mercoledì 17 dicembre 2008

LA QUESTIONE MORALE… NEI MIEI RICORDI

Questione morale si, questione morale no. Ma che diavolo! Cosa stiamo dicendo?
La questione morale c’è sempre stata e sempre ci sarà.
Perché riguarda noi, il nostro modo di essere e di relazionarsi con gli altri (presenti e futuri) e con le cose.
Non riguarda tanto i singoli errori che tutti commettiamo, le sbavature, ma la nostra persona nel suo dinamismo esistenziale e la scelta di fondo che E. Fromm delineava in un suo ancora attualissimo saggio: 'avere o essere?'
E’ tornato di moda parlare di questione morale riferita alle forze politiche e alla gestione della cosa pubblica. E’ bene che se ne parli, si indaghino le cause e si approntino adeguate terapie.
Che tipo di contributo offrire da parte mia? Teorico? No, sarebbe lungo e noioso. Proviamo la via pratica.

A conclusione dell’esperienza di Presidente della Provincia di Grosseto ebbi a tracciare un bilancio della nostra azione letto sotto la lente del primo obiettivo che ci eravamo posti: quello della ‘Provincia amica’.
Quasi all’inizio di quella riflessione (ancora oggi rintracciabile sul mio sito www.stefanogentili.it) dedicai alcune considerazioni proprio alla questione morale. Eccole.

“Uno dei capisaldi della nostra azione è sintetizzabile nella ‘questione morale’.
Atteggiamento mai gridato, né ostentato, si è concretizzato in un ventaglio di iniziative e di comportamenti.
Innanzitutto in un grande sforzo di trasparenza e comunicazione considerate entrambe presupposti e palestra del gioco democratico. Basti ricordare che il nostro Periodico ha avuto una tiratura complessiva di 129 mila copie; il Quotidiano ha diffuso oltre 6 mila notizie a quotidiani, istituzioni, associazioni, istituti di credito.
Il nostro Sito Internet è stato visitato da oltre 30 mila persone; sono state distribuite circa 3 mila segnalazioni di programmi comunitari, notizie e iniziative europee e circa 1000 segnalazioni e commenti giuridici.

Quindi nell'accettazione reale della separazione dei ruoli tra amministratori e dirigenti (anche nella individuazione degli incarichi che hanno sostanzialmente gestito questi ultimi assumendosi la responsabilità dei risultati) e nella ricollocazione dei dipendenti tutti sullo stesso piano a prescindere dalle appartenenze.

Poi, nelle pari opportunità effettivamente date a tutti coloro che si sono avvicinati ai concorsi promossi dall'Ente.

Ma anche nel rifiuto motivato di offrire risposte alle ‘particulari’ istanze di singoli cittadini e nel contestuale forsennato impegno a lavorare per risposte di quadro all'interno delle quali potessero trovare soddisfazione il maggior numero di necessità possibili.

Particolare attenzione è stata inoltre posta nel posizionare correttamente l'istituzione Provincia nei confronti delle forze politiche, anche di maggioranza, e dei soggetti sociali. Perché la Provincia amica è ‘amica di tutti’ e non di una sola parte, fosse anche quella che legittimamente ha vinto le elezioni (e che ha il diritto-dovere, di partecipare, nei modi istituzionalmente corretti, alla elaborazione delle grandi politiche dell'Ente).”

Tutto qua.
Stefano Gentili

sabato 15 novembre 2008

FAMIGLIA…FAMIGLIA…MA VA LA’…

Ho la mia collocazione culturale e sono anche schierato politicamente.
Spero che questo non mi impedisca di vedere le cose buone e quelle cattive da qualsiasi parte vengano.
Berlusconi proprio non mi piace, ma non sono indisponibile a cogliere eventuali positive novità del suo governo.
Tra le positive novità…non c’è la famiglia.
Ricordo come essa (la famiglia) fu strumentalizzata durante la campagna elettorale. Faremo questo, faremo quello e altro ancora…
La realtà purtroppo è una’altra.

L’Italia è oggi in Europa il paese che investe per la famiglia la minor percentuale di Prodotto interno lordo e nel 2009 sarà tagliato del 32% il Fondo per la famiglia.
Poco dopo l’insediamento (giugno 2008) il governo Berlusconi, cancellando una serie di provvedimenti del precedente governo Prodi, ha di fatto permesso la riattivazione dell’indecente pratica delle ‘dimissioni in bianco’, che come noto si abbatte soprattutto sulle lavoratrici precarie che rimangono incinte.
I tagli della Gelmini colpiranno le maestre e le precarie (la scuola è quasi tutta femminile) e riducendo l’orario di permanenza a scuola metteranno in seria difficoltà le famiglie che vedranno i bambini tornare a casa per il pranzo (evviva la famiglia riunita al desinare!)
Il sottosegretario Carlo Giovanardi tira fuori dal cilindro l’idea di un “prestito-bebè” di 5.000 euro, da restituire al tasso del 4% (bello sforzo! E poi, chissà quanti pignoramenti di bambini dei morosi e degli insolventi!).
Nonostante il dichiarato positivo intento del Ministro Brunetta di eliminare sprechi e abusi (e su questo sono con lui), l’occhio messo sulla legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate un po’ mi preoccupa (e non perché handicappato ne sono interessato) ma per i problemi che potrebbe creare per chi ha malati gravi da assistere in famiglia.

Nonostante all'interno del governo vi siano anche persone che parteciparono da protagonisti al famoso “Family-day” ed altri che lo appoggiarono con affermazioni roboanti, la famiglia è ancora maltrattata.
“Famiglia, famiglia…” si gridava.
Ma va là…..
Stefano Gentili

giovedì 6 novembre 2008

WE SHALL OVERCOME

Ho voglia di cantarla e la canto.

We shall overcome,
we shall overcome,
we shall overcome some day.

Oh, deep in my heart, I do believe
we shall overcome some day.

We shall live in peace,
we shall live in peace,
we shall live in peace some day.

Oh, deep in my heart, I do believe
we shall overcome some day.

We'll walk hand in hand
we'll walk hand in hand
we'll walk hand in hand some day.

Oh, deep in my heart, I do believe
we shall overcome some day.

Black and White together,
black and white together.
black and white together some day.

Oh, deep in my heart, I do believe
we shall overcome some day.


NOI TRIONFEREMO

Noi trionferemo,
noi trionferemo,
noi trionferemo un giorno.

Oh, in fondo al cuore ci credo,
noi trionferemo un giorno.

Noi vivremo in pace,
noi vivremo in pace,
noi vivremo in pace un giorno.

Oh, in fondo al cuore ci credo,
noi trionferemo un giorno.

Noi cammineremo mano nella mano,
noi cammineremo mano nella mano,
noi cammineremo mano nella mano un giorno.

Oh, in fondo al cuore ci credo,
noi trionferemo un giorno.

Neri e bianchi insieme,
neri e bianchi insieme,
neri e bianchi insieme un giorno.

Oh, in fondo al cuore ci credo,
noi trionferemo un giorno.

Tutto qui.

Stefano Gentili

lunedì 27 ottobre 2008

LA PRIMA “MOZIONE RAZZIALE” APPROVATA DAL PARLAMENTO ITALIANO: LE CLASSI-PONTE

Sento dire a mia figlia - che ha deciso autonomamente di prendere parte attiva alle manifestazioni studentesche – che l’idea delle cosiddette classi-ponte (o classi d’inserimento o meglio, come si dice tra la folla, classi per imparare l’italiano) è bene accetta anche da parte di molti che si oppongono ai provvedimenti Gelmini.
La ministra ha parlato di “problema didattico” e il capogruppo leghista Roberto Cota – presentatore della mozione - ha affermato che “le classi di inserimento sono uno strumento per garantire l’integrazione, servono a prevenire il razzismo e a realizzare una vera integrazione”.
Tutto bene quindi.

Come mai, allora, il super-moderato Pierferdinando Casini, leader dell’Udc, ha parlato di “vergogna” e spiegato che: “il principio su cui si regge la democrazia è l’integrazione delle diversità. Se si continua sulla strada della demagogia, davvero il razzismo risorgerà e forse, come in passato qualcuno pensava di mettere una stella di Davide sugli ebrei, oggi qualcuno teorizzerà di mettere le “i” di immigrati sui bambini nelle classi separate”?
Contrari alla mozione sono pure Cgil, Cisl, Ugl; il leader del Partito Democratico Walter Veltroni ha invocato l’Altissimo: “Dio ce ne scampi” e Alessandra Mussolini, presidente della Commissione parlamentare per l'infanzia, ha parlato di “un provvedimento di stampo razzista”?
Cota, all’opposto, ha rincarato dicendo: “chi sostiene che vi sia la volontà di discriminare o non ha letto il testo o è in malafede”.
Dunque, ignoranza o malafede, oppure la proposta non è così ingenua come a prima vista potrebbe apparire?
No, non è ingenua. Tutt’altro.

Ad esempio, la questione dell’insegnamento dell’italiano è solo una scusa. “Tutti sanno che le cosiddette ‘classi di inserimento’ non sono efficaci allo scopo. I risultati migliori si ottengono con classi ordinarie e con ore settimanali di insegnamento della lingua” dicono quelli di Famiglia Cristiana. E in Italia questo, in parte, già avviene.

Poi, andiamo a leggere la mozione approvata dal Parlamento fino in fondo, come suggerisce Cota.
Prevede che i bambini immigrati, oltre alla lingua italiana, debbano apprendere il “rispetto di tradizioni territoriali e regionali”, della “diversità morale e della cultura religiosa del Paese accogliente”, il “sostegno alla vita democratica” e la “comprensione dei diritti e dei doveri”.
Eppoi???
Qualcuno sa dire come spiegarlo a un bambino di 5-6 anni, che deve ancora apprendere l’italiano?

“Se l’integrazione è un bene (tutti la vogliono), dev’essere interattiva – ricordano gli Sciortino-Boys. “E allora, perché non insegniamo agli alunni italiani il rispetto delle ‘tradizioni territoriali e regionali’ degli immigrati? Ha detto bene il cardinale Scola: ‘I buoni educatori devono saper favorire l’integrazione tra le culture, che è una ricchezza per tutti’. Il rischio, altrimenti, è una società spaccata in due, di cui una con meno diritti dell’altra”.

Nel tentativo di comprendere come stiano veramente le cose, mi sembra particolarmente illuminante l’analisi fatta dal prof. Antonio Nanni, docente di filosofia e pedagogia, vicedirettore della rivista ‘Cem-Mondialità’ e responsabile dell’ufficio studi delle Acli.
“La mia convinzione – ha scritto Nanni - è che dietro la proposta delle classi-ponte si nasconda il vero modello di integrazione che vuole la Lega e forse l’intero centro destra, vale a dire quella forma di apartheid etnico e culturale che si chiama ‘comunitarismo’, basato appunto sulla separazione e sulla differenziazione in tutto, anche nei diritti. Ecco perché si cerca di cogliere ogni occasione per fare un passo dopo l’altro nella direzione di una discriminazione razziale a piccole dosi. Ieri con la scusa delle impronte, oggi con la trovata delle classi-ponte. Ciò che più sembra interessare è segregare, dividere, contrapporre”.
E aggiunge, per quelli ai quali può interessare: “La riflessione di fondo che andrebbe fatta riguarda la distanza abissale tra i valori e le prospettive del pensiero sociale cristiano e le scelte culturali che di fatto sta operando l’attuale governo. Da una parte troviamo l’accoglienza nella legalità, la prospettiva dell’integrazione interculturale e il primato del bene comune. Dall’altra si fa strada la politica della sicurezza al posto dell’accoglienza, il modello del multiculturalismo, invece che l’interculturalità, lo spirito di contrapposizione invece che di unità nazionale”.

L’analisi è seria, magari difficile per i più, ma io penso che in questo tempo tutti dobbiamo fare lo sforzo di ‘pensare andando in profondità’: quindi invito i frequentatori del mio blog ad approfondire i termini “comunitarismo”, “multiculturalismo”, “intercultura” e coglierne le differenze.

Per concludere, usando un linguaggio giornalisticamente più piano, ricorro di nuovo a quei taoisti di Famiglia Cristiana: “Alle difficoltà reali si risponde con proposte adeguate, come s’è fatto col maestro di sostegno. In Italia non abbiamo più classi speciali per portatori di handicap, ci sono scuole dove sordi e muti stanno insieme a chi parla e sente. La mozione approvata dal Parlamento fa scivolare pericolosamente la scuola verso la segregazione e la discriminazione. Si dice ‘classi ponte’, ma si legge ‘classi ghetto’.
Negli anni Sessanta, quando bambini napoletani, calabresi o siciliani andavano a scuola a Novara, nessuno s’è sognato di metterli in una ‘classe differenziale’ perché imparassero italiano, usi e tradizioni del Nord, né di far loro dei test d’ingresso. Perché ora ci pensa il novarese Cota?”
Già.
Stefano Gentili

venerdì 24 ottobre 2008

L’INSEGNAMENTO DEL ’68

“Estirpare dalla scuola i residui del ’68” ha più volte declamato Tremonti, altri da tempo dichiarano di volere “desessantottizzare la cultura”, ora anche il postulatore della causa di beatificazione di Pio XII ha parlato di “sessantottini che non amano Pacelli”.
Ma insomma questo ’68 ha proprio rappresentato la madre di tutte le sciagure?
Mi piacerebbe sapere che ne pensate.

Viene presentato da alcuni come una stagione di violenze e disordini, come se il terrorismo fosse nato allora, come se lì fosse nato il disordine sociale e morale, la crisi della famiglia, della religione, della scuola, dell’economia e…chi più ne ha più ne metta.
Tutti luoghi comuni e pure falsità.
La verità è diversa e anche se oggi viviamo il tempo delle opinioni e i fatti non contano un fico secco, i fatti di quegli anni sono ancora scolpiti nella memoria. Nella mia di rimbalzo, più vivi in quella di Angelo Bertani che li ha rievocati in un articolo sul Messaggero di Sant’Antonio.

Quello fu in realtà un periodo di grande disagio; disagio… quasi doloroso.
Gli anni sessanta erano stati quelli delle folli spese militari per costruire bombe atomiche e missili, della fine ingloriosa del colonialismo, del Vietnam, dei morti per fame nel Terzo mondo, delle repressioni in America Latina, dell’apartheid negli Usa e in Sudafrica.
Erano stati gli anni dello sviluppo selvaggio a base di catrame e cemento, del consumismo fondato su moglie, macchina e mestiere e aveva preso forma un sistema sempre più ricco di denaro, risorse materiali e conformismo e sempre più vuoto di giustizia, di valori veri, di moralità.
Fu anche un momento di grande stordimento: gli americani dovettero fuggire dal Vietnam dopo averlo messo per anni sotto l’incudine e il martello, negli Usa furono uccisi Martin Luther King e Bob Kennedy. Guerre e genocidi devastarono l’Africa (Nigeria e Biafra su tutti) e l’America Latina fu teatro di guerriglia e repressione selvaggia.
In Italia il terremoto del Belice evidenziò la povertà della gente e il malcostume negli aiuti. Ad Avola la polizia uccise alcuni dimostranti.
L’università era un museo delle cere, separato dal mondo vivo e luogo di cultura dei privilegiati.

Come era possibile che non esplodesse un movimento di protesta, di critica e di richiesta di profondi e radicali cambiamenti.
Come era possibile?
Alcuni anni prima (1962) Giovanni XXIII aveva avviato un Concilio e pubblicato la Pacem in Terris. L’anno prima (1967) Paolo VI aveva lanciato il grido della Populorum progressio, denuncia e sfida planetaria per un diverso modello di sviluppo fondato sull’uguaglianza e la cooperazione tra i popoli.
Come era possibile?
E allora molti giovani si posero il problema di come contribuire al cambiamento, partendo da se stessi e volarono volontari per il Terzo mondo, altri scelsero di cambiare le professioni alle quali erano destinati per censo: fecero i giornalisti invece dei notai, i magistrati invece degli avvocati, i sindacalisti invece dei commercialisti.
Studenti della classe media parteciparono alle azioni sindacali, andarono a fare doposcuola nelle periferie, come aveva insegnato Paulo Freire e Don Milani. Altri cominciarono a rifiutare i matrimoni di convenienza, le cordate politiche.
Chiedevano università aperte non solo ai ricchi, una cultura che fosse motore di cambiamento continuo, che favorisse la creatività, che offrisse competenza professionale ma anche valori da vivere.
Quel movimento denunciava un disagio reale e chiedeva un radicale cambiamento.

E quale fu la risposta? Fu la repressione, l’autoritarismo dentro le università e politicamente una netta svolta all’interno del partito egemone di allora, la DC che, nel congresso del ’69, mise in minoranza Aldo Moro (uno dei pochi che aveva capito la novità della contestazione giovanile) e avviò la politica di centro-destra. Quella fu la vera tragedia: la cecità delle classi dirigenti che non vollero capire la necessità del cambiamento.

Io penso che una cosa analoga, anche se diversa nelle forme, stia per riesplodere, nonostante l’apparente rassegnazione. Lo dico non per analisi sociologica, ma per fatto statistico: ogni certo numero di anni accade qualcosa che chiede, promuove o provoca cambiamento. Io non lo vedrò, ma accadrà.
Anche perché è richiesto da qualcuno molto influente: Papa Benedetto. Quando incontra i giovani li invita ad essere coraggiosi e liberi: “Non arrendetevi, non siate conformisti, abbiate il coraggio di cambiare il mondo!”.
L’attuale crisi insegna che ce ne è veramente bisogno.
O no?
Stefano Gentili

sabato 18 ottobre 2008

CAPITALISMO

Non ho nulla da aggiungere alle profetiche ed elementari considerazioni sul sistema capitalistico fatte da Papa Giovanni Paolo II nel lontano 1991, salvo ricordare che sono state da ‘tutti’ confinate nel dimenticatoio.
“Si può forse dire che, dopo il fallimento del comunismo, il sistema sociale vincente sia il capitalismo, e che verso di esso vadano indirizzati gli sforzi dei Paesi che cercano di ricostruire la loro economia e la loro società?
È forse questo il modello che bisogna proporre ai Paesi del Terzo Mondo, che cercano la via del vero progresso economico e civile?
La risposta è ovviamente complessa.
Se con «capitalismo» si indica un sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell'impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creatività umana nel settore dell'economia, la risposta è certamente positiva, anche se forse sarebbe più appropriato parlare di «economia d'impresa», o di «economia di mercato», o semplicemente di «economia libera».
Ma se con «capitalismo» si intende un sistema in cui la libertà nel settore dell'economia non è inquadrata in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale e la consideri come una particolare dimensione di questa libertà, il cui centro è etico e religioso, allora la risposta è decisamente negativa.
La soluzione marxista è fallita, ma permangono nel mondo fenomeni di emarginazione e di sfruttamento, specialmente nel Terzo Mondo, nonché fenomeni di alienazione umana, specialmente nei Paesi più avanzati, contro i quali si leva con fermezza la voce della Chiesa. Tante moltitudini vivono tuttora in condizioni di grande miseria materiale e morale. Il crollo del sistema comunista in tanti Paesi elimina certo un ostacolo nell'affrontare in modo adeguato e realistico questi problemi, ma non basta a risolverli.
C'è anzi il rischio che si diffonda un'ideologia radicale di tipo capitalistico, la quale rifiuta perfino di prenderli in considerazione, ritenendo a priori condannato all'insuccesso ogni tentativo di affrontarli, e ne affida fideisticamente la soluzione al libero sviluppo delle forze di mercato.” (Centesimus annus 42).

Stefano Gentili

giovedì 16 ottobre 2008

QUELL’ISTITUZIONE CHE CHIAMATE SCUOLA

1. Un’altra modalità per fare cassa partorita dal ministro Gelmini riguarda la riduzione delle ore di permanenza dei soggetti a scuola.
Forse tifosa della ‘didattica breve’ Mariastella risolve le difficoltà di apprendimento dei ragazzi in alcune discipline con l’offerta di un tempo di formazione più limitato.
Insomma, gli allievi stanno troppo a scuola! Che tornino a casa quanto prima!
Si chiede cioè alla famiglia, già alle prese con qualche problemino (!), che pensi lei a migliorare o a integrare quello che la scuola non riesce a fare.
Le famiglie che non riescono a farlo direttamente, e che hanno qualche soldino da parte (?), possono sempre ricorrere a centri o a soggetti specializzati.

Con il maestro unico i bambini delle scuole elementari dovranno tornare a casa alle 12,30: l’orario scolastico di 24 ore settimanali, cioè 4 al giorno, non potrà prevedere moduli pomeridiani e attività integrative.
Complessivamente ci sarà una drastica riduzione del tempo pieno (dove si fa) e del tempo prolungato nelle scuole dell’infanzia, elementari e medie.
Attenzione, però, a un ‘voluto fraintendimento’? La ministra dice che non è vero niente e che le attività pomeridiane potranno continuare.
Certo che potranno continuare, nella logica dell’autonomia di cui ogni scuola gode, ma ….con una ‘piccola differenza’: che queste attività per esercitarle dovranno essere pagate dal singolo istituto, dal suo fondo e da quello che riesce a reperire sul territorio.
Vista la sostanziale assenza di risorse economiche delle scuole, le attività pomeridiane potranno continuare solo in certe aree del nostro paese. E amen!

2. C’è poi da dire che una cosa è il tempo pieno e altra il doposcuola.
Ma questo discorso richiede una digressione teorica, che nei fatti si è tradotta e si traduce in cose molto pratiche.
Nel corso degli anni ’50 iniziò quel grande movimento della cosiddetta “scuola attiva” figlia dei pionieri d’inizio secolo quali Maria Montessori, Giuseppe Lombardo Radice, le sorelle Agazzi, Ovide Decroly, Adolphe Ferriere, John Dewey, William Heard Kilpatrick e altri.
La scuola iniziò a conoscere il “metodo globale”, la “scuola del lavoro”, il “metodo dei progetti”. I maestri in quegli anni (almeno alcuni) si sentirono orgogliosi delle nuove prospettive e si accorsero che alle discipline si ponevano traguardi di carattere educativo di grande portata, tali da liberare le naturali propensioni dei ragazzi.
Fu allora che nacque l’esigenza di una scuola che impegnasse in un “tempo pieno”: si sarebbe creato lo spazio per fare dell’alunno il ‘protagonista’ del suo crescere, sia per la possibilità di imparare a imparare, sia per il riemergere di attività quasi accantonate come la musica, le attività motorie, il disegno, le lingue straniere, le attività di manipolazione, l’accostamento ai primi strumenti tecnologici, sia per i momenti di comunione creati con il gioco, la mensa, le esplorazioni all’aperto.
Fiorirono scuole a tempo pieno che permisero a non pochi bambini che vivevano isolati, di inserirsi grazie ai pulmini comunali, in ambienti migliori, con altri compagni, materiale didattico più ricco, possibilità di movimento sul territorio. E chi aveva mai visto prima…..il mare, le sedi delle istituzioni, il teatro…!
Negli anni quell’esperienza è cresciuta e ancora oggi fa perno sull’importanza del dialogo, del lavoro di gruppo, dello sguardo sul territorio, del lento ma solido maturare della responsabilità.
E, specie in alcune aree del paese, c’è proprio bisogno non di “scuole minime”, ma di “scuole aperte” tutto il giorno, ricche di animatori che facciano sentire ai ragazzi che la vita ha il senso di scoprire sia i valori, le bellezze, gli affetti descritti nel passato e immortalati nei libri, sia vivi nel presente e da conoscere vivendo a contatto con gli altri e con la natura.

Non che tutto sia andato per il verso giusto: nel tempo talune esagerazioni, esasperazioni della socializzazione rispetto all’insegnamento, alcuni approcci ideologici nelle attività, disistima per l’esperienza passata e altro ancora, hanno un po’ sciupato le interessanti novità.
La didattica per progetti –in inglese “problem solving approach” – quando ben condotta ha permesso il raggiungimento di lusinghieri risultati didattici, ma quando condotta male ha prodotto attività, magari coinvolgenti, ma poco fruttuose sul piano degli apprendimenti.
Alcune sollecitazioni avanzate da Edgar Morin, legate ad un approccio sistemico, anti-istruttivista e anti-disciplinare hanno trovato un discreto consenso.
Ovviamente qui siamo molto nell’opinabile e i risultati sono legati unicamente all’esperienza.

3. Quindi nulla di strano che – come ritengo abbia cercato di fare anche il precedente ministro- si giunga a dire “meno progetti, più grammatica, più tabelline” (Giuseppe Fioroni a un tg dello scorso anno).
Espressione da telegiornale certo, ma che sembra rifarsi al “Back to the basics” (letteralmente, ritorno agli elementi fondamentali), vasto movimento di riforma della scuola sorto negli Stati Uniti intorno alla metà degli anni ’80, sotto la presidenza di Ronald Reagan, quando valutazioni internazionali mettevano a nudo la scarsa preparazione degli studenti americani rispetto ai loro coetanei degli altri paesi.
Alla luce di quelle difficoltà emerse la convinzione che fosse necessario riportare l’attenzione delle istituzioni scolastiche sulla trasmissione delle discipline e delle abilità di base: la lingua parlata, la matematica, la storia e le scienze.
In effetti le “Indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo dell’istruzione” del settembre 2007 (quindi, regnante Prodi e Fioroni comandante in capo del Ministero della Pubblica Istruzione) emanate in via sperimentale per un biennio, si muovevano in questa direzione, ribadendo, per esempio, nella scelta delle materie, la conferma di discipline e denominazioni a tutti note, senza lasciarsi trascinare dalle mode e dichiarando esplicitamente la finalità generale della scuola nel “formare saldamente ogni persona sul piano cognitivo e culturale”.
E coerentemente a questa impostazione più istruttiva (che educativa), quelle indicazioni eliminarono le sei educazioni della Moratti (stradale, ambientale, alimentare, alla cittadinanza, alla salute, all’affettività). Senza naturalmente negarne l’importanza, ma scegliendo di ricomprenderle trasversalmente all’interno di tutte le attività che la scuola realizza e non dedicando loro tempi e spazi separati.
Le indicazioni e ancor più le interviste di Fioroni, lasciavano trasparire l’intento di muoversi sulla strada opposta a quella eccessivamente concentrata sulla didattica per progetti che, spesso, ha rubato tempo ai contenuti disciplinari e li ha di fatto eliminati, invece di riorganizzarli in forme nuove.

4. Voglio dire che il problema non sono Fioroni o la Gelmini (anche se le differenze ci sono) e si può discutere di tutto, ma bisogna appunto discutere, in modo disteso e prendere poi meditate decisioni, magari non epocali (come quelle di Berlinguer e della Moratti) bensì fatte col cacciavite (come ebbe a dire Fioroni).
La strada del decreto legge e della votazione di fiducia sono tutto fuorché la volontà di discutere con gli operatori scolastici, i sindacati, le parti politiche.
Ovviamente, terminata la discussione bisogna decidere ed assumersi le relative responsabilità.
Ma con quella sapienza pedagogica, capacità innovativa e amore per i ragazzi che traspare dalla “Lettera a una professoressa” della Scuola di Barbiana.

“Cara signora, lei di me non ricorderà nemmeno il nome. Ne ha bocciati tanti. Io invece ho ripensato spesso a lei, ai suoi colleghi, a quell’istituzione che chiamate scuola, ai ragazzi che ‘respingete’. Ci respingete nei campi e nelle fabbriche e ci dimenticate” (…)
Sandro aveva 15 anni. Alto un metro e settanta, umiliato, adulto. I professori l’avevano giudicato un cretino. Volevano che ripetesse la prima per la terza volta.
Gianni aveva 14 anni. Svagato, allergico alla lettura. I professori l’avevano sentenziato un delinquente. E non avevano tutti i torti, ma non è un motivo per levarselo di torno.
Né l’uno né l’altro avevano intenzione di ripetere. Erano ridotti a desiderare l’officina. Sono venuti da noi perché noi ignoriamo le vostre bocciature e mettiamo ogni ragazzo nella classe giusta per la sua età.
Si mise Sandro in terza e Gianni in seconda. E’ stata la prima soddisfazione scolastica della loro povera vita. (…)
La seconda soddisfazione fu di cambiare finalmente programma. (…)
Sandro in poco tempo s’appassionò a tutto. A giugno il ‘cretino’ si presentò alla licenza e vi toccò passarlo. (…)
Gianni fu più difficile. Dalla vostra scuola era uscito analfabeta e con l’odio per i libri. Noi per lui si fecero acrobazie. (…) Ci occorreva solo che lo riempiste di lodi e lo passaste in terza. Ci avremmo pensato noi in seguito a fargli amare anche il resto. Ma agli esami una professoressa gli disse: ‘Perché vai a una scuola privata? Lo vedi che non ti sai esprimere?’ Lo so anch’io che Gianni non si sa esprimere. Battiamoci il petto tutti quanti. Ma prima voi che l’avevate buttato fuori di scuola l’anno prima. Bella cura la vostra”. (Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, ed. Lef Firenze 1996, pagg. 9-16-17-18).

Stefano Gentili

sabato 11 ottobre 2008

LA SCUOLA SERIA E RIGOROSA

Un ulteriore messaggio che si è inteso offrire con le proposte del ministro Gelmini riguarda la spinta verso una scuola seria e rigorosa con la scelta-simbolo del “nuovo voto in condotta”.
Nuovo? Manco per niente!
Il voto in condotta (insieme ai voti in decimi) era scomparso nella scuola elementare e media nel 1977 e dal 1999 con l’istituzione dello statuto dei diritti degli studenti, nelle scuole superiori, non poteva più determinare la bocciatura. La nuova norma riporta la scuola italiana al 1923: con il primo Regio Decreto della riforma Gentile (RD 1054), il regime fascista stabiliva infatti in materia esattamente le stesse norme di oggi, tranne per il fatto che il voto minimo in condotta era il 7 e non il 6.

E’ peraltro vero che la questione del modo di stare a scuola degli studenti e del loro essere più o meno educati, rispettosi degli altri e delle cose di tutti, è reale e merita la massima attenzione.
Specie di fronte agli imbecilli che esercitano forme di violenza e disprezzo verso tutto quello che circonda il loro ombelico.
La risposta legata al VOTO IN CONDOTTA e alle sue conseguenze in caso di insufficienza può in parte servire da deterrente, ma lasciata a se stessa è un pannicello caldo, si vede ma serve a poco.
Certo,ora il voto di condotta concorrerà alla valutazione complessiva dello studente e questo può essere un’utile novità specie per i più grandi.

Mi viene quindi da dire: proviamo pure questa azione, ma non aspettiamoci risultati strabilianti.
Il suo peccato originale sta nell’idea che per ottenere un risultato comportamentale adeguato bisogna incentivare la paura della bocciatura.
Le strategie educative sono un’altra cosa. A meno che non si riduca l’educazione alla disciplina, perché allora basta la bacchetta o la frusta.
Gli stessi problemi di bullismo, violenza e di scarsa autorevolezza di certi docenti richiede ben altro.
Chi vive a scuola sa che, per i ragazzi dal comportamento difficile, non serve brandire lo spauracchio del 5 in condotta e delle sue conseguenze. Sa che per acquisire autorevolezza e dare valore e riconoscimento al lavoro scolastico, si deve partire dalle relazioni educative. I ragazzi vanno motivati e resi partecipi della progettazione dei loro apprendimenti.
E poi…c’è un …perché?
Perché i ragazzi (non tutti) sono così poco educati?
Non svicoliamo: la scuola è ciò che è la famiglia e la famiglia è ciò che è la società. E allora perché non intervenire in questi ambiti? Lo so, è tremendamente difficile e poco popolare, quindi non può essere fatto da governi plebiscitari. Pertanto l’impressione del voto-spauracchio che si trasforma in voto-pannicello caldo rimane tutta in piedi.

Comunque sia, e nonostante le perplessità, proviamo pure con il 5 in condotta e la bocciatura, ma la ministra ben presto si accorgerà – per dirla con il liberale Federico Orlando – “di dover difendere i suoi begli occhi e occhiali dalle grinfie di madri e padri anche ultraberlusconiani, ultrafascisti, ultraforzisti che però non vogliono storie con i voti e la promozione e dalla scuola pretendono non che educhi i figli per mezzo della cultura, ma che li mantenga e li accompagni fino al diploma. E se qualcuno infila le mani nel tanga della professoressa, pazienza”.

Stefano Gentili

giovedì 9 ottobre 2008

LA VALORIZZAZIONE DEL MERITO

L’offerta del ritorno al buon tempo antico, elargita con generosità dal governo, si fa forte di una premessa-promessa: quella di un futuro nel quale il “merito” sarà riconosciuto.
La madre di tutte le battaglie, in questo caso, è l’introduzione della BOCCIATURA, possibile ora anche con una sola materia insufficiente. Recita infatti il decreto recentemente approvato, al comma 3: “Sono ammessi alla classe successiva, ovvero all’esame di Stato a conclusione del ciclo, gli studenti che hanno ottenuto un voto non inferiore a sei decimi in ciascuna disciplina o gruppo di discipline”.
Si, perché è la “selezione” – si dice – lo strumento più adatto per valorizzare il merito. Valorizzare…..bocciando.
Veniva ricordato giorni fa, che il nostro paese ha il più alto tasso di bocciature nel biennio delle secondarie di secondo grado, con particolare forza nelle scuole professionali e tecniche. In certi casi fino a oltre il 30%. La cosa riguarda adolescenti e già questo avrebbe dovuto portare a riflettere per capirne le ragioni e approntare possibili strategie di successo.
Invece si sceglie una strada completamente diversa: iniziare a bocciare da subito. Quasi una sorta di “eugenetica primaria”. Eh si, perché bocciare con indifferenza alle elementari e alle medie (forti di coloro che sempre dicono: “dovevamo fermarli prima”) vuol dire fare una scelta classista (mi si passi il termine retrò): buona parte delle capacità scolastiche e delle motivazioni positive o negative verso l’insegnamento del bambino o del preadolescente, dipendono dalla famiglia nella quale vive e dallo spazio sociale dove agisce.

Se a questo si aggiunge l’altra sorpresa, la reintroduzione della VALUTAZIONE NUMERICA, c’è da che preoccuparsi.
Sia chiaro, è una azzeccata mossa populista: “era l’ora, si sente dire tra gli adulti, di tornare ai vecchi numeri, così chiari e semplici, alla portata di tutti”. Ma l’utilità dello strumento simbolico quantitativo è tutta qui. Infatti nulla aggiunge alla conoscenza dei problemi di apprendimento dei bambini e dei ragazzi.
La valutazione qualitativa invece ha lo scopo di cercare di capire quello che accade nel ragazzo e quindi di intervenire per aiutare le attività di assimilazione e di costruzione della conoscenza.
Il voto numerico, anzi, aggiunge una nuova problematica che corrisponde alla domanda: chi interpreta il valore numerico? Cosa significa quel 7 e quel 3, cosa ci sta dietro? L’interpretazione cade tutta – senza possibilità di confronto e verifica con altri soggetti scolastici – sulle spalle del singolo insegnante.
Mi viene da ridere, no da piangere, se penso agli 1, ai 2, ai 3, ai 4, ai 5 che fioccheranno al posto del vecchio NS (non sufficiente). Ma anche dei 9 e 10 dati a casaccio. A vantaggio di chi?

E poi, un’altra cosa.
A parte gli insegnanti che adopereranno la clava del voto per mettere insufficienze, magari meritate dagli alunni sfaticati, asini o stupidi, e quindi con sufficiente tranquillità li condurranno alla bocciatura, la maggiore parte del corpo docente delle scuole medie (oggi dette secondarie di primo grado) supererà la questione affiancando ai voti griglie di valutazione, tassonomie e altro.
E mentre nel vecchio Sufficiente (se si voleva comunque pro-muovere il ragazzo) ci si faceva rientrare il “pienamente sufficiente”, il “quasi sufficiente” e “l’NS+ (non sufficiente più)” – si, tutte pippe dei docenti, come pensano in molti, ma di una qualche utilità – ora il “quasi sufficiente” sarà 5 e mezzo, “l’NS+” 5 + ed essendo ricompresi sotto il 6, non potrà essere altro che un 5; ma 5 vuol dire bocciatura.
Non solo, ma per evitare questa vera e propria strage, salvo sanatorie in extremis basate sull’umore dell’uno o dell’altro, la maggior parte degli insegnanti abbasseranno i criteri di valutazione e di conseguenza i livelli di apprendimento (come dire: invece di svolgere tutto il programma, con adeguati approfondimenti, si concentreranno su poche acquisizioni fondamentali, le ripeteranno all’infinito e le ficcheranno nelle teste degli alunni).
E …abracadabra….giungeremo allo splendido risultato di abbassare il livello di preparazione di tutti gli alunni.

Un’ultima annotazione: a scuola si è sempre promosso e bocciato, talvolta con giudizio altre volte meno. Fermare un alunno in determinate circostanze può essere un utilte motivo di riflessione e di cambiamento.
Pensare di bocciare per una sola materia insufficiente e in particolare alle medie può addirittura nella fase preadolescenziale favorire l’abbandono scolastico appena possibile e rendere la scuola ancora più bastarda di come talvolta la si percepisce (da parte di taluni ragazzi). Con ciò favorendo la dispersione scolastica e in certi casi la micro-delinquenza giovanile.

Eureka, che risultato.
Ripensaci, Stella mia, ripensaci.
Stefano Gentili

martedì 7 ottobre 2008

A COSA SERVE LA “MAESTRA UNICA”?

Elogiato il "calamaio" mi accingo ad analizzare le misure del governo sulla scuola provando a dare per scontate alcune cose.
A) Che non è vero che ci vogliono riportare al piccolo mondo antico col solo motivo di raccattare consenso tra gli adulti e gli anziani: quelli, insomma, del “come si stava meglio quando si stava peggio”.
B) Che non vi sia la tremontizzazione della scuola: nel senso di adottare misure per far cassa o, in quelle più ideologiche, per “togliere la scuola dalle grinfie del ‘68”.

Prendo allora in esame il provvedimento più strutturale dell’azione governativa: il ritorno al maestro unico nella scuola primaria.
A dire il vero bisognerebbe parlare di “maestra unica”, perché il 99% del corpo insegnante di queste scuole è femminile.
Francamente non riesco a trovare valide ragioni pedagogiche e didattiche che giustifichino la nuova soluzione. Fanno ovviamente sorridere quelle del tipo: “anche io ho avuto una sola maestra”.

Se non erro si ipotizza che l’insegnante unico possa migliorare la qualità dell’apprendimento. E come? Sarà forse vero il contrario: è più competente e capace di favorire l’apprendimento dei bambini l’insegnante che ha un’area più ristretta da insegnare.

Si dice, poi, che il bambino ha bisogno di un unico punto di riferimento educativo forte. E quando mai? Allora, anche in famiglia dovremmo ipotizzare soluzioni monoeducative: come fa il piccolo tra il babbo, la mamma, il fratello, la sorella, la nonna, la badante, la baby-sitter? Fa, fa!
Come fa a casa, fa a scuola. Mio figlio che ha frequentato le prime due classi elementari, ha scelto autonomamente la sua maestra punto di riferimento. E le altre hanno rappresentato altrettanti riferimenti importanti e autorevoli.

Si dice, inoltre, che tre insegnanti sono troppi per una classe, lasciando intendere che sono impegnati in una classe sola; ma non è così.
Si dice che il rapporto insegnati-alunni sia eccessivo (e talvolta è vero, ma si può riequilibrare in tanti modi) e si presentano confronti con altri stati. Ma in quel computo ci si dimentica di dire che sono compresi anche gli insegnanti di sostegno, perché a suo tempo è stata fatta una scelta di civiltà: l’integrazione nelle classi di tutti degli alunni con disabilità e problemi gravi.

In verità le nostre scuole dell’infanzia ed elementari sono tra le prime al mondo; le difficoltà vengono nella secondaria e nell’università. E cosa si fa? Si interviene a gamba tesa sulla prima.
Se siamo a livelli così alti nel confronto internazionale (a differenza degli altri gradi di scuola) non dipende dal caso, ma da scelte coraggiose e lungimiranti come quella di avere optato per più presenze all’interno della classe.
La qual cosa ha permesso di individualizzare l’insegnamento, personalizzare l’apprendimento, la pratica dei gruppi cooperativi, il rinnovamento della didattica (che appunto negli altri gradi di scuola non si è realizzato).

Oggi, poi, le classi sono sempre più “colorate” di bambini provenienti da altri contesti culturali e la scuola primaria è all’opera per farsi luogo di esperienze di accoglienza e di convivenza civile. E come farà, allora, la maestra unica a far fronte all’immane compito?
No, no. Non capisco, non trovo un barlume di razionalità pedagogica nella proposta.

Forse ho ciccato nella premessa: si può trattare solo di risparmio economico (si parla di 9 miliardi) condito con una buona dose di furore ideologico. Così facendo, temo, che non saranno distrutte solo le utopie della sinistra e i fantasmi del ’68, ma la stessa riforma Moratti (vedi ad esempio l’équipe pedagogica), che non mi era del tutto dispiaciuta.
“Ci vorrà qualche anno prima che si vedano i risultati della riforma” ha detto il ministro Maria Stella Gelmini.
Meno male, dico io.
Stefano Gentili

sabato 4 ottobre 2008

ELOGIO DEL CALAMAIO E DI MARIASTELLA-ULISSE

Oggi è il 4 ottobre e non è un giorno qualunque: è S. Francesco d’Assisi, il piccolo-grande uomo. Ma è un giorno importante anche nei miei ricordi: quando ero bambino l’anno scolastico era iniziato da 3 giorni ed era subito festa, proprio il giorno di S. Francesco.
Ricordo, i primissimi giorni della Prima Elementare, il fascino del calamaio e del pennino: lo si usò per poco tempo, ma che bello… Era inserito in un banco biposto dentro un rotondo buco; era nero e aveva un odore sublime.
Facevamo le astine e i quadratini e di tanto in tanto sbaffavo la pagina e le dita e il palmo della mano si coloravano in modo quasi indelebile.
Andavo a scuola con un grembiule nero e un grande fiocco azzurro; stavo bene in quel piccolo mondo antico.
E la maestra: che dolce. Ci apriva la mente alle prime conoscenze, ci faceva toccare con mano cose mai sperimentate prima e, soprattutto…faceva la mamma. Non una mamma qualsiasi, ma la mamma-mamma, il nostro forte ancoraggio e sicuro riferimento. In classe solo lei e noi, qualche volta il custode, raramente il direttore. Noi e lei, lei e noi…
E i voti, quelli si che ci facevano sentire importanti, soprattutto quel “sex”… così misterioso, magico, evocativo.
Il voto in condotta valeva per dieci e ci disponeva all’attenzione e alla disciplina, supportato dalla lieve bacchetta e dalla suadente mano.
Come emozionante era l’attesa della finale promozione o bocciatura, mai scontata, sempre in bilico, anche se per alcuni già designata. Brrrr… che brividi.
Che gioia poi uscire prima di pranzo e… tornare a casa. Ad aiutare la mamma nelle faccende domestiche, il babbo in quelle di campagna, badare le pecore, aiutare a pulire le stalle, portare il beverone al porcellino. A pescare con la fiocina, a cercare animali e roditori sotto le ripe, a cercare le medicine scadute e inventare magiche pozioni. A giocare a guerra con i capisottani e quelli della fratta. Troppo bbello……
Quanta crescita culturale scaturiva da quelle esaltanti esperienze, come veniva aiutata l’ascesa sociale del povero verso il ricco. Eh si… la mattina tornavamo a scuola più uomini e più donne, più cittadini consapevoli, più pronti ad affrontare il futuro.
Ganzo quel piccolo mondo antico…
Grazie Mariastella-Ulisse, grazie perché ci riporti a casa.
Peccato che non ci sia più Penelope e neppure Itaca.
Stefano Gentili

domenica 14 settembre 2008

HORRESCO REFERENS

Proprio oggi si è conclusa la ganzissima scuola di politica estiva organizzata dal Partito Democratico nazionale a Cortona e dintorni.
Interventi di grande spessore, personaggi di primissimo piano (Rifkin, Vandana Shiva, Fitoussi, Morin, Spaventa, Schiavone e molti altri), un intervento conclusivo di Veltroni da incorniciare e, magari, riascoltare.
Ma soprattutto 1000 giovani che hanno ascoltato, sono intervenuti, hanno detto la loro e rientreranno a casa motivati e arricchiti.
Eppure, sulla grande stampa niente…….

“Non mi rassegno – ha dichiarato Veltroni - al fatto che un’iniziativa del genere, mai organizzata da alcun partito, non costituisca una notizia. Quando vedo sui giornali che non c’è una riga su questi 1000 giovani che discutono di politica e si riserva mezza pagina a un matrimonio a cui ha partecipato il presidente del Consiglio, penso che qualcosa in questo paese debba cambiare”.

Inorridisco nel narrarlo!
Stefano Gentili

sabato 13 settembre 2008

CI PRENDONO PER IL C...

Molte volte mi trovo d’accordo con quello che scrive Curzio Maltese sulla rubrica “Contromano” de “Il Venerdì di Repubblica”. Questa volta sottoscrivo in pieno l’articolo del 5 settembre e, ridigitando il pezzo, rilancio.
Rilancio, perché sento l’aria troppo pesante e gli anticorpi abbassati. E so, per esperienza, che quando questo accade, non è un bel presagio.

“Il modo con cui il governo ha finito di risolvere i primi problemi, l’emergenza rifiuti, il caso Alitalia lascia pochissime speranze sul futuro del Paese.
Silvio Berlusconi ha preso per i fondelli gli italiani con successo e senza alcuna seria opposizione. A Napoli e in Campania i rifiuti non sono “spariti” ma sono stati nascosti sotto il tappeto. Le testimonianze dei cittadini campani, inviate ai blog o ai giornali, sono migliaia. In compenso il governo ha fatto sparire le tv, gli inviati dei media, perfino i contestatori. E, naturalmente, le colpe.
Berlusconi ha stabilito che Bassolino e la Impregilio sono innocenti. La camorra, si sa, non esiste. Bassolino è tanto grato a Berlusconi che ormai sembra l’imitazione di Bondi. E i contestatori, le manifestazioni di massa che per un anno hanno contrastato qualsiasi decisione del governo di centro-sinistra? Spariti. Chissà, forse erano davvero organizzate dalla camorra, come sostenevano le questure. In luglio, a manifestare contro l’inceneritore di Acerra c’erano quattro gatti, capeggiati da Alex Zanotelli.
Non fosse per una lettera di Zanotelli, il problema dei rifiuti sarebbe sparito anche dal mitico blog di Grillo. Per un anno e mezzo, la durata esatta del governo Prodi, il blog del nostro Savonarola ha martellato sui rifiuti ogni giorno. Da quattro mesi, neppure una parola.

Il caso Alitalia è una truffa quasi più spettacolare. In campagna elettorale la singolare alleanza tra Berlusconi e i sindacati ha fatto fallire l’accordo con Air France. Gli argomenti: lo Stato guadagnava troppo poco dalla vendita; duemila licenziamenti (in gran parte prepensionamenti) erano intollerabili; altrettanto inattaccabile era il ridimensionamento di Malpensa.
Ora il governo presenta il nuovo piano. Prevede la fusione tra le indebitatissime Alitalia e AirOne, ma col trucco della divisione in due compagnie, una “buona” e una “cattiva”. La buona verrà regalata a una cordata guidata dal bipartisan Roberto Colannino. La cattiva se l’accollerà lo Stato che, invece di guadagnare poco, ci rimetterà moltissimo. I licenziamenti passano da duemila a settemila. Malpensa verrà ridimensionata. E i sindacati? Storcono la bocca, ma non minacciano più scioperi, come ai tempi di Prodi.
I consensi di Berlusconi crescono nei sondaggi. Il Paese corre verso la catastrofe, finalmente con una maggioranza solidissima. La voteranno in massa anche alle prossime elezioni di primavera, magari turandosi il naso”.
Sento un brivido nel fondoschiena.
Stefano Gentili

lunedì 8 settembre 2008

L'INVITO DEL PAPA

Nel corso della Messa celebrata ieri a Cagliari il Papa, ad un certo punto, ha esortato la Chiesa e i cattolici a tornare a "essere capaci di evangelizzare il mondo del lavoro, dell'economia, della politica" che, ha sottolineato, "necessita di una nuova generazione di laici cristiani impegnati, capaci di cercare con competenza e rigore morale soluzioni di sviluppo sostenibile".

Parole pensate, pesate e…pesanti.

Non perché siano nuove rispetto a quanto altre volte detto, ma perché messe una dietro l’altra portano con sé una rivoluzione copernicana.

NUOVA GENERAZIONE

di LAICI CRISTIANI IMPEGNATI

COMPETENTI

MORALMENTE RIGOROSI

capaci di cercare soluzioni di SVILUPPO SOSTENIBILE.

Mi piacerebbe conoscere il parere dei tanti amici che frequentano il mio blog.

Per ora non dico nulla, altrimenti diventerei un fiume in piena. Sai che pizza!

Stefano Gentili

martedì 19 agosto 2008

PARROCCHIA: E QUI COMANDO IO…E QUESTA E’ CASA MIA…

Domenica scorsa, 17 agosto, ero tornato dalla Messa sinceramente contento dell’annuncio contenuto nelle Letture. Specialmente l’episodio della donna cananea (pagana appartenente a un popolo considerato straniero dagli ebrei della Terra Promessa) aveva ricordato che per Dio non esistono stranieri o lontani. La salvezza è per tutti e, anzi, spesso la fede degli stranieri supera quella del popolo eletto. A dir la verità ero pensoso, perché riflettevo sulla mia poca fede e disponibilità all’accoglienza, ma contento per quell’annuncio.

Poco dopo accendo il computer e vado a controllare la posta elettronica rimasta arretrata di alcuni giorni (almeno in agosto riposiamoci un po’!) e, ultima di molti altri messaggi - anzi recentissima di qualche minuto - trovo una mail, che in parte trascrivo:

“Caro Stefano, oggi al termine della Santa Messa, prima della benedizione, il Parroco officiante così si è rivolto ai fedeli: Qualcuno mi ha chiesto Famiglia Cristiana. Ovviamente l’ho rispedita in blocco al mittente. L’articolo che vi è stato pubblicato e di cui tanto si è parlato è una vera vergogna! Non è certo questo il pensiero della Chiesa! A suo tempo Ratzinger fece licenziare un altro direttore di questo giornale. Spero che al più presto licenzino pure questo! E’ una vera vergogna! Qui si rischia di diventare una caserma. Riprenderò Famiglia Cristiana soltanto quando avrà cambiato registro e quando lo deciderò io. Per certi articolacci basta leggere Repubblica".
(Segue benedizione e augurio di buona Domenica tra vari e diversi borbottii di commento).

Conclude l’amico: “sappi che mentre ti scrivo sto ancora tremando nell’anima per l’indignazione. E tutto ciò dopo essermi da poco comunicato…”.

Forse l’officiante, dopo che in giugno Famiglia Cristiana aveva parlato di un governo “ossessionato dai giudici”, mentre alle famiglie “offre carità di stato” e in seguito aveva definito “indecente” la proposta di prendere le impronte ai bambini Rom, ha sentito il vaso tracimare quando nell’ultimo numero di agosto, sempre lo stesso settimanale si è chiesto se nel paese non ci sia “un pericolo di ritorno al fascismo”.

Al caro amico, che mi ha scritto, sento di dire: anch’io sono dispiaciuto e contristato.
E non tanto per il parere del sacerdote officiante, che è opinabile, come lo sono gli articoli di Famiglia Cristiana.

Quello che mi disturba è che l’abbia fatto in Chiesa e senza averlo eventualmente discusso e deciso insieme alla sua comunità ecclesiale, ma da solo. Da unico e totalitario soggetto decisore. Mi viene in mente “un uomo solo al comando”, ma quello era Coppi. Certamente in radicale contraddizione con il concetto di popolo di Dio, consacrato dal Concilio Vaticano II.

Leggo, poi, su tutte le prime pagine dei maggiori quotidiani italiani, che all’Angelus di domenica Papa Benedetto ha detto: è ormai “tempo di fermare le nuove forme di razzismo e di intolleranza che vanno sempre più emergendo” (La Repubblica 18 agosto) e che la comunità cristiana “è chiamata ad essere casa ospitale per tutti, segno e strumento di comunione per l’intera famiglia umana” (L’Avvenire 19 agosto).

Un ripassino dell’Insegnamento sociale della Chiesa e delle Beatitudini evangeliche al parroco (officiante o no) farebbe molto bene.

Stefano Gentili

lunedì 21 luglio 2008

I SONDAGGI E "LA FAMOSA PELLE"

Si, lo confesso, mi voglio togliere un sassolino dalla scarpa. Ma anche trarne qualche insegnamento.
Leggo sulla stampa di un sondaggio commissionato dal PD riguardante la prossima scelta del candidato alla presidenza della Provincia di Grosseto (ammesso che le Province non vengano abolite!).

#A quanto pare, viene chiesto il gradimento su Tacconi, Marras e Borghi da una parte, Lolini, Antichi e Di Vincenzo dall’altra, partendo dal presupposto che uno dei tre cavalli ex-DS siano i candidati migliori per la bisogna (cosa, naturalmente, discutibile).

Non posso fare a meno, pertanto, di ricordare un sondaggio, commissionato - anche allora in casa DS - nel marzo 1999, pochi mesi prima della scadenza dei 4 anni della mia presidenza alla stessa Provincia.
Sondaggio che conservo e che in breve è possibile consultare sul mio sito (www.stefanogentili.it) alla voce “biografia” e alla nota “21”.

Ero messo a confronto con un pezzo forte della destra, un cavallo di razza del centro, un personaggio molto in auge del mondo associazionistico, un vecchio volpone socialista, uno stimato professionista grossetano: ero in vantaggio su tutti, in particolare su tutti i candidati che, non di destra, potevano rappresentare un’alternativa alla mia ricandidatura.
Quel sondaggio fu tanto preso in considerazione…..che i “4 dell’Apocalisse” tirarono fuori dal cappello Lio Scheggi.

Lo voglio ricordare come pro-memoria agli amici Tacconi, Marras, Borghi, perché non si facciano illusioni: i sondaggi, sono come la “famosa pelle”, ognuno li tira come vuole.
Auguri.

Stefano Gentili

mercoledì 11 giugno 2008

A.A.A. CLASSE DIRIGENTE CERCASI: GIOVANE, INNOVATIVA, CREATIVA

Classe dirigente, in scienze sociali, è l’insieme di tutti coloro che svolgono una funzione di direzione economica, politica, intellettuale o morale all’interno di una società: dirigenti d’azienda, uomini politici, responsabili sindacali e di associazioni rilevanti, intellettuali (scuola, mass-media, altri), capi religiosi ecc.
Anche se il termine classe è paleozoico e l’altro, dirigente, andrebbe precisato in una società complessa e pluricentrica, è troppo ovvio riconoscerne la strategica rilevanza.

In una recente indagine la Libera Università Internazionale degli Studi Sociali ha analizzato la classe dirigente italiana nel 2007.
Il primo dato riscontrato è stato quello di una netta distanza tra società e classe dirigente. Clientelismo e mancanza di criteri di reclutamento basati sul merito, autoreferenzialità (cioè girare intorno al proprio ombellico), scarsa attenzione alla formazione, mancanza di strutture adatte a formare competenze apicali, gerontocrazia e mancanza di ricambio generazionale sono i mali che affliggono la nostra classe dirigente.

Nello sbirciare questi dati ho spontaneamente pensato alle classi dirigenti dei nostri paesi, intendendo per nostri tutti i paesi e le città della vasta provincia grossetana.
Se non mi sono distratto troppo (e confesso di essermi distratto) anche la nostra situazione non è per nulla rosea.
C’è un eccesso di stazionarietà che produce una palese scleroticità: persone che ricoprono incarichi per anni e anni (anzi decenni e decenni), spesso nello stesso ruolo o al massimo transitando da una poltrona all’altra. Persone occupate per lo più a mantenere (la propria posizione s’intende!) che a innovare: qualche modesto risultato lo portano a casa (e vorrei pure vedere!), ma nulla di veramente innovativo e strategico. Sono persone (non tutte, grazie a Dio) scelte più per il criterio della fedeltà che per il merito: ovviamente dopo tanto occupare si fanno anche qualche competenza (grazie al cavolo).
Quando seguo i quotidiani e le emittenti locali continuo a vedere persone che ricoprivano incarichi quando io ero Presidente della provincia (anzi da prima) che ancora ricoprono incarichi, occupano poltrone con bende e prebende. Vedo in qualche caso addirittura salutare con un certo qual entusiasmo ritorni di questo o di quella: per carità, brave persone, ma trapassate remote!
E tutto questo accade nel luogo più ovvio, la politica e in quello che la politica influenza (vari ruoli pubblici), ma avviene anche nelle varie associazioni, in quelle di categoria, nei sindacati, nelle banche. Il tutto costruisce delle vere e proprie caste (termine oggi di moda) praticamente inamovibili o appena spostabili solo se viene scelto qualche “figlio o figliastro”.

Questa situazione non va bene.
Non è andata bene sino ad oggi, ed è questo, secondo me, il peccato più grave che i vari governanti/governatori hanno commesso negli ultimi trenta anni: hanno fatto tappo contro qualsiasi reale possibilità di ricambio, estirpando alla radice tutto quello che cresceva intorno a loro. Il vero dramma è che il “popolo bue”, di fatto, in larga parte ha assecondato questo stato di cose.
Oggi è addirittura devastante.
Con la società così trasformata e tuttora in movimento continuare nella vecchia maniera sarebbe di una gravità inaudita. Bloccare gli emergenti (che ci sono) e le giovani leve che si affacciano (o sono da tempo alla finestra) nei vari mondi della politica, dell’economia, della cultura, delle associazioni (eccetera, eccetera) vorrebbe dire rassegnarsi al declino.

Vorrebbe dire considerare l’innovazione un rischio, la fantasia qualcosa da cui stare alla larga, il desiderio di cambiamento una specie di sovvertimento (dell’equilibrio della casta e di chi finora c’ha scastagnato).
Non potremmo disegnare il futuro che meritano le nuove generazioni, staremmo con la testa costantemente rivolta al passato e le nostre zone deperiranno, non per carenza di infrastrutture (che pure servono, ma sulle quali si fa solo retorica, stanca retorica, bla-bla), ma per carenza di inventiva, fantasia, speranza.

Servono persone nuove, naturalmente con meno esperienza di chi l’esperienza se l’è fatta alle nostre spalle (ari-grazie al cavolo!), ma con la volontà di essere protagonisti del loro futuro e di quello dei loro concittadini.
Si, lo so, la conosco la solita scusa tradotta in domanda: ma ci sono queste persone, nuove, preparate, socialmente aperte? E perché... quegli egoistoni che da 30, 20, 15 anni (qualcuno anche di più) sono sulla cresta dell’onda ...com’erano quando hanno iniziato? Forse più smaliziati, ma non più preparati.
E, poi, perché non le abbiamo aiutate a prepararsi?

Detto questo, ammetto che il problema esiste.
E allora? Allora “damose da fà”. Tutti, nessuno escluso e “tiriamoci indietro” (dai posti che occupiamo da troppo tempo) altrimenti per legge fisica non si produce spazio.

Chi ha più esperienza svolga la funzione di talentscout: scopritore di quelle (libere) persone che possono assolvere egregiamente alla funzione di dirigenti (forti e umili) e di leader (nel vasto mondo sociale), spesso decisivi anche quest’ultimi per strategie di stimolo, sostegno, coesione.
Ci sono, ci sono!

Credetemi, il problema del nostro sviluppo (sociale, culturale, economico) è qui, non nelle strade, autostrade, controstrade. Lo dicevo...e lo ridico.
Pace e bene.

Stefano Gentili

martedì 10 giugno 2008

C.V.D. - LA DESTRA FA TUTTE LE PARTI IN COMMEDIA

Non era difficile prevederlo. E’ quello che temevo, sin dal mio “post” del 30 aprile: Destra vera e nuova sinistra.
C.V.D. sta per come volevasi dimostrare. La destra post-ideologica italiana ha già iniziato a fare tutte le parti in commedia.
Di fare la vera destra, non se ne parla minimamente: basta vedere come ammanta persino la “politica della sicurezza”, con la difesa degli strati popolari.
Il governo “esplicitamente mutua il rientro dal deficit di Prodi, il risanamento dei conti da Padoa Schioppa, le liberalizzazioni da Bersani, il pacchetto sicurezza da Amato, le politiche scolastiche da Fioroni, perfino la lotta all’evasione da Visco e il federalismo non dalla Lombardia ma dalla Conferenza delle Regioni” (Europa).
Possiamo anche aggiungervi “l’anarchia dei valori” denunciata a suo tempo da Famiglia Cristiana a braccetto con il plateale e studiato baciamano di Berlusconi al Pontefice.

Penso che tutta questa invasione di campo non faccia bene all’Italia. La commedia, alla lunga, si trasformerà in tragedia, perché non affronterà mai i veri nodi strutturali che zavorrano il Paese.

Ed è anche un bel casino per noi del PD, ancora rintronati dalla batosta elettorale e incerti delle nostre “buone ragioni”.
Letale sarebbe mettersi di nuovo a cercare le ragioni del socialismo, le alleanze forzate con le macerie alla nostra sinistra, a sponsorizzare il girotondismo, a dare ascolto ai rimasti senza collocazione.
Il Paese è altrove. La strada è “riprendere il filo del Lingotto, rimettersi pazientemente a parlare con gli italiani di famiglia, valori, ordine, sicurezza, stabilità del lavoro, doveri e diritti, parità delle opportunità di partenza, meritocrazia negli studi” (Europa), eccetera, eccetera.

Non servirà certo per vincere subito (e chissene!), ma sarà utile all’Italia e metterà i Democratici in linea con il futuro.
Stefano Gentili

mercoledì 28 maggio 2008

CHI PREMIAMO A SCUOLA?

Qualche giorno fa ho dato un passaggio a tre autostoppisti: due ragazze e un ragazzo.
Abbiamo parlottato …“che fa lei”, “che fate voi”: "io ero un professore", "ah!!!". "E noi siamo studenti", "uhm!!!".

Erano tre studenti di una scuola superiore della provincia di Grosseto.
Il discorso inevitabilmente è caduto proprio sulla scuola e sulla fine d’anno scolastico.
Erano incavolatissimi per il metro di giudizio di alcuni loro insegnanti: "premiano i somari e fanno i difficili con chi si è impegnato tutto l’anno".

Dice una delle due ragazze:“Quei due hanno raggiunto a mala pena la media del 4,5 e l’insegnante di ..... ha detto che con una interrogazione sufficiente, la prossima volta, sull’ultima parte del programma, forse li porta allo scrutinio con la sufficienza. E a me, che ho costantemente voti tra l’8 e il 9 (media del 8,8), dice che non sa se potrà portarmi con il 9”. “E a me – aggiunge l’altra – che ho una media del 7,9, ha detto che quella è e con quella mi porta allo scrutinio”.
Il ragazzo stava zitto: chissà che medie aveva.

Qualcosa non torna??????

Stefano Gentili

lunedì 26 maggio 2008

NON MI PIACE UN MOVIMENTO CATTOLICO "SENSIBILE"

“Mamma, mi si è ristretto il campo…”.
E’ quanto mi viene da dire se penso a quello che è avvenuto negli ultimi anni all’interno della Chiesa italiana per responsabilità di alcuni dei suoi massimi esponenti. Per di più in un tempo in cui, grazie al magistero dei pontefici degli ultimi anni, la Chiesa ha invece dilatato il suo spazio d’interesse.

Da qualche anno, infatti, e in modo sempre più pressante, i cattolici sono inviati ad occuparsi dei cosiddetti temi eticamente sensibili, con una marginalizzazione di tutto il resto in qualcosa di puramente opzionale.

Con ciò dimenticando la vera e propria canonizzazione della dottrina sociale della chiesa coma una parte della teologia morale e pertanto impegnativa per tutti, in ogni aspetto della vita pubblica.
Come pure facendo spallucce – tanto per fare un riferimento puntuale – a quanto Giovanni Paolo II ebbe a dire circa le strutture di peccato.

Questa riduzione concettuale e formativa dimostrata dalla insistenza sui temi eticamente sensibili – che poi sarebbero soltanto l’aborto e l’embriologia, il divorzio e la famiglia – determina l’abbandono di altre questioni, compresa la giustizia sociale che – secondo questa impostazione - viene scorporata dalla politica e ridotta ad atto poco più che individuale.

“Sul piano concettuale e formativo – ricorda Ruggero Orfei in un recente intervento – finisce per diventare normale che tutte le questioni politiche siano, tranne quelle ricordate, non eticamente sensibili”.
E in questa direzione si vorrebbe dar vita a “un movimento cattolico in qualche maniera unitario, ma solo connesso con i temi sensibili”.

L’idea che l’azione politica investa realtà sempre eticamente sensibili, nel senso anzidetto, la riduce a tal punto da renderla priva di significato. Giorgio La Pira in un discorso del 1951 – annota ancora Orfei – ebbe a precisare: “La carità non è la carità delle dieci lire. E inoltre il pensiero moderno cristiano accentua il giudizio cristiano sulla parabola dei talenti, sull’intervento. Prendo un bilancio familiare: 1) vitto: ebbi fame e mi avete nutrito; 2) alloggio: ero pellegrino e mi avete ospitato; 3) vestiario: ero nudo e mi avete vestito; 4) salute: ero malato e mi avete visitato”.

Alimentazione, casa, abiti, sanità, come pure il tema della guerra e quello di strutture a servizio dei cittadini sono tutti temi che fanno parte della politica e sulla quale i cristiani, anche in forza dell’insegnamento sociale della Chiesa, possono e debbono dire la loro, alla luce del vangelo.

Come mai sono scomparsi dall’agenda dei primi responsabili della Chiesa italiana? E, di conseguenza, anche dall’attività formativa proposta a livello di base? E, quindi, anche dalla coscienza di molti credenti che varcano gli atri delle nostre chiese?

Saremo mica ancora alla logica denunciata dal vescovo brasiliano Helder Camara (1909-1999) che diceva: "Quando dò da mangiare a un povero tutti mi chiamano santo, ma quando chiedo perché i poveri non hanno cibo, allora tutti mi chiamano comunista".
Forse no.

Io, però, un’idea ce l’avrei. Ma si tratta di un pensar male. E a pensar male – come diceva un politico nostrano – si fa peccato.
Ma spesso ci si azzecca.

Stefano Gentili

venerdì 23 maggio 2008

A PAOLO GIUNTELLA, UOMO LIBERO

“E' morto il giornalista del Tg1 Paolo Giuntella. Volto noto del piccolo schermo, da molto tempo al seguito del presidente della Repubblica, era da tempo malato. Nonostante questo ha continuato a lavorare fino a poco tempo fa, realizzando servizi che raccontavano, con precisione, le vicende del Colle. Lascia una moglie e tre figli.”
Inizia così un servizio de La Repubblica.

Ci conoscevamo con Paolo, sin da quando lo invitammo a partecipare ad un incontro di formazione sociale e politica a Scansano, tra il 1990 e il ’92. Anche in quell’occasione fece un intervento lucido, da libero pensatore. Ci incrociammo, insieme ad altri amici, alle iniziative della vera “Rosa Bianca” a Brentonico. Pur non essendoci frequentati assiduamente, percepivo con lui una profonda sintonia culturale e umana.

Prosegue l’articolo: “Giuntella era già stato quirinalista del Tg1 durante il settennato di Carlo Azeglio Ciampi. Continuando anche con Giorgio Napolitano. Di lui, figlio del professore Vittorio Emanuele Giuntella lo storico che fu internato nel lager nazista di Auschwitz, si ricorda anche l'impegno sociale e per la libertà di informazione della categoria dei giornalisti. Giuntella, inoltre, è stato 20 anni fa uno dei fondatori del Gruppo di Fiesole. Nel 1966 fu tra gli 'Angeli del Fango', dopo l'alluvione di Firenze. Nel 1979 fonda la "Rosa Bianca", un'associazione cattolica orientata a sinistra, i cui convegni, per tutto il corso degli anni '80, saranno animati da molti dei futuri dirigenti e intellettuali dell'Ulivo e del Partito Democratico. Già capo della terza pagina e dei supplementi culturali de Il Mattino, passato in Rai ha coordinato Tv7, per poi divenire caporedattore di Speciale Tg1, e in seguito corsivista televisivo e inviato speciale in Irlanda, Albania, nelle zone colpite dal terremoto del '97 in Umbria e Marche e in Kosovo, dove e' stato menzionato al merito dall'ambasciatore italiano per aver salvato la vita di un disabile, rimasto in un'abitazione incendiata. Unanime il cordoglio del mondo giornalistico e politico. 'Con Paolo Giuntella scompare prematuramente una figura unica di intellettuale, di giornalista, di educatore, di testimone degli ideali e dei valori del cattolicesimo democratico' afferma il vice segretario del Pd Dario Franceschini. 'Era una voce importante, ci mancherà' dice Walter Veltroni. Cordoglio arriva anche dal presidente della Camera, Gianfranco Fini e dai gruppi dell'Idv e dell'Udc. L'annuncio della scomparsa del giornalista è stato dato nel pomeriggio alla Camera dal deputato del Pd Giovanni Bachelet che ha reso omaggio al giornalista e amico scomparso 'che gli e' stato maestro nell'assumere impegni in politica'."
Pace a Paolo, uomo libero.
Stefano Gentili

mercoledì 21 maggio 2008

PD, PER FAVORE, ALLEATI CON GLI ITALIANI

Stefano Menichini sul giornale che dirige, Europa, fa un appello ai primi responsabili del Partito Democratico: “Per favore, alleatevi con gli italiani”. Non ricominciamo con le solite!
“Veltroni è al volante del Pd e una cosa la sa di certo: se svolta sinistra, va a sbattere contro un muro. Perché lì la strada è chiusa. Finita. Poco frequentata”.
Se si tratta di “dare ascolto e poi voce a un’Italia di sinistra che è rimasta fuori dal parlamento”, va bene. “Figurarsi, l’ha fatto anche Schifani”.
“Le parole dei dirigenti dell’ex Pci ed ex Ds ora Pd, confermano poi un apprezzabile attaccamento al proprio mondo di provenienza, lacerato e disperso, portatore di valori fondamentali che vanno tenuti vivi”.

Però…”il destino e il futuro del Partito democratico sono altrove (…) la vera Italia, quella che corre o anche solo arranca, si muove comunque nella direzione opposta. Non ne troveremo traccia tra le sigle: Sd, Sa, Rc… neanche Udc, se è per questo”.
“Non fate confusione e non ne ingenerate in giro, per favore: per tenere qualche sindaco fra un anno si possono fare accordi in federazione o dibattiti sui giornali locali. Perfetto. Nelle liste europee ci sarà ogni copertura a sinistra. Ovvio. Ma non è il caso di mettere a repentaglio un’immagine che già fatica ad affermarsi, solo per quattro chiacchiere coi vecchi compagni”.

Aoh! Sembra che abbia origliato la recente Assemblea Congressuale provinciale del Pd.
Sveglia ragazzi!!

Stefano Gentili

lunedì 19 maggio 2008

LA COLPA E’ DEI FICHI: EDUCARE ALL’INDIPENDENZA

In un recente opuscolo dell’Elledici rivolto i giovani, Dimensioni nuove (aprile 2008), ho letto una lettera di una giovane, Concetta, che – in alcune parti – desidero riproporre, perché a mio parere tocca uno dei nodi scoperti del nostro tempo.

Dice Concetta: “Si sa che l’impero romano degenerò per le varie Messaline e Agrippine; che il giorno in cui fu abbattuto l’impero romano d’occidente la mamma di Romolo Augustolo, l’ultimo imperatore, proibì categoricamente a questi di scendere in battaglia per via di un cagotto dovuto ad una spanciata di fichi.
Queste mamme hanno fato scuola ed hanno prodotto figli scarsamente virili, attaccati alle loro gonne, frustrati al punto da limitarsi a fare gli uomini esclusivamente a letto, a tavola, allo stadio: nei luoghi della prepotenza, ma non della virilità autentica.
Alla mamma biologica si aggiunge poi la Madre-Televisione altrettanto soporifera e che alleva a forza di gossip e grandi fratelli.

Uomini siffatti non possono che sognare un padre, e più è potente meglio è.
Da questo discendono gli innamoramenti per i capi che, purtroppo,non mancano mai di presentarsi. C’è il Padre-Stato, il Padre-Partito o, meglio, il leader che li impersona, il …………………di turno, compagnone, volgare, grossolano, ma che pensa a tutto lui, sgravando i figli dal pesante compito di pensare con la propria testa, scoraggiandoli dall’essere critici e vigili, concedendo il pane e il companatico.
La maggior parte degli italiani è così. Per questo i pochi uomini che hanno attraversato la nostra storia, i ………., sono per ora sconfitti.

Presumo che passeranno ere prima che in Italia nasca una madre che doni la vita scissa dalla necrofilia; che dica con gioia al figlio: alzati e cammina con le tue gambe, pensa con la tua testa, datti da fare, allontanati da me!
E’ questo, forse, il peccato d’origine della nostra specie? Non tanto essere incapaci di amare, piuttosto l’essere incapaci di amare senza creare dipendenza. Concetta”.

Amare ed educare senza creare dipendenza, a me sembra una delle molteplici sfide educative che tutti abbiamo dinanzi…nei rapporti interpersonali, a casa, a scuola, nelle associazioni, in parrocchia, nei partiti, ovunque.

Stefano Gentili

sabato 17 maggio 2008

UN'ALTRA SICUREZZA E' POSSIBILE?

Ho appena ricevuto da un amico prete la lettera di un altro prete. Mi piace leggerla, per così dire, a voce alta, insieme a voi. E’ la lettera di Don Luigi Ciotti, tra l’altro, Presidente del 'Gruppo Abele' e di 'Libera - associazioni, nomi e numeri contro le mafie'. E’ titolata, non so se dall’autore o dalla redazione che l’ha pubblicata, “Io chiedo scusa”.

“Cara signora,
ho visto questa mattina, sulle prime pagine di molti quotidiani, una foto che La ritrae. Accovacciata su un furgoncino aperto, scassato, uno scialle attorno alla testa. Dietro di Lei si intravedono due bambine, una più grande, con gli occhi sbarrati, spaventati, e l´altra, piccola, che ha invece gli occhi chiusi: immagino le sue due figlie. Accanto a Lei la figura di un uomo, di spalle: suo marito, presumo. Nel suo volto, signora, si legge un´espressione di imbarazzo misto a rassegnazione. Vi stanno portando via da Ponticelli, zona orientale di Napoli, dove il campo in cui abitavate è stato incendiato. Sul retro di quel furgoncino male in arnese - reti da materasso a fare da sponda - una scritta: ‘ferrovecchi’.
Le scrivo, cara signora, per chiederLe scusa. Conosco il suo popolo, le sue storie. Proprio di recente, nei dintorni di Torino, ho incontrato una vostra comunità: quanta sofferenza, ma anche quanta umanità e dignità in quei volti.
Nel nostro Paese si parla tanto, da anni ormai, di sicurezza. È un´esigenza sacrosanta, la sicurezza. Il bisogno di sicurezza ce lo abbiamo tutti, è trasversale, appartiene a ogni essere umano, a ogni comunità, a ogni popolo. È il bisogno di sentirci rispettati, protetti, amati. Il bisogno di vivere in pace, di incontrare disponibilità e collaborazione nel nostro prossimo. Per tutelare questo bisogno ogni comunità, anche la vostra, ha deciso di dotarsi di una serie di regole. Ha stabilito dei patti di convivenza, deciso quello che era lecito fare e quello che non era lecito, perché danneggiava questo bene comune nel quale ognuno poteva riconoscersi. Chi trasgrediva la regola veniva punito, a volte con la perdita della libertà. Ma anche quella punizione, la peggiore per un uomo - essendo la libertà il bene più prezioso, e voi da popolo nomade lo sapete bene - doveva servire per reintegrare nella comunità, per riaccogliere.

Il segno della civiltà è anche quello di una giustizia che punisce il trasgressore non per vendicarsi ma per accompagnarlo, attraverso la pena, a un cambiamento, a una crescita, a una presa di coscienza.
Da molto tempo questa concezione della sicurezza sta franando. Sta franando di fronte alle paure della gente. Paure provocate dall´insicurezza economica - che riguarda un numero sempre maggiore di persone - e dalla presenza nelle nostre città di volti e storie che l´insicurezza economica la vivono già tragicamente come povertà e sradicamento, e che hanno dovuto lasciare i loro paesi proprio nella speranza di una vita migliore.
Cercherò, cara signora, di spiegarmi con un´immagine. È come se ci sentissimo tutti su una nave in balia delle onde, e sapendo che il numero delle scialuppe è limitato, il rischio di affondare ci fa percepire il nostro prossimo come un concorrente, uno che potrebbe salvarsi al nostro posto. La reazione è allora di scacciare dalla nave quelli considerati ‘di troppo’, e pazienza se sono quasi sempre i più vulnerabili. La logica del capro espiatorio - alimentata anche da un uso irresponsabile di parole e immagini, da un´informazione a volte pronta a fomentare odi e paure - funziona così. Ci si accanisce su chi sta sotto di noi, su chi è più indifeso, senza capire che questa è una logica suicida che potrebbe trasformare noi stessi un giorno in vittime.
Vivo con grande preoccupazione questo stato di cose. La storia ci ha insegnato che dalla legittima persecuzione del reato si può facilmente passare, se viene meno la giustizia e la razionalità, alla criminalizzazione del popolo, della condizione esistenziale, dell´idea: ebrei, omosessuali, nomadi, dissidenti politici l´hanno provato sulla loro pelle.

Lo ripeto, non si tratta di "giustificare" il crimine, ma di avere il coraggio di riconoscere che chi vive ai margini, senza opportunità, è più incline a commettere reati rispetto a chi invece è integrato. E di non dimenticare quelle forme molto diffuse d´illegalità che non suscitano uguale allarme sociale perché ‘depenalizzate’ nelle coscienze di chi le pratica, frutto di un individualismo insofferente ormai a regole e limiti di sorta.
Infine di fare attenzione a tutti gli interessi in gioco: la lotta al crimine, quando scivola nella demagogia e nella semplificazione, in certi territori può trovare sostenitori perfino in esponenti della criminalità organizzata, che distolgono così l´attenzione delle forze dell´ordine e
continuano più indisturbati nei loro affari.
Vorrei però anche darLe un segno di speranza. Mi creda, sono tante le persone che ogni giorno, nel ‘sociale’, nella politica, nella amministrazione delle città, si sporcano le mani. Tanti i gruppi e le associazioni che con fatica e determinazione cercano di dimostrare che un´altra sicurezza è possibile. Che dove si costruisce accoglienza, dove le persone si sentono riconosciute, per ciò stesso vogliono assumersi doveri e responsabilità, vogliono partecipare da cittadini alla vita comune.
La legalità, che è necessaria, deve fondarsi sulla prossimità e sulla giustizia sociale. Chiedere agli altri di rispettare una legge senza averli messi prima in condizione di diventare cittadini, è prendere in giro gli altri e noi stessi. E il ventilato proposito di istituire un 'reato d´immigrazione clandestina' nasce proprio da questo mix di cinismo e ipocrisia: invece di limitare la clandestinità la aumenterà, aumentando di conseguenza sofferenza, tendenza a delinquere, paure.

Un´ultima cosa vorrei dirLe, cara signora. Mi auguro che questa foto che La ritrae insieme ai Suoi cari possa scuotere almeno un pò le nostre coscienze. Servire a guardarci dentro e chiederci se davvero questa è la direzione in cui vogliamo andare. Stimolare quei sentimenti di attenzione, sollecitudine, immedesimazione, che molti italiani, mi creda - anche per essere stati figli e nipoti di migranti - continuano a nutrire.
La abbraccio, dovunque Lei sia in questo momento, con Suo marito e le Sue bambine. E mi permetto di dirLe che lo faccio anche a nome dei tanti che credono e s´impegnano per un mondo più giusto e più umano. Don Luigi Ciotti”

Pietismo, cattolicesimo dolciastro d’altri tempi? Modo “perdente” di vedere le cose e di dare le risposte in un tema delicato come quello della sicurezza? Troppo “soft” e poco “tost”?

Dite gente, dite.

Stefano Gentili


lunedì 12 maggio 2008

TRAVAGLIO-SCHIFANI: E' VERO O NO?

Il giornalista Marco Travaglio durante la trasmissione “Che tempo che fa” condotta da Fabio Fazio ha detto alcune cose che si riferiscono al presidente del senato Renato Schifani: e precisamente, che anni or sono avrebbe intrattenuto rapporti con persone poi condannate per associazione mafiosa.

C’è chi si è“dissociato”, chi ha detto che “è inaccettabile, senza contraddittorio”, che è “una vergognosa imboscata”, che “si vuole minare il dialogo maggioranza-opposizione”, che “è un attacco unilaterale e diffamatorio”.

Ferma restando la facoltà del presidente del senato di denunciare Travaglio per diffamazione, nessuno che dica a voce alta la cosa più ovvia: ma quello che ha detto Travaglio è vero o no?

Stefano Gentili

venerdì 9 maggio 2008

30 ANNI FA, ALDO MORO: ISPIRAZIONE RELIGIOSA E RISPETTO DI OGNI COSCIENZA

Oggi per la prima volta al Quirinale si celebra il “Giorno della Memoria” per ricordare tutte le vittime del terrorismo interno e internazionale.
Non è un caso che sia stato scelto il giorno in cui 30 anni fa veniva barbaramente assassinato Aldo Moro, la più importante personalità politica di quegli anni, intellettuale fine e complesso, capace di sintonizzarsi come nessun altro con quello che si muoveva nella turbolenta società di allora.
Anche io voglio rispettare un minuto di silenzio per ricordare il suo esempio e il suo insegnamento e rileggere insieme a voi alcuni periodi di un articolo che ebbe a scrivere per il quotidiano “Il Giorno” nella Pasqua del 1977.

“Non è importante che pensiamo le stesse cose, che immaginiamo e pensiamo lo stesso identico destino, ma è invece straordinariamente importante che, ferma la fede di ciascuno nel proprio originale contributo per la salvezza dell’uomo e del mondo, tutti abbiano il proprio libero respiro, tutti il proprio spazio intangibile, nel quale vivere la propria esperienza di rinnovamento e di verità, tutti collegati l’uno all’altro nella comune accettazione di essenziali ragioni di libertà, di rispetto, di dialogo. La pace civile corrisponde puntualmente a questa grande vicenda del libero progresso umano, nella quale rispetto e riconoscimento emergono spontanei, mentre si lavora, ciascuno a proprio modo, ad escludere cose mediocri per fare posto a cose grandi” (Aldo Moro)

Parlava agli italiani per la Pasqua, per invitarli a riannodare i fili di un progetto di vita in comune (fatto di cose grandi), con una densissima ispirazione morale e religiosa, manifestata con pacatezza e nel rispetto di ogni coscienza.

Che insegnamento!!!

Stefano Gentili

giovedì 8 maggio 2008

I VESCOVI: UN PARTITO CHE GUARDA VERSO DESTRA?

Non ho nulla da aggiungere alla lettera che il vescovo emerito (in pensione!) di Ivrea Mons. Luigi Bettazzi ha indirizzato ieri ai vescovi che a fine maggio si riuniranno a Roma per la loro assemblea.
Dico solo, che la condivido in toto, e che rappresenta pienamente quello che penso e, quindi, la ripresento con tutta “parresia” (franchezza e libertà).
Ricordo che Mons. Bettazzi, tra l’altro, ha preso parte al Concilio Vaticano II, fin dalla seconda sessione (1963), in qualità di vescovo ausiliare di Bologna, stretto collaboratore del cardinale G. Lercaro e attualmente è Presidente emerito di Pax Christi Internazionale e presidente del Centro Studi economico-sociali per la pace. Ecco la lettera.

“Non so quale sarà il giudizio della Cei sui risultati delle recenti elezioni. La nostra gente ha sempre pensato che i Vescovi, pur astenendosi da interventi diretti, non riuscissero a nascondere una certa simpatia per il Centrodestra, forse perché, almeno apparentemente, si dichiara più severo nei confronti dell’aborto e dei problemi degli omosessuali e più favorevole alle scuole e alle organizzazioni confessionali.
Credo peraltro che siamo stati meno generosi verso il Governo Prodi, non come approvazione della sua politica - dopotutto meritoria di aver evitato il fallimento finanziario del nostro Stato di fronte all’Europa (anche se questo può aver rallentato l’impegno, già avviato, di attenzione ai settori di popolazione più in difficoltà) - quanto come riconoscimento di un esempio di cattolicesimo vissuto in situazioni e in compagnie particolarmente problematiche.

Anche perché in un mondo, come il nostro Occidente, dominato dal capitalismo, che sta impoverendo sempre più la maggioranza dei popoli e tutto teso, tra noi e fuori di noi, verso la ricchezza e il potere - la “mammona” evangelica, che Gesù contrappone drasticamente a Dio - tra i valori “non negoziabili”, accanto alla campagna per la vita nascente e per le famiglie “regolari”, va messo il rispetto per la vita e lo sviluppo della vita di tutti, in tempi in cui si allarga la divaricazione già denunciata da Paolo VI nella «Populorum progressio» (quarant’anni fa!) tra i popoli e i settori più sviluppati e più ricchi e quelli più poveri e dipendenti, avviati a situazioni di fame inappagata e di malattie non curate, vanno messi l’impegno per un progressivo disarmo, richiesto da Benedetto XVI all’Onu, e quello per la nonviolenza attiva, che è la caratteristica del messaggio e dell’esempio di Gesù («Obbediente fino alla morte, e a morte di croce» - Fil 2, 16).

Forse siamo sempre più pronti a dare drastiche norme per la morale individuale, sfumando quelle per la vita sociale, che pure sono altrettanto impegnative per un cristiano, e che sono non meno importanti per un’autentica presenza cristiana, proprio a cominciare dalla pastorale giovanile. Mi chiedo come possiamo meravigliarci che i giovani si frastornino nelle discoteche o nella droga, si associno per violenze di ogni genere, si esaltino nel bullismo, quando gli adulti, anche quelli che si proclamano “cattolici”, nel mondo economico e in quello politico danno troppo spesso esempio di arrivismo e di soprusi, giustificano la loro illegalità ed esaltano le loro “furberie”, e noi uomini di Chiesa tacciamo per “non entrare in politica”, finendo con sponsorizzare questo esempio deleterio, che corrompe l’opinione pubblica e sgretola ogni cammino di sana educazione. Ci stracciammo le vesti quando all’on. Prodi scappò detto che non aveva mai sentito predicare l’obbligo di pagare le tasse; ma avremmo dovuto farlo altrettanto quando altri invitavano a non pagarle...

Lo dico come riflessione personale. Perché mi consola pensare che il nuovo Presidente della Cei - a cui auguro un proficuo lavoro - proprio nell’intervento inaugurale di questo suo ministero richiamava il principio tipicamente evangelico del “partire dagli ultimi”, che era stato proclamato in una mozione del Consiglio Permanente della Cei nel 1981 (!), e che risulta più che mai importante in un mondo (anche quello italiano! e qualche segnale ce lo fa temere sempre più per l’avvenire...), in cui si suole invece partire “dai primi”, garantendo i loro profitti e i loro interessi, che non possono poi non essere pagati dalle crescenti difficoltà di troppe famiglie italiane.

L’auspicio è confortato dalla recente Settimana Sociale dei Cattolici italiani - e qui il compiacimento si rivolge al loro Presidente, che è il mio successore in Ivrea - che ha richiamato un altro centro nodale della Dottrina sociale della Chiesa e quindi della pastorale di ogni suo settore, che è il “bene comune”, sul quale dovremmo comprometterci in un tempo in cui troppi - politici, impresari, categorie professionali e commerciali - pensano e lavorano solo per il “bene particolare”, a spese - ovviamente - di chi non si può o non si sa difendere.

Che questo dunque, dopo essere stato un messaggio così significativo sul piano dottrinale, appaia davvero come un impegno concreto e quotidiano, come qualche Vescovo già ha iniziato a dichiarare, sfidando riserve e mugugni.
Come si vede, sono tanti i motivi per auspicare, tanti i motivi per pregare, in vista di questa annuale Assemblea dei Vescovi italiani.” Mons. Luigi Bettazzi


Dice bene il vescovo emerito…o pensa male?

Stefano Gentili

mercoledì 30 aprile 2008

DESTRA VERA E NUOVA SINISTRA

Quello che segue è il mio commento alle elezioni del 13-14 aprile 2008 avviato con il precedente “post” e nel quale sono intervenuti Alessandro e Bulfardo, con due interessanti commenti. Aspettavo il secondo turno e il secondo turno è arrivato.
Parto dal dire che non era quello che speravo, ma l’esito delle urne è stato chiaro: Berlusconi e la sua squadra hanno vinto e dispongono di una solida maggioranza.
Il Partito democratico ha perso.
Ma, ha vinto la “destra perché è il paese che è andato a destra” oppure esistono “due paesi reali, due contrapposte visioni della politica e del bene comune”?
E cosa è bene che facciano i vincitori e i perdenti?

L’INCLINAZIONE A DESTRA DEL PAESE
Tanti analisti convengono nel diagnosticare una virata destra dell’Italia. Ma siffatta inclinazione del Paese dura da quindici anni; solo che negli ultimi mesi è diventata un precipizio travolgendo persone, gruppi dirigenti, governi nazionali e locali. Dice Ezio Mauro che nello stesso “voto di Roma c’è un dato di destra reale così netto, addirittura biografico, fisico, concreto, che deve far riflettere”.
Ma chi deve far riflettere?
Intanto i vincitori, il governo, Berlusconi che debbono dare "pane di destra" al paese di questo affamato: le ricerche dicono che la stagione di un governo forte sale impetuoso dall’Italia intera, di qualsiasi colore.

IN ATTESA DI UNA VERA POLITICA DI DESTRA
Allora, non ci resta che verificare se Berlusconi ha gli attributi oppure no. Faccia come fecero Margaret Thatcher in Gran Bretagna e Ronald Reagan negli USA: un’autentica politica di destra.
C’è da riformare le istituzioni per snellire un Parlamento macchinoso e inefficiente, da predisporre una nuova legge elettorale (magari a doppio turno entro un assetto di tipo semipresidenziale), da riformare la burocrazia che è di tipo ottomano riducendo soprattutto al minimo gli adempimenti per i cittadini (così rediamo felice l’amico Alessandro e non solo lui).
C’è da avviare un federalismo fiscale che preveda la permanenza dei due terzi del gettito sul territorio dove viene generato, secondo la logica del chi fa da sé fa per tre.
C’è da realizzare concretamente le infrastrutture necessarie alla modernizzazione del Paese, senza badare alle eventuali opposizioni localistiche .
C’è da liberalizzare in modo tosto in molti altri campi (e non aspettare un nuovo Bersani o una Lanzillotta peraltro stoppati dalla propria maggioranza), mettere a ferro e fuoco gli immigrati, clandestini e no, come dice la Lega o meglio secondo il vangelo dell’ex sindaco Gentilini.
C’è da flessibilizzare il lavoro fino al massimo grado e non accontentarsi del pannicello caldo della Legge Biagi, da lasciare Alitalia al libero mercato senza sconti e paracaduti per i licenziati, da tagliare radicalmente le tasse a partire dai ceti più agiati, come negli USA.
C’è da inserire dosi massicce di privato nella sanità pubblica, da fornire cospicui finanziamenti alle scuole private, parificate e no, aggirando l’articolo 33 della costituzione, da modificare radicalmente o abolire la legge sull’aborto.
C’è da mettere nello scantinato le questioni cosiddette sensibili come le coppie di fatto, il testamento biologico, la modifica di alcune parti della legge 40.
C’è da inserire veramente il principio del merito all’interno delle scuole e di varare un generalizzato numero chiuso per le università.
E potrei continuare.

Questa è destra. E se la destra non fa la destra cosa fa di utile al paese? La solita melmosa poltiglia andreottiana che nulla cambia, nessuno scomoda e mantiene al potere? Non chiedo una destra liberale: mi sembrerebbe troppo. Ma almeno liberista, perbacco!

MA I DUE PAESI ESISTONO?
I risultati elettorali nudi e crudi, cosa dicono? Su questo si è già intrattenuto Bulfardo in modo analitico.
Io mi limito ad osservare che la differenza tra il partito di Veltroni, senza Di Pietro (12.092.998 pari al 33,2%) e quello guidato da Berlusconi e Fini, senza la Lega Nord e Sud, (13.628.865 pari al 37,4%) è di 4, 2 punti percentuali e1.535.867 voti. Non è un abisso. E che tra il novembre 2007 e l’aprile 2008 il recupero del Partito Democratico è stato di almeno10 punti percentuali (e forse più).
Allora è pur vero che esistono due paesi reali e quindi due contrapposte visioni della politica e del bene comune, come accade in molte parti dove esiste la democrazia.

Però c'è un però... non è proprio così: quella che si poteva definire l’altra metà dell’Italia ora è evidentemente i due terzi del Paese, se vi si sommano i voti delle Leghe, l’Udc e la Lista Di Pietro (che in larga parte non raccoglie certo umori di sinistra classica).

IN ATTESA DI UNA NUOVA POLITICA DI SINISTRA
Ecco quindi la parte “sinistra” del ragionamento: quello che aspetta al Partito Democratico (il secondo che ha bisogno di riflettere).
A mio parere la strada obbligata è quella che Veltroni ha riassunto nel termine “innovazione”. Innovazione nelle idee, nei programmi, nelle strategie e nelle persone.
Innovazione per evitare il “ripiegamento”. “Una sindrome – per dirla con Stefano Menichini – che chi viene da Botteghe Oscure (ma non solo, direi) conosce bene. Consiste in quello scivolamento all’indietro che fa colorare di rosso le bandiere, alzare i toni dell’opposizione a beneficio delle platee, abbandonare anzitempo le strade difficili che portano a rompere i totem e a infrangere i tabù della sinistra, anche quella cattolica”. Gli ammorbati dalla sindrome non lo dichiarano; magari lamentano “che lungo le strade difficili si rischia di perdersi, di isolarsi, di trovare pochi alleati” e solitamente cercano “molto vicino a sé i voti perduti: la sinistra radicale astensionista, i laici insoddisfatti, la protesta girotondina”.
Tutte analisi per certi versi non sbagliate, ma che rinunziano a far ripartire il PD nella direzione opposta, “cioè verso dove si trova ormai la stragrande maggioranza del paese, dell’elettorato popolare, dei ceti attivi e di quelli marginali”.

Per concludere, a mio modo di vedere, per fare il bene dell’Italia è necessario che la Destra faccia la vera destra (che al governo non ha mai fatto) e la sinistra faccia una nuova sinistra (che non è mai stata).
Buon lavoro.

Stefano Gentili