mercoledì 28 maggio 2008

CHI PREMIAMO A SCUOLA?

Qualche giorno fa ho dato un passaggio a tre autostoppisti: due ragazze e un ragazzo.
Abbiamo parlottato …“che fa lei”, “che fate voi”: "io ero un professore", "ah!!!". "E noi siamo studenti", "uhm!!!".

Erano tre studenti di una scuola superiore della provincia di Grosseto.
Il discorso inevitabilmente è caduto proprio sulla scuola e sulla fine d’anno scolastico.
Erano incavolatissimi per il metro di giudizio di alcuni loro insegnanti: "premiano i somari e fanno i difficili con chi si è impegnato tutto l’anno".

Dice una delle due ragazze:“Quei due hanno raggiunto a mala pena la media del 4,5 e l’insegnante di ..... ha detto che con una interrogazione sufficiente, la prossima volta, sull’ultima parte del programma, forse li porta allo scrutinio con la sufficienza. E a me, che ho costantemente voti tra l’8 e il 9 (media del 8,8), dice che non sa se potrà portarmi con il 9”. “E a me – aggiunge l’altra – che ho una media del 7,9, ha detto che quella è e con quella mi porta allo scrutinio”.
Il ragazzo stava zitto: chissà che medie aveva.

Qualcosa non torna??????

Stefano Gentili

lunedì 26 maggio 2008

NON MI PIACE UN MOVIMENTO CATTOLICO "SENSIBILE"

“Mamma, mi si è ristretto il campo…”.
E’ quanto mi viene da dire se penso a quello che è avvenuto negli ultimi anni all’interno della Chiesa italiana per responsabilità di alcuni dei suoi massimi esponenti. Per di più in un tempo in cui, grazie al magistero dei pontefici degli ultimi anni, la Chiesa ha invece dilatato il suo spazio d’interesse.

Da qualche anno, infatti, e in modo sempre più pressante, i cattolici sono inviati ad occuparsi dei cosiddetti temi eticamente sensibili, con una marginalizzazione di tutto il resto in qualcosa di puramente opzionale.

Con ciò dimenticando la vera e propria canonizzazione della dottrina sociale della chiesa coma una parte della teologia morale e pertanto impegnativa per tutti, in ogni aspetto della vita pubblica.
Come pure facendo spallucce – tanto per fare un riferimento puntuale – a quanto Giovanni Paolo II ebbe a dire circa le strutture di peccato.

Questa riduzione concettuale e formativa dimostrata dalla insistenza sui temi eticamente sensibili – che poi sarebbero soltanto l’aborto e l’embriologia, il divorzio e la famiglia – determina l’abbandono di altre questioni, compresa la giustizia sociale che – secondo questa impostazione - viene scorporata dalla politica e ridotta ad atto poco più che individuale.

“Sul piano concettuale e formativo – ricorda Ruggero Orfei in un recente intervento – finisce per diventare normale che tutte le questioni politiche siano, tranne quelle ricordate, non eticamente sensibili”.
E in questa direzione si vorrebbe dar vita a “un movimento cattolico in qualche maniera unitario, ma solo connesso con i temi sensibili”.

L’idea che l’azione politica investa realtà sempre eticamente sensibili, nel senso anzidetto, la riduce a tal punto da renderla priva di significato. Giorgio La Pira in un discorso del 1951 – annota ancora Orfei – ebbe a precisare: “La carità non è la carità delle dieci lire. E inoltre il pensiero moderno cristiano accentua il giudizio cristiano sulla parabola dei talenti, sull’intervento. Prendo un bilancio familiare: 1) vitto: ebbi fame e mi avete nutrito; 2) alloggio: ero pellegrino e mi avete ospitato; 3) vestiario: ero nudo e mi avete vestito; 4) salute: ero malato e mi avete visitato”.

Alimentazione, casa, abiti, sanità, come pure il tema della guerra e quello di strutture a servizio dei cittadini sono tutti temi che fanno parte della politica e sulla quale i cristiani, anche in forza dell’insegnamento sociale della Chiesa, possono e debbono dire la loro, alla luce del vangelo.

Come mai sono scomparsi dall’agenda dei primi responsabili della Chiesa italiana? E, di conseguenza, anche dall’attività formativa proposta a livello di base? E, quindi, anche dalla coscienza di molti credenti che varcano gli atri delle nostre chiese?

Saremo mica ancora alla logica denunciata dal vescovo brasiliano Helder Camara (1909-1999) che diceva: "Quando dò da mangiare a un povero tutti mi chiamano santo, ma quando chiedo perché i poveri non hanno cibo, allora tutti mi chiamano comunista".
Forse no.

Io, però, un’idea ce l’avrei. Ma si tratta di un pensar male. E a pensar male – come diceva un politico nostrano – si fa peccato.
Ma spesso ci si azzecca.

Stefano Gentili

venerdì 23 maggio 2008

A PAOLO GIUNTELLA, UOMO LIBERO

“E' morto il giornalista del Tg1 Paolo Giuntella. Volto noto del piccolo schermo, da molto tempo al seguito del presidente della Repubblica, era da tempo malato. Nonostante questo ha continuato a lavorare fino a poco tempo fa, realizzando servizi che raccontavano, con precisione, le vicende del Colle. Lascia una moglie e tre figli.”
Inizia così un servizio de La Repubblica.

Ci conoscevamo con Paolo, sin da quando lo invitammo a partecipare ad un incontro di formazione sociale e politica a Scansano, tra il 1990 e il ’92. Anche in quell’occasione fece un intervento lucido, da libero pensatore. Ci incrociammo, insieme ad altri amici, alle iniziative della vera “Rosa Bianca” a Brentonico. Pur non essendoci frequentati assiduamente, percepivo con lui una profonda sintonia culturale e umana.

Prosegue l’articolo: “Giuntella era già stato quirinalista del Tg1 durante il settennato di Carlo Azeglio Ciampi. Continuando anche con Giorgio Napolitano. Di lui, figlio del professore Vittorio Emanuele Giuntella lo storico che fu internato nel lager nazista di Auschwitz, si ricorda anche l'impegno sociale e per la libertà di informazione della categoria dei giornalisti. Giuntella, inoltre, è stato 20 anni fa uno dei fondatori del Gruppo di Fiesole. Nel 1966 fu tra gli 'Angeli del Fango', dopo l'alluvione di Firenze. Nel 1979 fonda la "Rosa Bianca", un'associazione cattolica orientata a sinistra, i cui convegni, per tutto il corso degli anni '80, saranno animati da molti dei futuri dirigenti e intellettuali dell'Ulivo e del Partito Democratico. Già capo della terza pagina e dei supplementi culturali de Il Mattino, passato in Rai ha coordinato Tv7, per poi divenire caporedattore di Speciale Tg1, e in seguito corsivista televisivo e inviato speciale in Irlanda, Albania, nelle zone colpite dal terremoto del '97 in Umbria e Marche e in Kosovo, dove e' stato menzionato al merito dall'ambasciatore italiano per aver salvato la vita di un disabile, rimasto in un'abitazione incendiata. Unanime il cordoglio del mondo giornalistico e politico. 'Con Paolo Giuntella scompare prematuramente una figura unica di intellettuale, di giornalista, di educatore, di testimone degli ideali e dei valori del cattolicesimo democratico' afferma il vice segretario del Pd Dario Franceschini. 'Era una voce importante, ci mancherà' dice Walter Veltroni. Cordoglio arriva anche dal presidente della Camera, Gianfranco Fini e dai gruppi dell'Idv e dell'Udc. L'annuncio della scomparsa del giornalista è stato dato nel pomeriggio alla Camera dal deputato del Pd Giovanni Bachelet che ha reso omaggio al giornalista e amico scomparso 'che gli e' stato maestro nell'assumere impegni in politica'."
Pace a Paolo, uomo libero.
Stefano Gentili

mercoledì 21 maggio 2008

PD, PER FAVORE, ALLEATI CON GLI ITALIANI

Stefano Menichini sul giornale che dirige, Europa, fa un appello ai primi responsabili del Partito Democratico: “Per favore, alleatevi con gli italiani”. Non ricominciamo con le solite!
“Veltroni è al volante del Pd e una cosa la sa di certo: se svolta sinistra, va a sbattere contro un muro. Perché lì la strada è chiusa. Finita. Poco frequentata”.
Se si tratta di “dare ascolto e poi voce a un’Italia di sinistra che è rimasta fuori dal parlamento”, va bene. “Figurarsi, l’ha fatto anche Schifani”.
“Le parole dei dirigenti dell’ex Pci ed ex Ds ora Pd, confermano poi un apprezzabile attaccamento al proprio mondo di provenienza, lacerato e disperso, portatore di valori fondamentali che vanno tenuti vivi”.

Però…”il destino e il futuro del Partito democratico sono altrove (…) la vera Italia, quella che corre o anche solo arranca, si muove comunque nella direzione opposta. Non ne troveremo traccia tra le sigle: Sd, Sa, Rc… neanche Udc, se è per questo”.
“Non fate confusione e non ne ingenerate in giro, per favore: per tenere qualche sindaco fra un anno si possono fare accordi in federazione o dibattiti sui giornali locali. Perfetto. Nelle liste europee ci sarà ogni copertura a sinistra. Ovvio. Ma non è il caso di mettere a repentaglio un’immagine che già fatica ad affermarsi, solo per quattro chiacchiere coi vecchi compagni”.

Aoh! Sembra che abbia origliato la recente Assemblea Congressuale provinciale del Pd.
Sveglia ragazzi!!

Stefano Gentili

lunedì 19 maggio 2008

LA COLPA E’ DEI FICHI: EDUCARE ALL’INDIPENDENZA

In un recente opuscolo dell’Elledici rivolto i giovani, Dimensioni nuove (aprile 2008), ho letto una lettera di una giovane, Concetta, che – in alcune parti – desidero riproporre, perché a mio parere tocca uno dei nodi scoperti del nostro tempo.

Dice Concetta: “Si sa che l’impero romano degenerò per le varie Messaline e Agrippine; che il giorno in cui fu abbattuto l’impero romano d’occidente la mamma di Romolo Augustolo, l’ultimo imperatore, proibì categoricamente a questi di scendere in battaglia per via di un cagotto dovuto ad una spanciata di fichi.
Queste mamme hanno fato scuola ed hanno prodotto figli scarsamente virili, attaccati alle loro gonne, frustrati al punto da limitarsi a fare gli uomini esclusivamente a letto, a tavola, allo stadio: nei luoghi della prepotenza, ma non della virilità autentica.
Alla mamma biologica si aggiunge poi la Madre-Televisione altrettanto soporifera e che alleva a forza di gossip e grandi fratelli.

Uomini siffatti non possono che sognare un padre, e più è potente meglio è.
Da questo discendono gli innamoramenti per i capi che, purtroppo,non mancano mai di presentarsi. C’è il Padre-Stato, il Padre-Partito o, meglio, il leader che li impersona, il …………………di turno, compagnone, volgare, grossolano, ma che pensa a tutto lui, sgravando i figli dal pesante compito di pensare con la propria testa, scoraggiandoli dall’essere critici e vigili, concedendo il pane e il companatico.
La maggior parte degli italiani è così. Per questo i pochi uomini che hanno attraversato la nostra storia, i ………., sono per ora sconfitti.

Presumo che passeranno ere prima che in Italia nasca una madre che doni la vita scissa dalla necrofilia; che dica con gioia al figlio: alzati e cammina con le tue gambe, pensa con la tua testa, datti da fare, allontanati da me!
E’ questo, forse, il peccato d’origine della nostra specie? Non tanto essere incapaci di amare, piuttosto l’essere incapaci di amare senza creare dipendenza. Concetta”.

Amare ed educare senza creare dipendenza, a me sembra una delle molteplici sfide educative che tutti abbiamo dinanzi…nei rapporti interpersonali, a casa, a scuola, nelle associazioni, in parrocchia, nei partiti, ovunque.

Stefano Gentili

sabato 17 maggio 2008

UN'ALTRA SICUREZZA E' POSSIBILE?

Ho appena ricevuto da un amico prete la lettera di un altro prete. Mi piace leggerla, per così dire, a voce alta, insieme a voi. E’ la lettera di Don Luigi Ciotti, tra l’altro, Presidente del 'Gruppo Abele' e di 'Libera - associazioni, nomi e numeri contro le mafie'. E’ titolata, non so se dall’autore o dalla redazione che l’ha pubblicata, “Io chiedo scusa”.

“Cara signora,
ho visto questa mattina, sulle prime pagine di molti quotidiani, una foto che La ritrae. Accovacciata su un furgoncino aperto, scassato, uno scialle attorno alla testa. Dietro di Lei si intravedono due bambine, una più grande, con gli occhi sbarrati, spaventati, e l´altra, piccola, che ha invece gli occhi chiusi: immagino le sue due figlie. Accanto a Lei la figura di un uomo, di spalle: suo marito, presumo. Nel suo volto, signora, si legge un´espressione di imbarazzo misto a rassegnazione. Vi stanno portando via da Ponticelli, zona orientale di Napoli, dove il campo in cui abitavate è stato incendiato. Sul retro di quel furgoncino male in arnese - reti da materasso a fare da sponda - una scritta: ‘ferrovecchi’.
Le scrivo, cara signora, per chiederLe scusa. Conosco il suo popolo, le sue storie. Proprio di recente, nei dintorni di Torino, ho incontrato una vostra comunità: quanta sofferenza, ma anche quanta umanità e dignità in quei volti.
Nel nostro Paese si parla tanto, da anni ormai, di sicurezza. È un´esigenza sacrosanta, la sicurezza. Il bisogno di sicurezza ce lo abbiamo tutti, è trasversale, appartiene a ogni essere umano, a ogni comunità, a ogni popolo. È il bisogno di sentirci rispettati, protetti, amati. Il bisogno di vivere in pace, di incontrare disponibilità e collaborazione nel nostro prossimo. Per tutelare questo bisogno ogni comunità, anche la vostra, ha deciso di dotarsi di una serie di regole. Ha stabilito dei patti di convivenza, deciso quello che era lecito fare e quello che non era lecito, perché danneggiava questo bene comune nel quale ognuno poteva riconoscersi. Chi trasgrediva la regola veniva punito, a volte con la perdita della libertà. Ma anche quella punizione, la peggiore per un uomo - essendo la libertà il bene più prezioso, e voi da popolo nomade lo sapete bene - doveva servire per reintegrare nella comunità, per riaccogliere.

Il segno della civiltà è anche quello di una giustizia che punisce il trasgressore non per vendicarsi ma per accompagnarlo, attraverso la pena, a un cambiamento, a una crescita, a una presa di coscienza.
Da molto tempo questa concezione della sicurezza sta franando. Sta franando di fronte alle paure della gente. Paure provocate dall´insicurezza economica - che riguarda un numero sempre maggiore di persone - e dalla presenza nelle nostre città di volti e storie che l´insicurezza economica la vivono già tragicamente come povertà e sradicamento, e che hanno dovuto lasciare i loro paesi proprio nella speranza di una vita migliore.
Cercherò, cara signora, di spiegarmi con un´immagine. È come se ci sentissimo tutti su una nave in balia delle onde, e sapendo che il numero delle scialuppe è limitato, il rischio di affondare ci fa percepire il nostro prossimo come un concorrente, uno che potrebbe salvarsi al nostro posto. La reazione è allora di scacciare dalla nave quelli considerati ‘di troppo’, e pazienza se sono quasi sempre i più vulnerabili. La logica del capro espiatorio - alimentata anche da un uso irresponsabile di parole e immagini, da un´informazione a volte pronta a fomentare odi e paure - funziona così. Ci si accanisce su chi sta sotto di noi, su chi è più indifeso, senza capire che questa è una logica suicida che potrebbe trasformare noi stessi un giorno in vittime.
Vivo con grande preoccupazione questo stato di cose. La storia ci ha insegnato che dalla legittima persecuzione del reato si può facilmente passare, se viene meno la giustizia e la razionalità, alla criminalizzazione del popolo, della condizione esistenziale, dell´idea: ebrei, omosessuali, nomadi, dissidenti politici l´hanno provato sulla loro pelle.

Lo ripeto, non si tratta di "giustificare" il crimine, ma di avere il coraggio di riconoscere che chi vive ai margini, senza opportunità, è più incline a commettere reati rispetto a chi invece è integrato. E di non dimenticare quelle forme molto diffuse d´illegalità che non suscitano uguale allarme sociale perché ‘depenalizzate’ nelle coscienze di chi le pratica, frutto di un individualismo insofferente ormai a regole e limiti di sorta.
Infine di fare attenzione a tutti gli interessi in gioco: la lotta al crimine, quando scivola nella demagogia e nella semplificazione, in certi territori può trovare sostenitori perfino in esponenti della criminalità organizzata, che distolgono così l´attenzione delle forze dell´ordine e
continuano più indisturbati nei loro affari.
Vorrei però anche darLe un segno di speranza. Mi creda, sono tante le persone che ogni giorno, nel ‘sociale’, nella politica, nella amministrazione delle città, si sporcano le mani. Tanti i gruppi e le associazioni che con fatica e determinazione cercano di dimostrare che un´altra sicurezza è possibile. Che dove si costruisce accoglienza, dove le persone si sentono riconosciute, per ciò stesso vogliono assumersi doveri e responsabilità, vogliono partecipare da cittadini alla vita comune.
La legalità, che è necessaria, deve fondarsi sulla prossimità e sulla giustizia sociale. Chiedere agli altri di rispettare una legge senza averli messi prima in condizione di diventare cittadini, è prendere in giro gli altri e noi stessi. E il ventilato proposito di istituire un 'reato d´immigrazione clandestina' nasce proprio da questo mix di cinismo e ipocrisia: invece di limitare la clandestinità la aumenterà, aumentando di conseguenza sofferenza, tendenza a delinquere, paure.

Un´ultima cosa vorrei dirLe, cara signora. Mi auguro che questa foto che La ritrae insieme ai Suoi cari possa scuotere almeno un pò le nostre coscienze. Servire a guardarci dentro e chiederci se davvero questa è la direzione in cui vogliamo andare. Stimolare quei sentimenti di attenzione, sollecitudine, immedesimazione, che molti italiani, mi creda - anche per essere stati figli e nipoti di migranti - continuano a nutrire.
La abbraccio, dovunque Lei sia in questo momento, con Suo marito e le Sue bambine. E mi permetto di dirLe che lo faccio anche a nome dei tanti che credono e s´impegnano per un mondo più giusto e più umano. Don Luigi Ciotti”

Pietismo, cattolicesimo dolciastro d’altri tempi? Modo “perdente” di vedere le cose e di dare le risposte in un tema delicato come quello della sicurezza? Troppo “soft” e poco “tost”?

Dite gente, dite.

Stefano Gentili


lunedì 12 maggio 2008

TRAVAGLIO-SCHIFANI: E' VERO O NO?

Il giornalista Marco Travaglio durante la trasmissione “Che tempo che fa” condotta da Fabio Fazio ha detto alcune cose che si riferiscono al presidente del senato Renato Schifani: e precisamente, che anni or sono avrebbe intrattenuto rapporti con persone poi condannate per associazione mafiosa.

C’è chi si è“dissociato”, chi ha detto che “è inaccettabile, senza contraddittorio”, che è “una vergognosa imboscata”, che “si vuole minare il dialogo maggioranza-opposizione”, che “è un attacco unilaterale e diffamatorio”.

Ferma restando la facoltà del presidente del senato di denunciare Travaglio per diffamazione, nessuno che dica a voce alta la cosa più ovvia: ma quello che ha detto Travaglio è vero o no?

Stefano Gentili

venerdì 9 maggio 2008

30 ANNI FA, ALDO MORO: ISPIRAZIONE RELIGIOSA E RISPETTO DI OGNI COSCIENZA

Oggi per la prima volta al Quirinale si celebra il “Giorno della Memoria” per ricordare tutte le vittime del terrorismo interno e internazionale.
Non è un caso che sia stato scelto il giorno in cui 30 anni fa veniva barbaramente assassinato Aldo Moro, la più importante personalità politica di quegli anni, intellettuale fine e complesso, capace di sintonizzarsi come nessun altro con quello che si muoveva nella turbolenta società di allora.
Anche io voglio rispettare un minuto di silenzio per ricordare il suo esempio e il suo insegnamento e rileggere insieme a voi alcuni periodi di un articolo che ebbe a scrivere per il quotidiano “Il Giorno” nella Pasqua del 1977.

“Non è importante che pensiamo le stesse cose, che immaginiamo e pensiamo lo stesso identico destino, ma è invece straordinariamente importante che, ferma la fede di ciascuno nel proprio originale contributo per la salvezza dell’uomo e del mondo, tutti abbiano il proprio libero respiro, tutti il proprio spazio intangibile, nel quale vivere la propria esperienza di rinnovamento e di verità, tutti collegati l’uno all’altro nella comune accettazione di essenziali ragioni di libertà, di rispetto, di dialogo. La pace civile corrisponde puntualmente a questa grande vicenda del libero progresso umano, nella quale rispetto e riconoscimento emergono spontanei, mentre si lavora, ciascuno a proprio modo, ad escludere cose mediocri per fare posto a cose grandi” (Aldo Moro)

Parlava agli italiani per la Pasqua, per invitarli a riannodare i fili di un progetto di vita in comune (fatto di cose grandi), con una densissima ispirazione morale e religiosa, manifestata con pacatezza e nel rispetto di ogni coscienza.

Che insegnamento!!!

Stefano Gentili

giovedì 8 maggio 2008

I VESCOVI: UN PARTITO CHE GUARDA VERSO DESTRA?

Non ho nulla da aggiungere alla lettera che il vescovo emerito (in pensione!) di Ivrea Mons. Luigi Bettazzi ha indirizzato ieri ai vescovi che a fine maggio si riuniranno a Roma per la loro assemblea.
Dico solo, che la condivido in toto, e che rappresenta pienamente quello che penso e, quindi, la ripresento con tutta “parresia” (franchezza e libertà).
Ricordo che Mons. Bettazzi, tra l’altro, ha preso parte al Concilio Vaticano II, fin dalla seconda sessione (1963), in qualità di vescovo ausiliare di Bologna, stretto collaboratore del cardinale G. Lercaro e attualmente è Presidente emerito di Pax Christi Internazionale e presidente del Centro Studi economico-sociali per la pace. Ecco la lettera.

“Non so quale sarà il giudizio della Cei sui risultati delle recenti elezioni. La nostra gente ha sempre pensato che i Vescovi, pur astenendosi da interventi diretti, non riuscissero a nascondere una certa simpatia per il Centrodestra, forse perché, almeno apparentemente, si dichiara più severo nei confronti dell’aborto e dei problemi degli omosessuali e più favorevole alle scuole e alle organizzazioni confessionali.
Credo peraltro che siamo stati meno generosi verso il Governo Prodi, non come approvazione della sua politica - dopotutto meritoria di aver evitato il fallimento finanziario del nostro Stato di fronte all’Europa (anche se questo può aver rallentato l’impegno, già avviato, di attenzione ai settori di popolazione più in difficoltà) - quanto come riconoscimento di un esempio di cattolicesimo vissuto in situazioni e in compagnie particolarmente problematiche.

Anche perché in un mondo, come il nostro Occidente, dominato dal capitalismo, che sta impoverendo sempre più la maggioranza dei popoli e tutto teso, tra noi e fuori di noi, verso la ricchezza e il potere - la “mammona” evangelica, che Gesù contrappone drasticamente a Dio - tra i valori “non negoziabili”, accanto alla campagna per la vita nascente e per le famiglie “regolari”, va messo il rispetto per la vita e lo sviluppo della vita di tutti, in tempi in cui si allarga la divaricazione già denunciata da Paolo VI nella «Populorum progressio» (quarant’anni fa!) tra i popoli e i settori più sviluppati e più ricchi e quelli più poveri e dipendenti, avviati a situazioni di fame inappagata e di malattie non curate, vanno messi l’impegno per un progressivo disarmo, richiesto da Benedetto XVI all’Onu, e quello per la nonviolenza attiva, che è la caratteristica del messaggio e dell’esempio di Gesù («Obbediente fino alla morte, e a morte di croce» - Fil 2, 16).

Forse siamo sempre più pronti a dare drastiche norme per la morale individuale, sfumando quelle per la vita sociale, che pure sono altrettanto impegnative per un cristiano, e che sono non meno importanti per un’autentica presenza cristiana, proprio a cominciare dalla pastorale giovanile. Mi chiedo come possiamo meravigliarci che i giovani si frastornino nelle discoteche o nella droga, si associno per violenze di ogni genere, si esaltino nel bullismo, quando gli adulti, anche quelli che si proclamano “cattolici”, nel mondo economico e in quello politico danno troppo spesso esempio di arrivismo e di soprusi, giustificano la loro illegalità ed esaltano le loro “furberie”, e noi uomini di Chiesa tacciamo per “non entrare in politica”, finendo con sponsorizzare questo esempio deleterio, che corrompe l’opinione pubblica e sgretola ogni cammino di sana educazione. Ci stracciammo le vesti quando all’on. Prodi scappò detto che non aveva mai sentito predicare l’obbligo di pagare le tasse; ma avremmo dovuto farlo altrettanto quando altri invitavano a non pagarle...

Lo dico come riflessione personale. Perché mi consola pensare che il nuovo Presidente della Cei - a cui auguro un proficuo lavoro - proprio nell’intervento inaugurale di questo suo ministero richiamava il principio tipicamente evangelico del “partire dagli ultimi”, che era stato proclamato in una mozione del Consiglio Permanente della Cei nel 1981 (!), e che risulta più che mai importante in un mondo (anche quello italiano! e qualche segnale ce lo fa temere sempre più per l’avvenire...), in cui si suole invece partire “dai primi”, garantendo i loro profitti e i loro interessi, che non possono poi non essere pagati dalle crescenti difficoltà di troppe famiglie italiane.

L’auspicio è confortato dalla recente Settimana Sociale dei Cattolici italiani - e qui il compiacimento si rivolge al loro Presidente, che è il mio successore in Ivrea - che ha richiamato un altro centro nodale della Dottrina sociale della Chiesa e quindi della pastorale di ogni suo settore, che è il “bene comune”, sul quale dovremmo comprometterci in un tempo in cui troppi - politici, impresari, categorie professionali e commerciali - pensano e lavorano solo per il “bene particolare”, a spese - ovviamente - di chi non si può o non si sa difendere.

Che questo dunque, dopo essere stato un messaggio così significativo sul piano dottrinale, appaia davvero come un impegno concreto e quotidiano, come qualche Vescovo già ha iniziato a dichiarare, sfidando riserve e mugugni.
Come si vede, sono tanti i motivi per auspicare, tanti i motivi per pregare, in vista di questa annuale Assemblea dei Vescovi italiani.” Mons. Luigi Bettazzi


Dice bene il vescovo emerito…o pensa male?

Stefano Gentili