martedì 25 maggio 2021

POST 33 – LA NASCITA DEL NOSTRO POLO E L’APPRODO FINALE DEL “GENTILIPENSIERO”

L’ultimissima carta: il Polo della Democrazia e della Solidarietà con quaranta amici. L’intervista a Toscana Oggi-Confronto dell’8 gennaio 1995 e l’incontro di Capalbio del 3 marzo 1995, segnalavano l’approdo finale della mia visione politica.

Le elezioni del marzo 1994 con la discesa in campo di Berlusconi, il fascino dell’imprenditore di successo che prometteva di farla finita con la vecchia e detestata politica partitica, la sua spregiudicata politica delle alleanze, la sciagurata macchina da guerra di Occhetto, la testarda posizione degli ex-DC, rappresentarono la devastazione dell’assetto politico che aveva retto l’Italia dal dopoguerra.

Naturalmente anche io non avevo previsto il fenomeno Berlusconi e ritenevo che si potesse costruire, in un PPI rinnovato, l’alternativa popolare al campo socialista, realizzando così la terza fase morotea.

Anche se, sul fronte provinciale, sin dal congresso DC del 1990, avevo parlato della necessità dell’incontro tra la tradizione democratico-cristiana e quella comunista. Chi vuol rileggersi quel mio intervento troverà, nel paragrafo titolato Una particolare attenzione alla costituente proposta dal PCI, i seguenti passaggi: “Dobbiamo operare, rispettosi del travaglio che moltissimi comunisti stanno vivendo, perché nella nuova forza che si andrà costituendo non prevalgano le suggestioni radical-libertarie e populiste, ma prenda il sopravvento quello che chiamerei lo spirito di Godesberg basato sull’etica cristiana, sull’umanesimo. Perché giunga a superamento la pretesa di avere una risposta ideologica a tutto, come pure venga superato definitivamente il concetto di egemonia affidato ad una classe, ad un partito, ad un’ideologia che voleva rappresentare la chiave per aprire le porte della storia. Consentire la riuscita di questo processo vorrebbe dire non avere più timore della conclamata alternativa, che è l’igiene della democrazia; e significherebbe favorire una competizione alta tra il riformismo forte di sinistra e quello altrettanto radicale ed equilibrato dei democratici cristiani. Ma dovrebbe anche favorire, secondo questo nuovo contesto, collaborazione e accordi ai vari livelli con la cosa che uscirà dalla costituente, sempre però giustificati dalla politica alta e popolare e non da brutali questioni di potere”.

Vedevo quello storico incontro da attuare sul territorio (comuni, provincia, regione) come un’autentica opportunità di rinnovamento perché in quei campi era cresciuta l’erba della buona politica, purtroppo ancora insieme a troppa gramigna. Pensavo, comunque, che il contesto esterno di indignazione, pulizia, moralità, rinnovamento radicale, avrebbe potuto favorire l’erba buona. Il sogno era quello di prendere i ciuffi buoni dei due campi e seminarli nell’orto della rinascita.

 

In attesa che qualcosa maturasse, tra l’incudine della diaspora politica e il martello del tritello elettorale, insieme ad alcuni dei soliti amici e qualche new entry, tentammo un’ultimissima carta proprio per la provincia di Grosseto. L’8 dicembre 1994 comunicammo LA NASCITA DEL POLO DELLA DEMOCRAZIA E DELLA SOLIDARIETÀ, sottoscritto da 40 cattolici della provincia: Baccetti Alessandro, Biagioli Claudio, Bonelli Massimiliano, Bruscoli Mario, Buggiani Cecilia, Caoduro Bruno, Capone Claudio, Ceccarelli Alberto, Cesarini Adriano, De Concilis Mario, Di Paola Carlo, Furzi Adalgiso, Galli Virgilio, Gentili Stefano, Ginanneschi Luca, Giulietti Paolo, Luti Paolo, Manini Loriano, Mecheroni Bista, Merli Giampaolo, Messina Ombretta, Migliorini Silvia, Moretti Agnese, Nardi Luciano, Nardi Simone, Orsini Francesco, Patti Adelina, Piccolotti Bruno, Pistis Rosalba, Renzi Stefano, Romani Maurizio, Romualdi Bulfardo, Saccardi Mario, Schiano Mauro, Valsecchi Pier Luigi, Vergnory Susanna, Vescera Matteo, Vignoli Paolo, Vistoli Fabio.

Ritenevamo che fosse giunto il momento “di operare per la nascita, anche nella nostra provincia, di un grande movimento, non rigidamente precostituito, ma capace di coinvolgere quanti nella società civile si riconoscono nei citati valori della democrazia e della solidarietà e di abbracciare chi, nell’ambito delle aree culturali e socio-politiche tradizionalmente sensibili a tali valori, è alla sincera ricerca di momenti aggregativi nuovi e capaci di dare una risposta concreta ai molteplici problemi delle gente”. E ci dichiaravamo disponibili a cimentarsi anche nei successivi passaggi elettorali, qualora vi fossero stati “evidenti segnali innovativi nelle persone, nei metodi e nei programmi”.

 

L’8 gennaio 1995, in una intervista a Toscana Oggi Confronto, ribadii i concetti coralmente espressi nel documento di nascita del Polo, che fanno propendere definitivamente il mio pensiero politico sul fronte dell’alternanza tra due schieramenti, con noi schierati sul fronte alternativo al centro-destra organizzato da Berlusconi. Ubicazione opposta a quella che teoricamente avevo immaginato, ma in linea – come detto – con quello che avevo da tempo auspicato almeno per la provincia di Grosseto.

Anche in questo caso ripropongo l’intervista curata sempre dal direttore, Mariano Landini.

“L’anno da poco tramontato, tra le altre cose, ci fa intravedere, nelle nostre zone, i bagliori di un nuovo movimento politico e culturale di ispirazione cristiana che si prefigge l’ambizioso obiettivo di costruire un Polo della democrazia e della solidarietà nella provincia di Grosseto. Il manifesto fondativo è stato sottoscritto da 40 cattolici della provincia. Per comprendere meglio il senso dell’iniziativa abbiamo rivolto alcune domande ad uno dei fondatori, Stefano Gentili.

D. Partiamo dal generale. Quella che abbiamo dinanzi agli occhi è la disfatta della presenza cattolica nella politica italiana?

Assolutamente no; a patto che si comprenda – e si operi per far comprendere – la necessità di fare i conti con il nuovo sistema politico inaugurato dalla riforma elettorale. Non risponde al vero l’opinione che i cattolici italiani non hanno più casa: sono, anzi, spinti ad averne due, sui due versanti dello schieramento politico. Sarà lì che, fedeli ai valori di sempre, dovranno contribuire, da posizioni diverse, alla costruzione della casa di tutti.

D. Andiamo al particolare. Quale è il senso della vostra iniziativa politica?

Anche noi stiamo cercando di lavorare per mantenere attiva la presenza dei cattolici in provincia. Nella nuova democrazia dell’alternanza, chi ha la nostra biografia sente più congeniale lavorare per la costruzione di un moderno polo riformatore, senza con questo giudicare negativamente quei cattolici che si ritroveranno legittimamente nell’altro polo.

Quello che mi sembra pericoloso è invece perseguire l’illusione di un nuovo partito centrale. Illusione perché il partito del centro nel maggioritario non esiste; pericolosa perché mentre ci si avventura nella ricerca di qualcosa che non c’è, altri organizzano i poli prima e senza di noi. Cosa, che in parte è già avvenuta.

D. Un partito d’ispirazione cristiana, allora non ha più senso?

Intanto di forze che esplicitamente dichiarano di ispirarsi ai valori cristiani ne vedo almeno tre: i Cristiano-sociali, il PPI, e il Centro Cristiano Democratico (il CDU non era ancora nato).

E, paradossalmente, l’anomalia è rappresentata dall’attuale PPI. Perché non vuol scegliere e perché è minato da insanabili contraddizioni interne che non fanno pronosticare una lunga vita: non è possibile, infatti, che la simpatia di alcuni per la concezione liberista di Forza Italia possa stare insieme alla visione nettamente solidaristica degli altri. L’ispirazione cristiana può quindi ormai concretizzarsi in forme politiche differenziate e tutte legittime (se coerenti con la matrice). Quello che ha mosso la nostra iniziativa è stata la volontà di tenere alto il vessillo del popolarismo di ispirazione cristiana che ha senso se agisce da coscienza critica, se è animato da coraggioso riformismo e opera scelte di progresso e se si propone di veicolare il centro della società civile (questo sì esistente e determinante) sino a farlo diventare forza trainante del Polo della democrazia e della solidarietà.

D. Ma in una provincia come la nostra non rischiate di diventare un semplice cespuglio sotto la Quercia?

E perché mai? Quando diciamo di voler costruire il Polo della democrazia e della solidarietà con i Progressisti non vogliamo dire che si debbono accettare alcune mitologie della sinistra tradizionale, né teorie etiche permissive. Anzi, chiediamo proprio ai Progressisti di europeizzarsi. Il progressismo da qualche anno in Europa si sta rimodellando su proposte politiche che, come quella di Delors, mettono insieme le spinte del riformismo di ispirazione religiosa insieme alle eredità positive del liberalismo e dell’apertura sociale. Scegliere di costruire il Polo della democrazia e della solidarietà non vuol dire, allora, indossare casacche diverse, ma riproporre, in un mutato sistema politico, quello che, ad esempio, da tempo propone il cattolico Gorrieri sulle politiche sociali.

D. Come è possibile quello che dici?

Superando quelli che sono i mali della politica nostrana: l’eccesso di provincialismo, la scarsa cultura politica, l’attaccamento e la fame di potere.

D. Cosa temi da parte progressista?

Che non si colga la rilevanza culturale dell’iniziativa e si ragioni solo secondo logiche di schieramento e di potere.

D. Cosa temi da parte dei cattolici della provincia?

Che continuino ad ignorare, con tutta tranquillità, l’ingiustizia esistente e che si pensino di centro tra la giustizia e l’ingiustizia. Che non si schierino dalla parte dei poveri e dei deboli, ma cerchino un’inesistente terza via tra ricchi e poveri, tra interessi forti e interessi deboli, tra il pianto del Sud del mondo e l’opulenza del Nord. Che siano ammaliati – in nome di un becero anticomunismo – dalle americanate di Berlusconi che scopre le povertà nazionali girovagando il Paese, commosso (sic!), con l’elicottero e le scarpe da tennis”.

 

Questo è dunque il “Gentili-pensiero” (come lo battezzerà ironicamente in seguito Enzo Rossi) della fase politica precedente a quella amministrativa provinciale, che troverà il suo approdo il 3 marzo 1995 a Borgo Carige, dove alcuni vecchi amici, tra cui il carissimo Luigi Corazzini, mi invitarono a fare “Quattro chiacchiere sulla situazione politica italiana”. Il testo di quell’intervento è ancora una volta rintracciabile sul mio Blog: http://stefanogentili.blogspot.com/2015/03/quattrochiacchiere-sullasituazione.html 

 

Lo conclusi con una famosa frase di Aldo Moro: “Questo paese non si salverà e la stagione dei diritti si rivelerà effimera, se non nascerà in Italia un nuovo senso del dovere”.

Ne ero proprio convinto.


Gennaio 1995 - Gruppo di famiglie alla Maiella


 

mercoledì 19 maggio 2021

POST 32 – TRAVOLTI DALLO TSUNAMI DEL 1994. IL TRITELLO NAZIONALE E LA DIASPORA PROVINCIALE

Dalla DC al PPI, ai Cristiano-sociali, al CCD, al CDU. Comunisti locali travagliati, socialisti devastati e democristiani impreparati. Il decollo di Rifondazione comunista e la nascita di Testimonianza. Bocciata l’ultima nostra candidatura innovativa

Il 1994 fu l’anno del finimondo. Intendo a livello nazionale.

Io vivevo in provincia ma la vicenda italiana mi prendeva molto. Per far comprendere il caos esistenziale che stavo (stavamo) vivendo in quel periodo è necessario fare per un momento mente locale sulle vicende della Dc nazionale, a partire dal 1993, perché mi (ci) coinvolsero e sconvolsero. Chi vuole, può leggerle sempre sul mio blog: http://stefanogentili.blogspot.com/2015/03/1993-1995dalla-dc-al-ppi-ai-cristiano.html

 

Ripercorre quegli anni significa rammentare plasticamente la pazzesca confusione del periodo e ricordare che noi c’eravamo dentro, come travolti da un vortice che diventerà tsunami e non lascerà più nulla come prima.

In verità, sarebbe opportuno soffermarsi anche sullo sconcerto prodotto dalle stragi mafiose di Capaci, da Tangentopoli e la relativa sfilza di arresti tra socialisti e democristiani (anche comunisti, repubblicani, socialdemocratici, liberali), dall’autodenuncia, la chiamata in correo e la difesa d’ufficio di una indifendibile classe politica fatta da Craxi con quel discorso pronunciato a Montecitorio: “I partiti, specie quelli che contano su apparati grandi, medi o piccoli, giornali, attività propagandistiche, promozionali, associative, e con essi molte e varie strutture operative, hanno ricorso e ricorrono all’uso di risorse aggiuntive in forma irregolare o illegale. Se gran parte di questa materia deve essere considerata materia puramente criminale allora gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale. Non credo che ci sia nessuno in quest’aula, responsabile politico di organizzazioni importanti che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo: presto o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro”.

Aveva tremendamente ragione. I soldi servivano, ne servivano tanti, per i motivi citati da Craxi e per accaparrarsi le preferenze, quelle che oggi qualcuno santifica, mercimonio politico che non dava minimamente al cittadino la possibilità di scelta del candidato, ma nel caso della DC provinciale, solo triplette da votare, come quella, che ricordo ancora, di Monaci-Fornasari-Corsi per la circoscrizione Siena-Arezzo-Grosseto. Ripensandoci alcuni anni dopo, compresi dove potevano essere state trovate le risorse per pagare gli incontri all’ora di pranzo durante i periodi elettorali al cospetto di 100 o 200 persone. E i buoni benzina Agip che venivano consegnati per fare campagna elettorale. Io non li ho mai usati.

 

Il quadro politico era, dunque, mutato radicalmente e in modo repentino. Era mutato per tutti.

Per i Comunisti, travagliati dall’abbandono dell’ideologia evidenziata anche nel nuovo nome, PDS, che aveva lasciato praterie elettorali ai nostalgici della rifondazione comunista. A Grosseto nelle elezioni amministrative del 1993 (sfida Valentini-Giunta) Raniero Amarugi e il Partito della rifondazione comunista presero oltre 4000 voti, pari all’ 8,90%.

Per i Socialisti, devastati dagli scandali delle tangenti.

Per noi Democristiani, che eravamo giunti al culmine di quanto avevo previsto, e naturalmente vi eravamo giunti impreparati. Si sarebbe potuto onestamente riconoscere che la radicalità delle mie posizioni, l’intransigenza, o come la si volesse chiamare, rispetto alla DC che avevamo sotto gli occhi, fosse ampiamente giustificata. Fosse il grido disperato di chi non voleva dilapidare tutto il patrimonio del cattolicesimo democratico. Ma figurarsi!

A proposito dell’erba e della gramigna democristiana, dopo l’Assemblea costituente del 1994 non ricordo con esattezza cosa accadde. Mi verrebbe da dire che ciascuno di noi elaborò il lutto in modo personale. Precisa, però, in un commento al mio post, Mauro Schiano, che nel 1994 ci fu un congresso del PPI a Grosseto e lo vinse Giuseppe Messina. All’ultimo minuto gli fu contrapposta la sua (di Mauro) candidatura che, per le cose che disse e la radicalità delle proposte di cambiamento, entrò in congresso con il 44% e uscì con il 36%. Ancora una volta: il bello della sconfitta.

 

Se, dunque, faccio mente locale agli inizi dell’anno successivo (primi mesi del 1995) vedo Giuseppe Messina segretario del PPI di Bianco, Testimonianza per la Città per proprio conto (essendolo già da circa due anni ed avendo partecipato con una propria lista alle comunali del 1993, ottenendo, con Bulfardo Romualdi, 2253 voti pari al 4,67%), il gruppo di Paolini con il circolo Nuovo Millennio orientato a destra, altri in Alleanza democratica poi Patto Segni, Bellettini con il CCD di cui era segretario Andrei, Corsi vicino a Casini o Buttiglione (che con il ciellino Mauri presidiava il suo PPI a Grosseto), il forte direttore della Coldiretti, Eliseo Martelli e Achille Giusti (altri due pezzi da novanta) un po’ più defilati sul fronte della Camera di Commercio e della Grosseto Export. Insomma, una vera e propria diaspora.

 

A proposito, facendo un piccolo salto indietro, in previsione delle elezioni politiche anticipate del 1994, il mio archivio personale contiene un brogliaccio di appunti, una lettera inviata al coordinatore regionale Pistelli e un curriculum per una candidatura innovativa.

Per quanto riguarda quest’ultima proposi il nome di Antonio Magliulo, noto giovane soranese, già Visiting Junior Researcher alla University of Birmingham e dottore di ricerca in Storia delle dottrine economiche, allora titolare di una borsa di studio post-dottorato presso la Facoltà di Economia di Firenze. Cioè persona nuova, preparata, profonda, con alla base anche forti radici religiose, che erano attecchite nell’Azione cattolica e cresciute in Comunione e Liberazione. Ma chi doveva decidere non ne fece nulla.

Fatto sta che nelle elezioni politiche del 27-28 marzo 1994 il CCD si schierò con Berlusconi, i Cristiano-sociali e La Rete con Occhetto; il PPI insieme al Patto Segni, il PRI, l’Unione Liberaldemocratica con i quali aveva fondato il Patto per l’Italia. Il Ppi ottenne 4,3 milioni di voti, pari all’11,1%, cioè 33 seggi alla Camera e 27 al Senato. Complessivamente la sinistra si fermò al 34%, la destra balzò al 46,4% alla Camera e al 40,7% al Senato.

Un tritello per gli ex-democristiani.





venerdì 14 maggio 2021

POST 31 – DENTRO, CONTRO, OLTRE: VERSO L’ASSEMBLEA DEL NUOVO PARTITO POPOLARE

L’ultima battaglia tra vecchio e nuovo. Aquila senza piuma. Quando Berta filava. Dentro la DC di Martinazzoli. Contro le logiche piratesche della DC provinciale. Per andare oltre, verso il nuovo PPI. Il convegno della Triana

Nelle settimane successive al XVIII congresso, mi provennero dalla segreteria provinciale inviti ad essere collaborativo. Felice Matrisciano scrisse una lettera aperta al settimanale diocesano Toscana Oggi-Confronto, nella quale sosteneva con forza di non rappresentare il vecchio, come io ed altri invece ritenevamo e invitava me e gli amici che “ne condividono la tensione ideale, a collaborare solidamente verso il cambiamento e verso il nuovo partito popolare” (Confronto, 4 luglio 1993).

Risposi a Felice sempre su Confronto il 25 luglio 1993, riprendendo alcune delle considerazioni che avevo già espresso, il 4 giugno, sul primo numero dell’opuscolo Nuova Politica (registrato al Tribunale di Grosseto il 20.03.1991) che sino ad allora era stato clandestino. E anche dopo di allora ebbe poca vita, poverino.

Quelle considerazioni erano articolate in tre parti: Aquila senza piuma. Quando Berta filava. Dentro e contro dentro e oltre. Le riporto qui di seguito.

 

AQUILA SENZA PIUMA.

“Ammetto di essere stato colto da stupore quando, di recente, qualche grande elettore di Felice Matrisciano ha pubblicamente dichiarato che a Grosseto avrebbe vinto la nuova DC di Martinazzoli. Non tanto perché gli old boys di Matrisciano hanno sempre fatto di tutto, nel passato più o meno recente, per emarginare proprio Martinazzoli, quanto per il modo come si è addivenuti a questa elezione.

Questa pseudo-nuova DC è stata infatti partorita: dai colonnelli e dalle truppe di generali che hanno usato due nobili istituti di credito come se fossero cosa loro; dalla ragnatela di chi ha in testa solo il proprio destino politico personale; dalla campagna acquisti di quei ragazzi del 99 che frequentavano la politica quando negli USA c’era Truman e Giorgio VI era re d’Inghilterra.

Questa pseudo-nuova DC: ha ottenuto consensi con approfondite analisi culturali e politiche (posti e carriere); ha mostrato profondo rispetto per la dignità delle persone (lascio gli amici di corrente liberi di votare secondo coscienza, ha pontificato qualche boss dagli attributi divini, poi ha fatto scoppiare le linee telefoniche del partito, intimando e suggerendo… ); ha scrupolosamente osservato le regole (adesioni drogate, aderenti non informati delle assemblee congressuali, brogli in qualche sezione); con la parola ha sempre cercato il dialogo (dicendo di noi komeinisti, integralisti, presuntuosi, sepolcri imbiancati, personaggi squallidi…); ha lanciato ponti verso il mondo cattolico e associazionistico (espulsione dal partito dei candidati, dei sottoscrittori, dei sostenitori, dei parenti e degli amici di Etica 2000 e di Testimonianza per la citta).

Pensando a questa pseudo nuova D.C. della provincia di Grosseto mi è tornato alla mente un detto cubano: chiunque può chiamarsi aquila senza avere una sola piuma sul dorso”.

 

QUANDO BERTA FILAVA.

“Non c’è astio nelle mie parole (se amassi solo gli amici sarei un pagano) e non vi si legga neppure la scomposta reazione dell’animale ferito (ottenere il 41% di consensi su base provinciale e il 47,3% senza il dato del capoluogo, solo con la forza della parola e dell’amicizia è un dato non trascurabile). È solo un’esigenza di verità.

Quelle che ho visto all’opera contro una persona, un gruppo di amici, un’idea, un progetto sono vere e proprie strutture di peccato.

Condivisa con alcuni liberi amici, ho proposto un’analisi della situazione ed elaborato un progetto di rilancio dell’ideale democratico-cristiano in politica. Abbiamo convocato (a spese nostre) tutti gli aderenti della provincia e, con chi ha avuto la cortesia di intervenire, quel progetto abbiamo confrontato, registrando consensi e accendendo speranze.

L’altro candidato e i bulldozer che lo trasportavano non ha praticamente incontrato nessuno (salvo in due misere occasioni e a spese del partito), non ha presentato un progetto, non ha avuto la forza e il coraggio di svincolarsi dai soliti soffocanti personaggi (anzi se ne è circondato): si è, insomma, completamente immerso nelle vecchie logiche. Se Matrisciano avesse avuto il coraggio di intraprendere vie realmente nuove, di liberazione, se dopo un confronto serrato con la base su un’idea e un progetto avesse vinto 9 a 1, avrei fatto festa e, chiusa la fase congressuale, avrei offerto il mio umile apporto. Invece è accaduto tutto il contrario e i vecchi vizi sono venuti tutti in superficie, addirittura con maggior virulenza del passato.

Dico pubblicamente quello che ho visto e udito perché quello che stiamo vivendo non è più il tempo in cui Berta filava e tutti, nessuno escluso, siamo posti di fronte ad uno specchio e chiamati a risposte di verità e di coraggio: il popolo democristiano, i dirigenti del partito, i Vescovi e i cattolici della provincia. Il primo deve rispondere se è su queste ceneri che può riardere la nuova DC. I secondi debbono dirci se è con chi incarna queste logiche che si può utilmente andare all’Assemblea Costituente. I terzi se è su queste strutture di peccato che si può edificare la nuova unità politica dei cattolici.

Che il nostro rispondere sia ‘sì sì, no no’; il resto è del maligno”.

 

DENTRO, CONTRO, OLTRE.

“Come comportarsi, allora, di fronte a siffatto stato di cose, in un tempo di grande transizione come il nostro?

Mentre i notabili democristiani che (s)governano la DC provinciale la stanno facendo affondare (come nella terra melmosa affonda un carro quando è tutto carico di paglia), possiamo noi assumerci la responsabilità di appesantire il carico, magari sventolando la logora bandiera dell’unità del partito? Possiamo puntellare un simile stato di cose? Noi che tendiamo al Nuovo Partito Popolare, possiamo diventare gli addetti al pennello di questo imperatore e di questo impero?

No, non possiamo, è la coscienza che ce lo dice! No, non possiamo, è la fede cristiana che ce lo dice! No, non possiamo, è la politica della speranza che ce lo dice!

Il nostro vero grande obiettivo è la nascita del NUOVO PARTITO POPOLARE, figlio della parte migliore della DC, del mondo cattolico, dei mondi vitali della società.

Per centrare l’obiettivo dobbiamo restare nella DC ed assecondare lo sforzo di Martinazzoli, Castagnetti, Rosy Bindi ed altri. Ma nei confronti di questa piratesca DC provinciale dobbiamo esercitare una risoluta obiezione di coscienza, rifiutandoci di prender posto in qualsiasi organo e ufficio di partito (salvo il Comitato Provinciale e solo per il tempo utile all’Assemblea Costituente), smettendola di ripararci dietro il vessillo dell’unità, sipario tarlato dietro il quale si spartiscono sgabelli e presidenze. E nel contempo dobbiamo continuare quel grande servizio civile consistente nella formazione e nel collegamento fraterno e politico delle tante coscienze rette, sparse per il partito, nel mondo cattolico, nei mondi vitali.

Coscienze spesso distanti le une dalle altre, ma che a loro stessa insaputa si toccano e formano quell’invisibile comunità morale che, sola, può rappresentare la salvezza del cattolicesimo democratico. Ecco, dunque, quale è il nostro impegno: restare dentro la DC di Martinazzoli; lottando contro le logiche piratesche della D.C. provinciale; per andare oltre, verso il Nuovo Partito Popolare di ispirazione cristiana”.

Questo era il punto di approdo di quel periodo.

 

Ma la vita continuava e il nostro libero gruppo di amici continuò a lavorare.

Il 9 agosto 1993 si convenne al CASTELLO DI TRIANA PER UNA GIORNATA DI AMICIZIA E RIFLESSIONE.

Nella lettera con la quale, insieme a Paolo Giulietti, invitavo gli amici a quell’incontro dicevo testualmente: “La trascorsa vicenda congressuale in provincia, i progetti già iniziati e in nuce di lavoro politico in campo cattolico nelle tre diocesi della provincia (mi riferivo alla prossima nascita del Centro di formazione politica Ildebrando da Soana), la Costituente nazionale e la successiva gestione straordinaria che dovrà predisporre, per l’autunno, il primo congresso del nuovo partito, sono avvenimenti tali da provocare un’attenta riflessione e da richiedere, anche a noi, una prudente e coraggiosa strategia”.

La giornata fu veramente rilassante e, dopo una mattina trascorsa a visitare il castello e a frescheggiare in pineta (allora ancora si poteva fare!) e impreziosita dalla messa celebrata dal vescovo di Pitigliano, Giacomo Babini, dedicammo il pomeriggio al confronto politico. Dopo una mia breve introduzione, scaturì un dibattito molto interessante e aperto: sui miei appunti ritrovo brevi sintesi degli interventi di Sforzi, Furzi, Papalini, Mondei, Capperucci, Cicaloni, Piccolotti, Luti, Vistoli, Ceccarelli. Ma eravamo una cinquantina e intervennero anche altri amici.

 

Pochi giorni dopo quell’incontro, basandomi sulle cose dette, buttai giù di getto un elaborato di 5 paginette che inviai ad alcuni dei presenti per una prima sgrossatura. Ricevetti i contributi da Bruno Piccolotti e Mauro Schiano e dopo altri vagli (ho gli appunti di un incontro, il 12 novembre 1993, presso la sede delle Acli di via Manetti a Grosseto) divenne la base del nostro manifesto per il Nuovo Partito Popolare. Da quell’elaborato, pubblicato nel secondo e ultimo numero di Nuova Politica nel gennaio 1994 (e rintracciabile sul mio blog ‘Dialoghi’ indirizzo: https://stefanogentili.blogspot.com/2015/03/per-il-nuovo-partito-popolare-frammenti.html

fu preso spunto per presentare la nostra mozione all’Assemblea Costituente Programmatica del Nuovo Partito Popolare che si tenne a Grosseto, all’Auditorium della parrocchia dell’Addolorata a Gorarella, domenica 16 gennaio 1994.

L’indice di quest’ultimo documento era il seguente: 1 Il tempo delle scelte; 2 Cose nuove solo da gente nuova; 3 Carattere della nuova formazione; 4 Nomina sunt consequentia rerum; 5 Schieramenti e alleanze; 6 Costituente provinciale; 7 La selezione dei primi responsabili del Nuovo Partito Popolare; 8 Alcuni aspetti organizzativi.









giovedì 13 maggio 2021

POST 30 – IL XVIII CONGRESSO PROVINCIALE DELLA DC: IL BELLO DELLA SCONFITTA

La sconfitta contro Felice Matrisciano e i vecchi leoni. Con Martinazzoli per la Costituente. Il nuovo è: tornare alle radici, il partito dei cittadini, eliminare le strutture di peccato, puntare sui valori. Il nuovo sono le persone nuove: né lifting, né silicone. Il malinteso Gentili-Corsi

A rileggere oggi le mie posizioni di quel periodo (comuni con altri amici) debbo riconoscere che esse erano effettivamente forti; non so se integraliste, io le definivo intransigenti. Sicuramente prestavano il fianco ad essere ritenute presuntuose, irrispettose, totalitarie. Non era certo questo l’intento che le muoveva; v’era però l’avvertita coscienza della gravità del momento, che richiedeva interventi extra-ordinari.

Questa sensazione avevo tentato di farla percepire negli incontri di base, nell’assemblea degli eletti il 15 maggio e in quella dei delegati sezionali del giorno successivo. Per introdurre quanto intendevo dire non usavo sempre le stesse parole e, tra i miei appunti, ho ritrovato lo schema di quello che dissi il pomeriggio del 15 maggio all’assemblea degli eletti. Quando l’ho letto, mi è preso un colpo. Avevo fatto un esempio, forse efficace, che mai avrei immaginato potesse corrispondere in alcuni tratti a quello che invece sarebbe capitato a me (fisicamente) 10 anni dopo.

Ecco lo schema di quanto dissi.

“Immaginiamo un organismo claudicante e ferito per le bastonate ricevute (elettorali e tangenziali); colpito da carenza immunitaria sia per le infezioni contratte (la mala politica) che per l’incapacità del midollo osseo di produrre le necessarie difese; che perde un organo che si aggrega ad un altro organismo (Etica 2000); che introduce al proprio interno un mezzo organo proveniente da un altro organismo, quindi incompatibile (candidatura a sindaco di Grosseto di Fausto Giunta); trapianto che provoca il rigetto in tutte le parti sane dell’organismo e conduce alla perdita di un altro organo (Testimonianza per la città) che tenta di vivere in modo autonomo; che tenta una disperata trasfusione di sangue buono (alcuni amici presenti nella lista ufficiale della DC) ma che l’organismo non è in grado di assorbire in modo salutare, tanto è debilitato; che è sul punto di perdere altri organi (noi) se non si rigenera e si trasforma in modo reale e radicale, nel rispetto del proprio DNA. E domandiamoci che organismo è quello che non è più in grado di condurre a unità le spinte vitali delle sue diverse parti; che non è più capace di prendere la materia dall’ambiente circostante (mondo cattolico, mondi vitali…) per metabolizzarla e utilizzarla per crescere e svilupparsi. Diciamo la verità: non rientra più nella categoria dei viventi.

È un morto che cammina”.

Ma… lasciamo stare i miei brividi personali e torniamo alla questione.

A supporto della mia candidatura presentai un documento oggi rintracciabile sul mio blog

http://stefanogentili.blogspot.com/2015/03/documentopolitico-presentato-ai.html

 

L’indice di quell’intervento era il seguente:

1 La fine di un’intera stagione politica; 2 La missione compiuta della DC e il tramonto della sua forma partito; 3 La crisi della forma partito in genere; 4 La delicatezza di una fase di passaggio; 5 Tre grandi sfide per i democratici e i cattolici democratici; 6 Con Martinazzoli per la Costituente; 7 Il nuovo sono le persone nuove: né lifting, né silicone; 8 Il nuovo è tornare alle radici: la fontana del villaggio; 9 Il nuovo è il partito dei cittadini: dall’istituzione all’associazione; 10 Il nuovo è eliminare le strutture di peccato: la rimozione dei detriti; 11 Il nuovo è la costruzione di un nuovo Partito Popolare: per una via italiana all’Europa; 12 Il nuovo è un’aggregazione ricca di umanesimo integrale: i valori nelle condizioni umane.

Chiudevo il 13° e ultimo capitolo, intitolato Chi sa se il gran naviglio…, con le parole di Antonio Rosmini: “chi sa se approssimi oggimai un tempo in cui il gran naviglio sciolga nuovamente dalle sue rive, e spieghi le vele nell’alto, alla scoperta di qualche nuovo, e fors’anco più vasto continente!”.

La speranza era proprio quella ed era forte, anche se sapevo che vincere quella battaglia era quasi impossibile. Ma, hai visto mai.

Fatto sta che le votazioni sezionali, i cui risultati convogliarono nell’assemblea del 16 maggio, unite a quelle degli eletti, decretarono la vittoria di Matrisciano con il 59% dei voti congressuali. Insomma, le chiacchiere anche in quel caso stavano a zero.

 

Nel congresso del 1990 mi ero ritirato dopo aver sfidato Andrei, nel 1993 persi contro Matrisciano: due volte sul ring, due volte battuto ai punti. Altre possibilità non ve n’erano. Non so se per consolazione, Mauro Schiano teorizzò “il bello della sconfitta”. Mauro era intelligente, ma disse una fesseria politica. Non una fesseria etica, anzi. Dal punto di vista etico è bello lottare e magari perdere, per le cose in cui credi o che ritieni essere al servizio del bene comune. Ma non in politica, perché se perdi non conti nulla e di sconfitta in sconfitta c'è il pericolo di entrare nel tunnel della mentalità minoritaria, dalla quale poi rischi di non liberarti più. E non serve a fare le cose belle in cui credi.

In verità, considerando che dalla mia avevo solo la parola e l’amicizia, non presi proprio pochi voti: ottenni il 41% su base provinciale che saliva al 47,3% senza il dato del comune capoluogo, per me inaccessibile. Presi più consensi di Matrisciano a Campagnatico, Castedelpiano, Castell’Azzara, Civitella Paganico, Gavorrano, Massa Marittima, Monte Argentario, Orbetello, Roccastrada, Scansano, Sorano, Roccalbegna. A Castiglione della Pescaia gli stessi voti. Persi grandemente a Grosseto, con una bella distanza anche ad Arcidosso, Cinigiano, Follonica; negli altri comuni persi di pochissimi delegati. A Pitigliano non riuscii neppure questa volta ad avere la meglio (voti congressuali per Matrisciano 292, per me 262). La differenza la fece un socio o forse due. Evidentemente in patria profeta non ero.

 

Il percorso di quel Congresso diviso in due parti, si concluse con l’assise di Marina di Grosseto il 27 giugno, dove i rapporti tra noi e gli altri non migliorarono. Anzi, per dirla con l’articolista de La Nazione, P.F. De Robertis, “dopo un lungo, teso, accanito dibattito e una lacerante votazione, la ferita si è approfondita e le due anime della democrazia cristiana vivono ora più che mai separate in casa”. Io non ricordo cosa dissi nel mio intervento, ma ci pensarono gli altri amici della lista “ad attaccare la dirigenza vecchia e nuova della Democrazia Cristiana” (La Nazione, 28 giugno 1993).

La lista di Matrisciano elesse nel comitato provinciale tutti e 27 i candidati; noi conquistammo 9 posti.


L’articolo de Il Tirreno del 28 giugno commise un errore di non poco conto, perché dichiarò che la nostra lista faceva riferimento a Gentili e Corsi. Non era affatto vero, perché Corsi con noi non c’entrava nulla. E lo consideravamo parte di ciò che andava rottamato (anche se non usavamo questo termine). Ammetto di aver pensato che quell’innaturale accoppiata non fu un ingenuo errore, ma una porcatella. Sia come sia, quell’articolo provocò diversi malumori in alcuni amici (o presunti tali). Conservo ancora una lettera dell’allora giovane Riccardo Dominici di San Quirico, che avevamo fatto eleggere insieme a Luigi Fanciulli delegato al congresso regionale, il quale si rivolgeva a me nel seguente modo: “Ho appreso stamane leggendo il giornale Il Tirreno che la lista ‘Dentro, contro, oltre per il nuovo partito popolare’ che io e gli altri amici di Sorano abbiamo gratuitamente appoggiato, convinti delle istanze innovative da essa portate avanti, oltre che a te faceva capo anche, alla faccia del rinnovamento e in ossequio alla vecchia maniera, all’on. Hubert Corsi, esempio emblematico, anche se persona onesta e capace, di quei soggetti contro i quali tu stesso hai da tempo proposto, intenzione ribadita anche domenica scorsa, l’ostracismo dalle cariche e dall’influenza sul partito senza compromessi o transigenze di sorta. Dopo aver amaramente appurato che neppure tu sei in grado di sganciarti del tutto da certe logiche e di garantire il nuovo di cui il partito ha bisogno, per sopravvivere o per addivenire dignitosamente alla Costituente, ti comunico…ecc. ecc.”.

La cosa provocò in me molta amarezza, perché era falsa, e naturalmente spiegai a Riccardo che non era come detto da Il Tirreno, ma ottenni scarsi risultati.

Ho voluto riportare quella lettera per dire come allora fosse facile lasciare intendere anche cose non vere. Bastava farle veicolare attraverso gli unici due quotidiani del tempo. Per il resto non c’era nulla che potesse consentire una comunicazione diretta con le persone: il linguaggio HTML aveva fatto capolino nel 1990, il CERN aveva annunciato la nascita del World Wide Web nel 1991, la rete delle reti non sapevamo neppure cosa fosse. Pertanto, per la comunicazione con l’esterno eravamo in balia di chi controllava i due giornali provinciali.

Con pochi mezzi, contro i giganti delle tessere e con nessuna possibilità di interagire in tempo reale con la nostra base, per argomentare il senso di quelle nostre prese di posizione radicali – che, se non spiegate, avevano tutte le caratteristiche per non essere comprese ed accettate dalla nostra gente, più propensa a ragionamenti unitari che a quelli che dividevano – i risultati di quel periodo andarono effettivamente al di là di ogni aspettativa.

Se fosse stata l’epoca odierna con gli attuali strumenti comunicativi a disposizione, avremmo fatto cappotto. O no.






giovedì 6 maggio 2021

POST 29 – DALLA RIFONDAZIONE AL XVIII CONGRESSO PROVINCIALE DC

Ci caddi un’altra volta: di nuovo candidato alla segreteria provinciale. Intanto cresceva il nostro integralismo dovuto alla chiara percezione di quello che stava avvenendo. Gli incontri da Susanna e un’intervista sul settimanale ToscanaOggi-Confronto. Quella Dc era al capolinea. La via d’uscita


Il tentativo di rifondare la Dc avviato con il convegno di dicembre 1992 non fu semplice e senza scossoni. Ricevemmo critiche nel corso dell’elaborazione del documento programmatico e del coinvolgimento di più persone possibili. E le ricevemmo anche dopo la presentazione dell’iniziativa.

Tra le prime ricordo una lettera franca e critica del sempronianese Loris Danesi che – dopo avermi ringraziato per l’iniziativa e per averlo invitato – segnalava tra di noi la presenza di “spezzoni e vittime illustri di correnti e gruppi”: la cosa a suo dire puzzava “di trasformismo, di camaleontismo, di voglia di processi sommari, se non filtrata da un’attenta meditazione, da una decantazione” che non poteva “essere inventata in …laboratorio”, ma che aveva invece bisogno di tempi un po’ più lunghi. Dall’incontro preparatorio a cui partecipò (il 26 settembre) trasse l’impressione che “in taluni vi fosse scarsa propensione al dialogo, al confronto e troppa acredine nei confronti non tanto dell’attuale dirigenza partitica, quanto nei confronti di certe persone, ripetutamente chiamate per nome”. Loris auspicava un confronto serrato anche con chi deteneva allora le sorti del partito e un coinvolgimento della base, che a suo dire esisteva, al fine di creare le premesse di un futuro movimento che nascesse appunto dal basso e fosse veramente nuovo e trasversale.

Dopo la presentazione dell’iniziativa, Ovidio Paladini – che valutava positivamente ogni iniziativa che tendesse a smuove la “morta gora” del partito, quindi anche la nostra e che su molte nostre tesi si trovava in sintonia – in un bigliettino segnalava due cose sulle quali non era d’accordo. A suo dire dal convegno “traspariva una certa perentorietà nelle affermazioni che era sicuramente indice di sicurezza e convinzione, ma anche di un certo integralismo che dava un po’ di fastidio all’orecchio”. E che gli era “sembrato un po’ latente il concetto di politica come organizzazione della speranza”.

Critiche sensate, che mi fecero riflettere. Sicuramente furono più gradite di alcune pacche sulle spalle che ci provennero da persone poco sincere. Ma la barca era partita e non potevamo fermarci.

 

La nostra imbarcazione si incontrò di lì a poco con il XVIII Congresso provinciale della DC convocato per il 23 maggio 1993. Congresso indetto, sulla scia di nuove norme, in una prima fase per eleggere il segretario provinciale e in un secondo tempo per eleggere il comitato provinciale.

La prima fase fu aperta dai congressi comunali di maggio per l’elezione dei delegati al congresso e, novità, per la votazione dei candidati alla segreteria provinciale. Novità nella novità: se uno dei candidati alla segreteria avesse ottenuto il 50% più uno dei voti delle assemblee dei delegati sezionali e degli eletti sarebbe stato eletto direttamente segretario, ed in questa veste sarebbe andato al Congresso. Altrimenti ad eleggerlo sarebbe stato il congresso convocato per fine maggio.

Ad aprile, il movimento giovanile democristiano ebbe a candidare il trentenne Felice Matrisciano alla segreteria del partito provinciale. Matrisciano, si leggeva in una nota del delegato Lucio Lapalorcia, già esperto come ex delegato del movimento e vicesegretario del partito, sarebbe stato capace di “aggregare le forze buone della Dc, con idee e comportamenti adeguati al difficile momento che la cosa politica sta(va) attraversando”. Avrebbe fatto “del rinnovamento la propria bandiera” e rappresentato “una candidatura di speranza” (Il Tirreno, 24 aprile 1993). Non c’è dubbio che la virtù della speranza fu quella più declamata.

 

In quello stesso articolo si dava anche credito alla mia candidatura. Cosa che si concretizzò grazie all’insistenza degli amici che avevano organizzato o condiviso l’iniziativa della rifondazione democristiana. Mi mossi per la provincia con l’intento di cercare il confronto con la base sulle idee per il rinnovamento che andavamo propugnando: prima a Castel Del Piano, poi a Grosseto, Follonica, Albinia e altre località.

Le ricordo tutte con simpatia, ma Castel del Piano mi rammenta anche gli svariati incontri tenuti nella casa di Susanna Pioli che ci accoglieva, insieme a sua mamma e talvolta a suo fratello, con grande affetto e invidiabile gusto culinario. Lì mi sentivo a mio agio, percepivo il bello dell’amicizia e la forza del cambiamento che ci infervorava. Ero solo leggermente turbato quando il giovane fratello di Susanna mi chiamava il profeta. Ma non nego che speravo si intravedesse nelle cose che andavamo dicendo un po’ di sana profezia.

 

Il resoconto di quell’ennesimo sforzo può essere sintetizzato con un’intervista (nella quale riprendevo alcuni spunti della mia piattaforma elettorale) che il direttore di Toscana-Oggi-Confronto, Mariano Landini, mi fece in quel periodo, poco prima della celebrazione del congresso provinciale.

L’intervista iniziava in modo perentorio: “Dopo il 18 aprile chi non cambia, se non deve andare in carcere, andrà in soffitta o in archivio”.

“Se la mia candidatura, con tutto quello che rappresenta, non trova il consenso degli aderenti democristiani, ma ancora una volta si preferiscono candidati ingabbiati nella vecchia logica, considero chiusa la mia esperienza in questa DC provinciale”. Sono queste le frasi ultimative con le quali Stefano Gentili – candidato alla segreteria provinciale della Dc da quei democristiani che pochi mesi fa hanno dato via al Movimento di Rifondazione della DC – ha aperto e chiuso una serie di incontri con gli aderenti di base.

Gli abbiamo rivolto alcune domande.

D. Come è andata la convention?

È stata una faticaccia esaltante, perché ho avuto modo di incontrare amici animati da grande passione civile e, al contempo, deprimente perché molti di costoro non ne possono proprio più della DC provinciale che non c’è, o meglio, che c’è solo nei suoi aspetti deteriori. Uno dei quali è quello di decidere i segretari provinciali nel chiuso di una stanza. D. Quale messaggio hai lanciato?

Ho lanciato un messaggio, condiviso con altri amici, fondato su tre costatazioni, tre convinzioni e incardinato sull’unica via d’uscita praticabile.

D. Parliamone un po’.

Le costatazioni sono rappresentate dalla presa di coscienza della fine di un’intera stagione politica, della fine dell’attuale forma partito, dal crepuscolo di ‘questa Dc’.

D. Perché è finita questa forma-partito?

Strutturalmente perché è nata come necessità storica a fronte della presenza del PCI, in un’epoca ormai lontana anni luce; sostanzialmente perché corrosa dal virus della partitocrazia.

D. E come se ne esce?

Spostando il baricentro del potere verso i cittadini, passando dalla democrazia dei partiti alla democrazia dei cittadini.

D. Hai parlato anche di crepuscolo di questa DC?

Questa Dc è al capolinea. Ha compiuto la sua missione, ha raggiunto le mete prefissate: l’allargamento della democrazia, l’uscita dalla miseria in un’ottica di sviluppo equilibrato, ha definitivamente riconciliato i cattolici con lo Stato.

D. E le tre convinzioni quali sono?

Sono le seguenti. La fine di questa forma partito non presuppone la fine dei partiti, ma la loro radicale rifondazione. Il crepuscolo di questa DC non fa tramontare la necessità, per l’Italia che verrà, del contributo del cattolicesimo democratico alla politica. Per offrire un serio contributo in questa direzione è ancora necessaria un’aggregazione politica che si ispiri ai valori cristiani.

D. A proposito di cattolici. Non pochi oggi sostengono che tramontato l’equivoco DC i cattolici conservatori debbano andare con i conservatori e i cattolici progressisti con i progressisti. Che ne pensi?

Ascoltare queste sirene vuol dire estinguere il partito di ispirazione cristiana e quindi far venir meno le ragioni forti del cattolicesimo democratico. Perché stupirsi se ancora oggi quanti credono in valori che sono al contempo cristiani e universali, si battono democraticamente per la loro affermazione, unendosi in un’aggregazione e aggregando, su un programma politico comune, cattolici e non cattolici? Senza che ciò ovviamente suoni scomunica per quanti, anche cattolici, ritenessero invece di poter difendere i medesimi valori militando in altre aggregazioni.

D. E quale è la via d’uscita?

Per rispondere prendo a prestito un commento di Civiltà Cattolica. Si esce da questa grave crisi “con l’azzeramento del vecchio partito e della sua classe dirigente e con l’affermazione di un’aggregazione nuova che, conservando i principi di fondo – l’ispirazione cristiana, il popolarismo, il solidarismo – cambi la sua struttura, i suoi regolamenti, il suo statuto, la sua classe dirigente, e se lo ritiene utile anche il nome”. È in questa direzione che deve essere sinceramente sostenuto il tentativo di Martinazzoli.

D. E in provincia come può essere sinceramente aiutato il tentativo di Martinazzoli?

La pertinenza della domanda si regge tutta su quel sinceramente. Vedo infatti che anche nella DC provinciale siamo oggi tutti nominalmente per Martinazzoli e lo sono anche coloro che fino a ieri hanno appoggiato capini e caponi che portavano voti congressuali a quei referenti che, a livello nazionale, hanno sempre messo all’angolo Martinazzoli, le sue idee, quello che rappresentava. Ecco che, se allora vogliamo sinceramente aiutare Martinazzoli, dobbiamo, a partire dal prossimo passaggio congressuale provinciale, scegliere senza titubanza il nuovo.

D. E cosa è il nuovo?

Il nuovo non è uno slogan, né un’idea. Il nuovo sono le persone nuove. E siccome ritengo che tu possa comprendermi sino in fondo, ti rispondo con Paolo VI che le persone nuove sono “uomini e donne capaci di accettare l’incognita della povertà, di essere attratti dalla semplicità e dall’umiltà, amanti della pace, immuni da compromessi, decisi all’abnegazione totale, liberi e insieme obbedienti, spontanei e tenaci, dolci e forti nella certezza della fede”.

E in chiave più strettamente politica voglio aggiungere: uomini che siano in grado di leggere con intelligenza il tempo presente e quello che sta prendendo la rincorsa; uomini che abbiano la capacità di coinvolgere le forze vive e fresche provenienti dalla società civile; uomini che provengano da canali formativi diversi dalle affumicate stanze di partito. Ciò non vuol dire che si debbono buttare a mare tutta una serie di oneste esperienze, competenze, militanze del passato (anzi un certo nuovo è più vecchio del cosiddetto vecchio). Solo che questi amici debbono dare il loro importante contributo facendo un passo indietro rispetto alla prima linea e lasciando che nuove forze operino in trincea.

D. Un’ultima domanda, Stefano. Non ti sembra di essere un po’ integralista quando dici che se la tua candidatura non trova i necessari consensi, consideri chiusa la tua esperienza in questa DC provinciale?

No, integralista no. Chi mi conosce sa che questo tarlo è estraneo dalla mia storia personale. Quanto vado dicendo non è integralismo, ma rigore richiesto dalla drammaticità del momento, dal nuovo sistema elettorale uninominale e dal bisogno di verità. Troppi non hanno ancora compreso che la logica uninominale costringerà i partiti a scegliere in modo netto da chi vogliono essere rappresentati. Non potranno più essere i contenitori di tutto e del contrario di tutto. E permettimi di affermare che la mia candidatura, con quello che rappresenta, è del tutto alternativa ad altre candidature che si stanno prospettando e che sono tutte dentro la vecchia logica. E poi, quegli amici che mi piace chiamare della pacca sulle spalle, che dicono bravo ragazzo…viene dal mondo cattolico… e così dicendo ti vorrebbero asfissiare nelle vecchie fumose stanze, debbono essere messi di fronte a un momento di verità.

 

E sia che Stefano Gentili non venga appoggiato perché ritenuto uomo di parte (e ti assicuro che non lo sono nel senso inteso da taluni), sia che non venga sostenuto proprio perché non di parte, svincolato da logiche di potere e non ricattabile, non mi resta altra strada che quella di starmene a casa rispetto a questa DC provinciale, che a quel punto avrà scelto di restare legata ai vecchi schemi.