Sulcis (formazione a distanza insieme ad altre 4 regioni), il Laboratorio, che prevedeva l’istituzione permanente di formazione imprenditoriale e una ricerca sul territorio di vocazioni imprenditoriali, unitamente all’avvio della Formazione Integrata Superiore, che partì con un corso per tecnico dei processi agroalimentari e uno per tecnico ambientale esperto in bonifica – rappresentarono il nostro desiderio di spingere la formazione a diventare linfa di nuovo tessuto imprenditoriale.

Insomma, era proprio un’altra cosa rispetto a quella ante-1996.

Non solo, impegnati come eravamo nella questione morale, non declamata ma praticata, pubblicammo sin dal 1996 l’elenco delle docenze effettuate con nomi e cognomi, residenza e compenso dei docenti, fossero singoli o aggregati. Casa di vetro volevo che fosse la Provincia e trasparenti dovevano essere tutti i nostri atti, anche perché se c’era qualcosa che non andava, per errore o perché qualcuno aveva fatto il furbo, ci poteva essere chi eccepiva, puntava il dito, eventualmente denunciava. Nessuno eccepì nulla, almeno in mia presenza o in modo ufficiale.

Sono trascorsi tanti anni da quei momenti e di acqua sotto i ponti ne è passata.

Non sono in condizione di fare una obiettiva valutazione di quello che è avvenuto in seguito. Spero si sia andati avanti, sburocratizzando, modificando quello che ancora non funzionava alla luce dell’esperienza. Spero, soprattutto, si sia continuato a fare della formazione professionale e continua e dell’educazione un luogo di libertà, di sperimentazione, di apertura al nuovo, di crescita di nuove professionalità. Per quegli straordinari anni sono grato a molti, ma in particolare a Mariella Gennai e Carlo Odoardi.

Mentre scrivo queste riflessioni, mi sovviene un proverbio cinese: “Se ci pensi un anno prima pianti riso. Se ci pensi dieci anni prima pianti alberi. Se ci pensi cento anni prima educhi il popolo”.

E mi commuovo.












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