Dalla Parola di fuoco
alla scelta religiosa e l’impegno ecclesiale
Durante gli anni di esperienza diocesana in Azione Cattolica, la Parola
di Dio dimorava tra noi frequentemente. Passi della bibbia spesso citati
esaltavano la dignità dell’uomo (“l’hai
fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato”) e gli
consegnavano un compito molto operativo, quello di custodire e coltivare il
creato. I profeti dell’antico testamento gridavano contro l’ingiustizia sociale
(Amos), contro un Dio fatto a propria immagine e somiglianza (Osea), contro un
culto scisso dalla vita (Isaia), contro le false sicurezze (Geremia), contro i
pastori – guide spirituali e politiche – che sfruttavano le pecore
(Ezechiele).
Riecheggiavano spesso nei nostri incontri le
espressioni di Isaia: “Che m’importa dei
vostri sacrifici senza numero? dice il Signore. Smettete di presentare offerte
inutili, l’incenso è un abominio per me; noviluni, sabati, assemblee sacre, non
posso sopportare delitto e solennità. Quando stendete le mani, io allontano gli
occhi da voi. Anche se moltiplicate le preghiere, io non ascolto. Le vostre
mani grondano sangue. Lavatevi, purificatevi, togliete il male delle vostre
azioni dalla mia vista. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene,
ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano,
difendete la causa della vedova”.
Come gli sferzanti versetti dell’Apocalisse (3,15-16):
“Conosco le tue opere: tu non sei né
freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei
cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca”.
Ma anche le suggestive parole di Ezechiele: “Vi darò un cuore nuovo e metterò dentro di
voi uno spirito nuovo; toglierò dal vostro corpo il cuore di pietra, e vi darò
un cuore di carne” (a pensarci bene…un vero e proprio trapianto!).
E quelle consolanti di Geremia: “Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora
io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo”.
Tutto
questo oscillare all’ombra della Parola era fuoco per la nostra paglia di
adolescenti e il Vangelo ci appariva esplosivo e non oppio dei popoli, come
aveva detto il barbuto. Venivamo spinti a vivere l’esperienza del vangelo in
modo radicale.
Anche grazie a queste sollecitazioni sentivamo molto
affine e facemmo nostra la linea ufficiale della Chiesa italiana e dell’AC,
definita scelta religiosa e – in questo SECONDO TEMPO – ci impegnammo nei riguardi della comunità ecclesiale, dove come laici
provavamo ad esercitare la missione sacerdotale, profetica e regale derivante
dal battesimo. Con la particolarità segnalata dal documento conciliare
Lumen Gentium al numero 33, là dove si diceva che oltre all’apostolato che
spetta a tutti i fedeli senza distinzione, “i
laici possono anche essere chiamati in diversi modi a collaborare più
immediatamente con l’apostolato della Gerarchia a somiglianza di quegli uomini
e donne che aiutavano l’apostolo Paolo nell’evangelizzazione, faticando molto
per il Signore”.
Ci sentivamo un po’ come “Evòdia e Sìntiche” che – dice Paolo (Fil 4,3) “hanno combattuto per il vangelo insieme con me, con Clemente e con gli
altri miei collaboratori”. O come Prisca e Aquila “miei collaboratori in Cristo Gesù” che “per salvarmi la vita hanno rischiato la loro testa”; Epèneto,
Maria, “che ha faticato molto”,
Andronìco, Giunia, Ampliato, Urbano “nostro
collaboratore in Cristo”, Apelle “che
ha dato buona prova in Cristo”, Trifèna e Trifòsa “che hanno lavorato per il Signore” ed altri ancora (Rm 16, 3ss).
Dietro
questi nomi antichi ci piaceva vedere il volto di ciascuno di noi, componenti
l’Azione Cattolica. Eravamo esaltati? Un po’ pazzi? Rincitrulliti? Forse.
L’ardore era però più simile a quello degli innamorati.
Comunque
sia, con questi intenti ci mettemmo al
servizio della scelta religiosa della Chiesa italiana e dell’Azione Cattolica.
Anch’essa fu compresa da pochi, sembrava un ritirarsi in intimità, all’inizio
richiedette dei no e alcuni probabilmente la interpretarono in modo riduttivo.
Vittorio Bachelet, presidente nazionale dal 1964 al
1973, la ricordava così in un’intervista del 1979 (dove riprese le sue stesse
parole del 1965): “Di fronte a questo
mondo che cambia, di fronte alla crisi di valori, nel cambiamento del quadro
sociale e culturale, forse con una intuizione anticipatrice, o comunque con una
nuova consapevolezza l’AC si chiese su cosa puntare. Valeva la pena correre
dietro a singoli problemi, importanti, ma consequenziali, o puntare invece alle
radici? Nel momento in cui l’aratro della storia scavava a fondo riv oltando
profondamente le zolle della realtà sociale italiana che cosa era importante?
Era importante gettare seme buono, seme valido. La scelta religiosa – buona o
cattiva che sia l’espressione – è questo: riscoprire la centralità
dell’annuncio di Cristo, l’annuncio della fede da cui tutto il resto prende
significato”. Bachelet
lavorò per ricondurre l’AC in un alveo più propriamente religioso, liberandola
da ogni intreccio impropriamente politico. Agli appelli integralisti del
passato preconciliare doveva sostituirsi lo stimolo per una rigorosa formazione
delle coscienze. La svolta gli costò fatiche, incomprensioni e critiche da più
parti, ma essa divenne la regola della nuova Azione Cattolica.
Alberto Monticone, presidente nazionale dal 1980 al
1986 l’ha sintetizzata nel modo seguente: “Laicità
senza mondanità, impegno civile senza compromissione partitica, primato dello
spirito senza oblio della dimensione umana”.
Essa
portava con sé anche un modo nuovo di rapportarsi alla gerarchia ecclesiastica.
Per sua
natura l’AC è obbediente al Papa e ai Vescovi ma, come disse Bachelet a papa
Montini, in occasione della prima Assemblea nazionale del 1970 citando don
Primo Mazzolari, l’Azione cattolica era pronta a “obbedire in piedi”. Ed anche questo nuovo atteggiamento provocò
malumori tra prelati e laici clericali.
L’AC dunque
operava per una chiesa libera e liberante, dedita alla centralità dell’annuncio
di Gesù: una chiesa aperta e dialogante. E noi eravamo presi nel vortice.