sabato 14 marzo 2015

1993-1995: DALLA DC AL PPI, AI CRISTIANO-SOCIALI, AL CCD, AL CDU, ….

Il 1994 fu l’anno del finimondo per la DC a livello nazionale. Ricordo alcune vicende che la riguardarono, a partire dal 1993.

Nel mese di marzo 1993 Mario Segni si dimise dalla Dc perché a suo parere “il tentativo di riformare dall'interno questo partito è(ra) senza alcuna speranza”. A maggio aderirà ad Alleanza democratica e vi confluirà a luglio.
E a dicembre dell’anno prima, in un turno di elezioni amministrative che interessava circa un milione di elettori, la Dc era scesa dal 36 al 24% dei voti. Campanello d’allarme. Anzi, campana.
Il 18 aprile si svolsero otto referendum, tutti con una netta prevalenza di sì: in particolare per l'abolizione del finanziamento pubblico dei partiti (90,3%) e per la modifica della legge elettorale in senso maggioritario (82,7%), sostenuta anche dalla DC.
Il 12 giugno "Carta 93", il gruppo di intellettuali cattolici raccolto sin dal 4 ottobre '92 da Maria Eletta Martini, Balboni, Berti, R. Bindi, Cananzi, D'Andrea, Elia e Monticone e che aveva elaborato un "manifesto per la rifondazione della politica", si costituì in associazione, con statuto, organi rappresentativi e nove gruppi di lavoro.
A metà 1993 la nuova leadership della DC guidata da Martinazzoli tentò la rifondazione che si espresse anche nel cambio del nome, Partito Popolare Italiano, proprio per segnare in modo più netto la rottura con il passato.
L’11 settembre Ermanno Gorrieri lasciò la Dc e dette vita al Movimento cristiano-sociale. Vi aderirono Pierre Carniti, Paola Gaiotti, Gianni Mattioli, Luciano Guerzoni, Luigi Viviani, Laura Rozza e altri, sindacalisti ed ex-aclisti.
Il 21-22 novembre in un importante turno di elezioni amministrative (col sistema maggioritario e l'elezione diretta del sindaco) che interessava oltre 11 milioni di elettori e i comuni di Roma, Napoli, Genova, Venezia, Trieste, Palermo ecc., la Dc nei comuni con oltre 15 mila abitanti ottenne complessivamente l'11,2% dei voti. Turno che era stato preceduto da quello del 6 giugno (anche a Grosseto: sfida Valentini-Giunta) ugualmente devastante.
A novembre Clemente Mastella chiese l'immediata convocazione del Congresso Nazionale e si candidò alla guida della nuova Dc.
A dicembre la Dc divenne un formicaio. Il capogruppo alla Camera Gerardo Bianco chiese in una lettera a Martinazzoli di intensificare la preparazione del processo costitutivo del nuovo partito, per poi “incontrarci con il filone liberaldemocratico e del socialismo riformista”. Un centinaio di parlamentari (Lusetti, Ciliberti, Baccarini, Galbiati, Fronza Crepaz ecc.) chiese in un documento a Martinazzoli “una presa di posizione per uscire dalla trappola delle contrapposizioni esasperate”. Altri 40 parlamentari (Fracanzani, Agrusti, Ciaffi, Pinza, ecc.) presentarono un documento “per un'aggregazione di centro tra laici e cattolici”.
Il 9 dicembre il presidente della Fininvest Silvio Berlusconi ipotizzò una sua entrata in politica, ma ebbe a precisare: “Non ho mai parlato di uno schieramento di cui dovrebbe far parte il Msi”. L’allora prof. Rocco Buttiglione rilevò che l'iniziativa sarebbe stata “inopportuna” perché avrebbe creato “delicati problemi dal punto di vista etico e il sospetto che le sue testate vengano usate a favore del suo programma politico”.
Il 13 dicembre, con un'intervista al Messaggero Buttiglione, membro della Direzione della Dc, si autocandidò alla guida del nascente Partito Popolare. Il 16 dicembre uscì una “Lettera ai deputati D.C.” di Gerardo Bianco: “Abbiamo dalla nostra parte forti ragioni ideali e una lunga storia di scelte giuste che hanno salvato il Paese da pericolose avventure”. Il gruppo che faceva capo a Pierferdinando Casini insisteva sulla necessità di costruire un “centro moderato”, esprimeva “preoccupazioni per le difficoltà di convivenza interna registrate” e chiedeva “un vero dibattito e un chiarimento di linea politica” prima del Congresso Nazionale.
Il 30 dicembre Casini, Mastella, D'Onofrio e Fausti presentarono il programma politico del loro gruppo: in una logica inevitabilmente bipolare, ritenevano necessario collocare il Partito Popolare nel Polo moderato, assieme a Berlusconi e alla Lega, mentre rispetto ad Alleanza nazionale ritenevano che occorresse mostrare attenzione per le mutazioni in corso.
I primi di gennaio del 1994 i neo-centristi avviarono incontri con altri gruppi politici. Rosa Jervolino disse che ciò era “inammissibile: si comportano come se fossero già un altro partito che tratta con gli altri partiti”. Il 5 gennaio Martinazzoli prese atto “serenamente che i neo-centristi si sono accomiatati”.
Il 13 gennaio in una intervista del Popolo a Buttiglione sull'identità e il futuro del Partito Popolare ebbe a dire: “Il problema di fondo sta nella scelta strategica del nuovo partito, cioè nell'essere alternativo al Pds. I centristi da questo traggono però quasi automaticamente una conseguenza sbagliata, quella di un'alleanza con Lega, Berlusconi e Msi”.
Dimessosi il governo Ciampi (il 12 gennaio) dopo la mozione di sfiducia delle opposizioni e rimaste senza esito le successive consultazioni del Capo dello Stato per la soluzione della crisi, il Presidente Scalfaro sciolse le Camere e fissò le nuove elezioni generali per il 27 marzo.
Il 18 gennaio in mattinata vi fu il battesimo ufficiale del partito dei centristi (Centro cristiano democratico: CCD), che aveva come simbolo una vela e un piccolo scudo crociato. La dirigenza provvisoria venne affidata a P. Casini, Mastella, D'Onofrio, O. Fumagalli Carulli.
Nel pomeriggio all'Istituto Sturzo ebbe luogo la fondazione del nuovo Partito Popolare Italiano, presenti l'ultimo segretario della Dc Martinazzoli e l'ultimo presidente del Cn Rosa Jervolino, i presidenti di Camera e Senato Napolitano e Spadolini, i capigruppo Dc di Camera, Senato e Parlamento Europeo, G. Bianco, G. De Rosa e M. Forte, dirigenti nazionali ed esponenti del mondo cattolico.
Il giorno successivo i parlamentari della Dc di Camera e Senato aderirono al Partito Popolare, tranne 22 deputati che confluirono nel CCD, dove P. Casini e Mastella furono nominati coordinatori nazionali e D'Onofrio presidente del gruppo parlamentare. L'Osservatore Romano auspicava ancora “la ricomposizione e l'unità”, sulla linea del messaggio del Papa ai Vescovi italiani, di due settimane prima, nel quale egli ricordava le responsabilità dei cattolici, che dovevano affrontare uniti il cambiamento richiesto da quella fase storica.
Il 22 gennaio al palazzo dei Congressi di Roma si svolse l'Assemblea Costituente del nuovo Partito Popolare Italiano (con relazioni di Martinazzoli, De Rosa, G. Bianco e Balboni), che confermò la propria collocazione di centro-sinistra. Dopo il discorso di apertura del presidente Rosa Jervolino, il segretario Martinazzoli, cui saranno riconfermati i pieni poteri, annunciava che a maggio si sarebbe tenuto il primo Congresso Nazionale del Ppi.
Il 26 gennaio Silvio Berlusconi “scese in campo”. Martinazzoli rilanciò il centro con cattolici, laici e democratici riformisti. Gianfranco Fini tenne a battesimo (il 22 gennaio) Alleanza Nazionale.
A metà febbraio Martinazzoli respinse un’alleanza con Berlusconi, da questi ipotizzata mentre già parlava di un futuro governo con Fini e a fine mese dichiarò che in caso di successo elettorale il nuovo presidente del Consiglio sarebbe stato Mario Segni.
Il 1 marzo fu presentato da Martinazzoli, Segni, Amato e La Malfa il programma del “Patto per l'Italia”.
Il 21 Martinazzoli uscì con un’affermazione che di lì a poco si sarebbe rivelata infausta: “Il bipolarismo è una finzione mistificatoria, un espediente elettorale che tradisce il voto nel momento stesso in cui lo si chiede. L'unica soluzione che garantisca la governabilità è il voto al centro”.
Nelle elezioni politiche del 27-28 marzo il CCD si schierò con Berlusconi, i Cristiano-sociali e La Rete con Occhetto; il PPI insieme al Patto Segni, il PRI, l’Unione Liberaldemocratica avevano appunto fondato il Patto per l’Italia. Il Ppi ottenne 4,3 milioni di voti, pari all'11,1%, cioè 33 seggi alla Camera e 27 al Senato. Complessivamente la sinistra si fermò al 34%, la destra balzò al 46,4% alla Camera e al 40,7% al Senato.
Il PPI dunque fu schiacciato dalla bipolarizzazione del voto tra destra e sinistra, risultando fortemente penalizzato dall’attrazione suscitata da Forza Italia di Silvio Berlusconi e, al nord, dalla Lega, sull’elettorato precedentemente democristiano.
La sconfitta provocò le immediate dimissioni di Mino Martinazzoli e, dopo molte peripezie, durate fino a luglio, il 29 di quel mese si giunse all’elezione a segretario - da parte del Congresso nazionale del partito - di Rocco Buttiglione, esponente moderato favorevole anche lui a trovare un accordo con Berlusconi. Martinazzoli commentò: “Era meglio eleggere Berlusconi, piuttosto che un suo sosia...”.
Il 20 novembre 1994, in un turno di elezioni amministrative con tre milioni di elettori, il Ppi ottenne il 12,7%. A Brescia grande successo di Martinazzoli (41,1%), che fu eletto sindaco dopo il ballottaggio.
Il 21 dicembre, dopo soli sei mesi di vita, cadde il governo Berlusconi per una mozione di sfiducia presentata due giorni prima da Ppi e Lega. Il 13 gennaio 1995 Scalfaro affidò il nuovo incarico a Lamberto Dini, che già il giorno 17 poté costituire un esecutivo composto di soli tecnici, come aveva chiesto il Ppi. Il nuovo governo passerà alla Camera (25 gennaio) con 302 sì, 270 astenuti e 39 no.
Il 27 gennaio 1995, Buttiglione non partecipò ad un previsto incontro politico con Bossi, D'Alema e Segni, che pareva dovesse prefigurare la formazione di una nuova maggioranza, e l'indomani presenzia invece al Congresso del Msi a Fiuggi, dimostrando di apprezzare lo strappo compiuto da Fini. Vivace fu il dissenso delle sinistre interne. Il 30 Buttiglione dichiarò: “Dobbiamo correre il rischio di un'alleanza con An”.
Il 2 febbraio dai capigruppo popolari di Camera e Senato, Andreatta e Mancino, e dal presidente del Consiglio Nazionale del Ppi, Giovanni Bianchi, venne formalizzata la candidatura di Romano Prodi alla guida di uno schieramento di centro-sinistra. L'indomani e il giorno 7 l'iniziativa fu stigmatizzata dalla Giunta esecutiva e dalla Direzione del partito. Bianchi, Andreatta e Mancino furono deferiti ai probiviri.
Tra l’8 e l’11 marzo Buttiglione firmò un accordo elettorale con i leader del Polo in vista delle amministrative del 23 aprile. Tre giorni dopo, il Consiglio Nazionale del partito approvò, con 102 voti contro 99, un documento che respinse quell'accordo. Il segretario, che si era impegnato a dimettersi in caso di non approvazione del suo operato, rifiutò di farlo perché considerava irregolare quella votazione a causa della decisione del presidente del Cn Giovanni Bianchi di non ammettere al voto tre consiglieri sospesi dal partito perché indagati dalla magistratura. Ricorsero ai probiviri. Intanto il Cn fissò al 15 giugno la data del nuovo Congresso.
Il 14 marzo, il collegio dei probiviri, che prima aveva ordinato a Giovanni Bianchi di sospendere dal partito i tre consiglieri inquisiti, accolse (con 5 voti a favore, tre contro e un astenuto) il ricorso di Buttiglione contro la delibera del Consiglio Nazionale, che venne dichiarata nulla. Buttiglione destituì Marini da segretario organizzativo e Borgomeo da direttore de Il Popolo.
Il 16 marzo, il Consiglio Nazionale, presenti 114 membri su 215, elesse all'unanimità Gerardo Bianco segretario del Ppi, affiancandogli un Comitato formato da Marini, D'Andrea, Gargani e Pistelli. G. Bianchi fu incaricato di tutelare gli interessi del partito anche in sede giudiziaria. Buttiglione disse che era tutto illegale e sospese i 114 consiglieri.

In pratica ormai esistevano due partiti popolari, quello di Buttiglione, legittimato dalla delibera dei probiviri, cha a luglio prenderà il nome di CDU (Cristiano Democratici Uniti) e quello di Bianco, il PPI, confermato dal voto del Consiglio Nazionale. Del CCD ho già detto.

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