giovedì 30 dicembre 2021

POST 55 – IL DIMENSIONAMENTO OTTIMALE DELLE SCUOLE

Fu un bel banco di prova. La delicata operazione la condussi in porto insieme all’assessore Moreno Canuti, favorendo un ampio coinvolgimento degli attori in campo. Il futuro si giocava in classe

Negli Stati Uniti quando la discussione politica si infiamma si introduce la questione dei ponti e delle scuole. Cioè di quelle infrastrutture che apparentemente non necessitano di alcuna manutenzione e che parrebbero in grado di resistere all’usura del tempo senza particolari interventi; ma che improvvisamente, se troppo a lungo trascurate, possono entrare in una crisi al cui termine può esservi il collasso (il crollo del ponte) o la rilevazione della sopraggiunta inadeguatezza rispetto al mutare delle esigenze e alle aspettative della società (il sistema scolastico). Al culmine della fase critica si viene colti da improvviso turbamento al pensiero che un manufatto così apparentemente stabile, definitivo, senza particolari costi come un ponte necessiti di interventi straordinari per assicurare la banale funzione per cui è stato costruito (vedi nel nostro caso i ponti di Scarlino Scalo e Giannella).

E che la scuola, di cui nessuno sembrava occuparsi, deve essere riprogettata.

Finalmente, dopo anni di dibattiti, commissioni, interventi di emergenza il mondo della scuola nel 1998 sembrava attraversato dal vento di una nuova stagione riformista. Erano in dirittura d’arrivo una serie di provvedimenti destinati a trasformare radicalmente la fisionomia della scuola italiana. Dopo il varo del Nuovo esame di maturità, la cui prima attuazione era prevista a partire dal 1999, erano all’esame del legislatore: il disegno di Legge sul Riordino dei cicli scolastici; il disegno di Legge sulla Parità nell’ambito di un sistema pubblico integrato; la Riforma degli Organi Collegiali; lo Statuto delle Studentesse e degli Studenti; il Sistema nazionale di valutazione. Il quadro veniva completato dal riconoscimento della Dirigenza ai capi d’istituto e dal Dimensionamento delle unità scolastiche, nel processo di realizzazione dell’Autonomia delle istituzioni scolastiche.

Da parte nostra dovevamo contribuire ad organizzare il Dimensionamento delle unità scolastiche provinciali perché potessero acquisire e mantenere l’autonomia. Naturalmente al governo provinciale della scuola era preposto il Provveditorato agli Studi, noi avevamo competenza sugli Istituti superiori e solo per quanto atteneva l’edilizia. Su questo fronte nei 4 anni di legislatura decidemmo interventi per oltre 20 miliardi di lire.

Ma nel 1998 ci trovammo investiti a promuovere l’operazione del dimensionamento ottimale delle istituzioni scolastiche statali.

Per noi una novità.

I PRIMI PASSI. I primi approfondimenti e confronti partirono nel marzo ’98, poi ci furono una serie di confronti con i soggetti chiamati in ultima istanza a decidere, quindi, appena uscito il DPR 233 (18 giugno 1998), avviammo incontri di zona per una prima sommaria analisi della situazione, dei dati della popolazione scolastica anche in prospettiva quinquennale, dei possibili bacini d’utenza, dei punti di vista. Successivamente incontrammo le Organizzazioni Sindacali di categoria e la Consulta Provinciale degli studenti.

Poi si giunse all’insediamento della Conferenza Provinciale (l’8 ottobre) che, nel secondo incontro, approvò il Regolamento interno, gli Indirizzi di programmazione e i Criteri generali del dimensionamento.

In quei criteri sancimmo che il dimensionamento ottimale:

√ per le scuole dell’obbligo coincideva, di norma, con il Comune e quando non c’erano i numeri, con il minor numero di Comuni possibile;

√ per le scuole secondarie superiori coincideva di norma con il Di-stretto, ma poteva essere anche sub-distrettuale e inter-distrettuale.

Si trattava, inoltre, di individuare quali scuole avevano forza numerica propria e quali invece dovevano essere unificate per ottenere l’autonomia. Per far questo vi erano una serie di parametri numerici da rispettare (primo tra tutti quello dei 500 alunni minimi per richiedere l’autonomia, stabili nel quinquennio). Con alcune variabili:

√ sul fronte numerico, per i comuni riconosciuti montani di poter organizzare istituti autonomi, dell’obbligo e superiori, anche con un numero inferiore di alunni rispetto al parametro standard (sino a un minimo di 300);

√ per quanto atteneva le modalità di unificazione, la scuola dell’obbligo poteva organizzare i cosiddetti istituti comprensivi, allora sconosciuti (che unificavano cioè scuola materna, elementare e media).

 

COME CI MUOVEMMO. Ci muovemmo con l’intento di offrire alle comunità locali una pluralità di scelte, articolate sul territorio, tali da agevolare l’esercizio del diritto all’istruzione; cercando un consenso molto esteso e su una larga e convinta adesione dei professionisti della scuola e delle famiglie; attivando un processo disteso, tranquillo, non affrettato, impostato con i tempi giusti e con la prudenza necessaria, per conoscere, argomentare, elaborare ipotesi, discuterle, rielaborarle di nuovo e giungere alle conclusioni che, in scienza e coscienza, ritenevamo le più opportune.

Mi presi l’impegno a chiudere con la decisione finale (che doveva poi essere avallata dalla Regione Toscana) entro il 31 dicembre dello stesso anno. Io presiedevo l’organismo chiamato a decidere, la Conferenza Provinciale, composta appunto dal Presidente della Provincia (che la convocava e la presiedeva), dai Sindaci dei 28 Comuni del territorio provinciale, dai 3 Presidenti di Comunità Montane, dal Provveditore agli Studi, dal Presidente del Consiglio scolastico provinciale. La questione la presi molto a cuore e con me la prese a cuore il nuovo assessore Moreno Canuti, che vi si dedicò con grande impegno.

Chi ha presente le dinamiche presenti negli istituti scolastici e sul territorio quando si va a toccare la scuola, può ben capire quanto l’impresa fosse ardua, ma andava accettata e gestita con intelligenza, perché il futuro del nostro Paese e della nostra Provincia – dicevo – si giocava in classe.

E infatti il percorso non fu affatto semplice, anche se non impossibile. Trovammo comprensione e disponibilità ma anche resistenze e impuntature. Per i sindaci vedere spostata una presidenza (magari nel comune vicino e rivale) o accorpati alcuni istituti sembrava la fine del mondo. Un po’ comprendevo e un po’ no. Un po’ resistevo e un po’ lasciavo correre. Tra le varie frizioni ricordo ancora bene quella avvenuta con il sindaco di Sorano, il compianto Ermanno Benocci, che non sentì ragione e si batté a modo suo (chi lo ricorda, sa con quanta veemenza) per una scelta, a mia modo di vedere (e di molti altri), sbagliata: aggregare il Liceo Scientifico di Sorano con il Liceo Scientifico a indirizzo linguistico di Castedelpiano invece che insieme al più logico accorpamento con Pitigliano e Manciano.

D’altronde bisognava chiudere con una proposta unitaria e non potevamo (né volevamo) farlo con la contrarietà gridata di un comune. E quindi ingoiammo quel rospetto e qualche altro.

La decisione finale la prendemmo il 22 dicembre 1998: definimmo 40 istituzioni autonome, quasi tutte in grado di guardare al futuro con fiducia e lo facemmo con un grande coinvolgimento democratico. Dico quasi tutte, perché mentre l’assetto di fondo avrebbe sicuramente retto anche negli anni a venire, erano palesi alcune criticità numeriche che si sarebbero evidenziate in seguito, sicuramente dopo cinque anni da quel momento. Le proiezioni statistiche sull’evoluzione della popolazione scolastica parlavano chiaro.

 

ALCUNE COSE CHE ANDAVO DICENDO NEGLI INCONTRI. Possiedo ancora il testo di quanto dicevo negli incontri di zona, dove erano presenti le maggiori preoccupazioni. Ne cito una parte.

“Siamo tutti chiamati ad accettare la sfida riformista, con quella saggezza che ci porta a conservare quanto di buono è stato sinora fatto ed a modificare radicalmente quello che non è più rispondente alle necessità degli studenti.

Nell’articolo in cui descrive la natura e gli scopi dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, il Testo licenziato dal Consiglio dei Ministri dice che: ‘L’autonomia scolastica si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo’ (art.1, c.2).

Ho voluto citare questo passaggio perché non abbiamo mai a dimenticare che l’obiettivo verso cui tendere è quello di ridisegnare un sistema scolastico che ruoti attorno allo studente, come persona in formazione, come soggetto di un percorso individuale.

Anche attraverso l’organizzazione delle autonomie funzionali alla definizione e alla realizzazione dell’offerta formativa (art. 1, c.1).

Per organizzare le quali, le istituzioni scolastiche autonome interagiscono tra loro e con le comunità locali (con la comunità territoriale, con il mondo del lavoro e con la famiglia).

Ecco che, allora, attraverso una rinnovata fase partecipativa siamo chiamati a costruire un nuovo modello di scuola non burocratico, né aziendale, ma comunitario dove il miglioramento venga costruito giorno dopo giorno attraverso il coinvolgimento di tutti gli attori.

Puntando a quella qualità che non si gioca solo nel fare cose nuove (che pur vanno pensate e realizzate), ma anzitutto nel fare nuove le cose che già si fanno, ponendo, lo ripeto, certosina attenzione alle concrete esigenze degli studenti, perché affrontino con fiducia e competenza i problemi della scuola e della vita.

Ho sempre sostenuto che il cambiamento passa attraverso la sommatoria delle azioni virtuose che ciascuno è chiamato a compiere. Ogni attore è chiamato a svolgere una parte, ed è su quella che deve concentrare il proprio sforzo”.

Confesso, con un briciolo di vanagloria, che alcuni sindaci e operatori scolastici si congratularono con me e Canuti per come avevamo condotto in porto quella delicata operazione. 













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