mercoledì 11 giugno 2008

A.A.A. CLASSE DIRIGENTE CERCASI: GIOVANE, INNOVATIVA, CREATIVA

Classe dirigente, in scienze sociali, è l’insieme di tutti coloro che svolgono una funzione di direzione economica, politica, intellettuale o morale all’interno di una società: dirigenti d’azienda, uomini politici, responsabili sindacali e di associazioni rilevanti, intellettuali (scuola, mass-media, altri), capi religiosi ecc.
Anche se il termine classe è paleozoico e l’altro, dirigente, andrebbe precisato in una società complessa e pluricentrica, è troppo ovvio riconoscerne la strategica rilevanza.

In una recente indagine la Libera Università Internazionale degli Studi Sociali ha analizzato la classe dirigente italiana nel 2007.
Il primo dato riscontrato è stato quello di una netta distanza tra società e classe dirigente. Clientelismo e mancanza di criteri di reclutamento basati sul merito, autoreferenzialità (cioè girare intorno al proprio ombellico), scarsa attenzione alla formazione, mancanza di strutture adatte a formare competenze apicali, gerontocrazia e mancanza di ricambio generazionale sono i mali che affliggono la nostra classe dirigente.

Nello sbirciare questi dati ho spontaneamente pensato alle classi dirigenti dei nostri paesi, intendendo per nostri tutti i paesi e le città della vasta provincia grossetana.
Se non mi sono distratto troppo (e confesso di essermi distratto) anche la nostra situazione non è per nulla rosea.
C’è un eccesso di stazionarietà che produce una palese scleroticità: persone che ricoprono incarichi per anni e anni (anzi decenni e decenni), spesso nello stesso ruolo o al massimo transitando da una poltrona all’altra. Persone occupate per lo più a mantenere (la propria posizione s’intende!) che a innovare: qualche modesto risultato lo portano a casa (e vorrei pure vedere!), ma nulla di veramente innovativo e strategico. Sono persone (non tutte, grazie a Dio) scelte più per il criterio della fedeltà che per il merito: ovviamente dopo tanto occupare si fanno anche qualche competenza (grazie al cavolo).
Quando seguo i quotidiani e le emittenti locali continuo a vedere persone che ricoprivano incarichi quando io ero Presidente della provincia (anzi da prima) che ancora ricoprono incarichi, occupano poltrone con bende e prebende. Vedo in qualche caso addirittura salutare con un certo qual entusiasmo ritorni di questo o di quella: per carità, brave persone, ma trapassate remote!
E tutto questo accade nel luogo più ovvio, la politica e in quello che la politica influenza (vari ruoli pubblici), ma avviene anche nelle varie associazioni, in quelle di categoria, nei sindacati, nelle banche. Il tutto costruisce delle vere e proprie caste (termine oggi di moda) praticamente inamovibili o appena spostabili solo se viene scelto qualche “figlio o figliastro”.

Questa situazione non va bene.
Non è andata bene sino ad oggi, ed è questo, secondo me, il peccato più grave che i vari governanti/governatori hanno commesso negli ultimi trenta anni: hanno fatto tappo contro qualsiasi reale possibilità di ricambio, estirpando alla radice tutto quello che cresceva intorno a loro. Il vero dramma è che il “popolo bue”, di fatto, in larga parte ha assecondato questo stato di cose.
Oggi è addirittura devastante.
Con la società così trasformata e tuttora in movimento continuare nella vecchia maniera sarebbe di una gravità inaudita. Bloccare gli emergenti (che ci sono) e le giovani leve che si affacciano (o sono da tempo alla finestra) nei vari mondi della politica, dell’economia, della cultura, delle associazioni (eccetera, eccetera) vorrebbe dire rassegnarsi al declino.

Vorrebbe dire considerare l’innovazione un rischio, la fantasia qualcosa da cui stare alla larga, il desiderio di cambiamento una specie di sovvertimento (dell’equilibrio della casta e di chi finora c’ha scastagnato).
Non potremmo disegnare il futuro che meritano le nuove generazioni, staremmo con la testa costantemente rivolta al passato e le nostre zone deperiranno, non per carenza di infrastrutture (che pure servono, ma sulle quali si fa solo retorica, stanca retorica, bla-bla), ma per carenza di inventiva, fantasia, speranza.

Servono persone nuove, naturalmente con meno esperienza di chi l’esperienza se l’è fatta alle nostre spalle (ari-grazie al cavolo!), ma con la volontà di essere protagonisti del loro futuro e di quello dei loro concittadini.
Si, lo so, la conosco la solita scusa tradotta in domanda: ma ci sono queste persone, nuove, preparate, socialmente aperte? E perché... quegli egoistoni che da 30, 20, 15 anni (qualcuno anche di più) sono sulla cresta dell’onda ...com’erano quando hanno iniziato? Forse più smaliziati, ma non più preparati.
E, poi, perché non le abbiamo aiutate a prepararsi?

Detto questo, ammetto che il problema esiste.
E allora? Allora “damose da fà”. Tutti, nessuno escluso e “tiriamoci indietro” (dai posti che occupiamo da troppo tempo) altrimenti per legge fisica non si produce spazio.

Chi ha più esperienza svolga la funzione di talentscout: scopritore di quelle (libere) persone che possono assolvere egregiamente alla funzione di dirigenti (forti e umili) e di leader (nel vasto mondo sociale), spesso decisivi anche quest’ultimi per strategie di stimolo, sostegno, coesione.
Ci sono, ci sono!

Credetemi, il problema del nostro sviluppo (sociale, culturale, economico) è qui, non nelle strade, autostrade, controstrade. Lo dicevo...e lo ridico.
Pace e bene.

Stefano Gentili

martedì 10 giugno 2008

C.V.D. - LA DESTRA FA TUTTE LE PARTI IN COMMEDIA

Non era difficile prevederlo. E’ quello che temevo, sin dal mio “post” del 30 aprile: Destra vera e nuova sinistra.
C.V.D. sta per come volevasi dimostrare. La destra post-ideologica italiana ha già iniziato a fare tutte le parti in commedia.
Di fare la vera destra, non se ne parla minimamente: basta vedere come ammanta persino la “politica della sicurezza”, con la difesa degli strati popolari.
Il governo “esplicitamente mutua il rientro dal deficit di Prodi, il risanamento dei conti da Padoa Schioppa, le liberalizzazioni da Bersani, il pacchetto sicurezza da Amato, le politiche scolastiche da Fioroni, perfino la lotta all’evasione da Visco e il federalismo non dalla Lombardia ma dalla Conferenza delle Regioni” (Europa).
Possiamo anche aggiungervi “l’anarchia dei valori” denunciata a suo tempo da Famiglia Cristiana a braccetto con il plateale e studiato baciamano di Berlusconi al Pontefice.

Penso che tutta questa invasione di campo non faccia bene all’Italia. La commedia, alla lunga, si trasformerà in tragedia, perché non affronterà mai i veri nodi strutturali che zavorrano il Paese.

Ed è anche un bel casino per noi del PD, ancora rintronati dalla batosta elettorale e incerti delle nostre “buone ragioni”.
Letale sarebbe mettersi di nuovo a cercare le ragioni del socialismo, le alleanze forzate con le macerie alla nostra sinistra, a sponsorizzare il girotondismo, a dare ascolto ai rimasti senza collocazione.
Il Paese è altrove. La strada è “riprendere il filo del Lingotto, rimettersi pazientemente a parlare con gli italiani di famiglia, valori, ordine, sicurezza, stabilità del lavoro, doveri e diritti, parità delle opportunità di partenza, meritocrazia negli studi” (Europa), eccetera, eccetera.

Non servirà certo per vincere subito (e chissene!), ma sarà utile all’Italia e metterà i Democratici in linea con il futuro.
Stefano Gentili