Un ulteriore messaggio che si è inteso offrire con le proposte del ministro Gelmini riguarda la spinta verso una scuola seria e rigorosa con la scelta-simbolo del “nuovo voto in condotta”.
Nuovo? Manco per niente!
Il voto in condotta (insieme ai voti in decimi) era scomparso nella scuola elementare e media nel 1977 e dal 1999 con l’istituzione dello statuto dei diritti degli studenti, nelle scuole superiori, non poteva più determinare la bocciatura. La nuova norma riporta la scuola italiana al 1923: con il primo Regio Decreto della riforma Gentile (RD 1054), il regime fascista stabiliva infatti in materia esattamente le stesse norme di oggi, tranne per il fatto che il voto minimo in condotta era il 7 e non il 6.
E’ peraltro vero che la questione del modo di stare a scuola degli studenti e del loro essere più o meno educati, rispettosi degli altri e delle cose di tutti, è reale e merita la massima attenzione.
Specie di fronte agli imbecilli che esercitano forme di violenza e disprezzo verso tutto quello che circonda il loro ombelico.
La risposta legata al VOTO IN CONDOTTA e alle sue conseguenze in caso di insufficienza può in parte servire da deterrente, ma lasciata a se stessa è un pannicello caldo, si vede ma serve a poco.
Certo,ora il voto di condotta concorrerà alla valutazione complessiva dello studente e questo può essere un’utile novità specie per i più grandi.
Mi viene quindi da dire: proviamo pure questa azione, ma non aspettiamoci risultati strabilianti.
Il suo peccato originale sta nell’idea che per ottenere un risultato comportamentale adeguato bisogna incentivare la paura della bocciatura.
Le strategie educative sono un’altra cosa. A meno che non si riduca l’educazione alla disciplina, perché allora basta la bacchetta o la frusta.
Gli stessi problemi di bullismo, violenza e di scarsa autorevolezza di certi docenti richiede ben altro.
Chi vive a scuola sa che, per i ragazzi dal comportamento difficile, non serve brandire lo spauracchio del 5 in condotta e delle sue conseguenze. Sa che per acquisire autorevolezza e dare valore e riconoscimento al lavoro scolastico, si deve partire dalle relazioni educative. I ragazzi vanno motivati e resi partecipi della progettazione dei loro apprendimenti.
E poi…c’è un …perché?
Perché i ragazzi (non tutti) sono così poco educati?
Non svicoliamo: la scuola è ciò che è la famiglia e la famiglia è ciò che è la società. E allora perché non intervenire in questi ambiti? Lo so, è tremendamente difficile e poco popolare, quindi non può essere fatto da governi plebiscitari. Pertanto l’impressione del voto-spauracchio che si trasforma in voto-pannicello caldo rimane tutta in piedi.
Comunque sia, e nonostante le perplessità, proviamo pure con il 5 in condotta e la bocciatura, ma la ministra ben presto si accorgerà – per dirla con il liberale Federico Orlando – “di dover difendere i suoi begli occhi e occhiali dalle grinfie di madri e padri anche ultraberlusconiani, ultrafascisti, ultraforzisti che però non vogliono storie con i voti e la promozione e dalla scuola pretendono non che educhi i figli per mezzo della cultura, ma che li mantenga e li accompagni fino al diploma. E se qualcuno infila le mani nel tanga della professoressa, pazienza”.
Stefano Gentili
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