venerdì 6 marzo 2015

DOCUMENTO POLITICO PRESENTATO AI DEMOCRISTIANI DELLA PROVINCIA
DI GROSSETO DA STEFANO GENTILI A SOSTEGNO DELLA SUA CANDIDATURA
ALLA SEGRETERIA PROVINCIALE D. C.
APRILE-MAGGIO 1993


LA FINE DI UN’INTERA STAGIONE POLITICA
Dopo il 18 aprile chi non cambia, se non deve andare in carcere, andrà in soffitta o in archivio.
Nessun quesito riguardava i partiti direttamente, ma è innegabile che il giudizio fortemente critico sulla partitocrazia è stato il cemento della valanga di SI contati sulle 8 schede.

Che la situazione complessiva fosse cambiata era già chiaro da non poco tempo: l’aveva già compreso il Moro della ‘terza fase’, il De Mita dei primi anni 80 ed era stato reso evidente dal ‘magico 89’.
Già, il magico 1989! L’autodistruzione del comunismo a causa del suo errore antropologico, la fine dei regimi dittatoriali dell’Est, la caduta del muro di Berlino. Pensare che chi allora governava il partito non trovò altro da fare che rievocare la scelta degasperiana del 18 aprile ‘48 (senza dubbio giusta e provvidenziale), non pensando minimamente che i sassi di quel muro sarebbero di lì a poco caduti sulle democrazie occidentali, specie quelle che si erano rette sulla diga al comunismo, ponendo in discussione tutto: sistema politico, partiti politici, cultura politica, nomenklatura politica, coperture politiche.
Novembre-Dicembre ‘89 (sconvolgimenti dell’Est), giugno ‘91 (referendum sulla preferenza unica), aprile ‘92 (elezioni politiche), aprile ‘93 (ultimi referendum): hanno definitivamente assestato quattro colpi da KO ad un’intera stagione politica, finita da un pezzo.
E’ come se si fosse chiusa una “grande parentesi”.

Nel sistema elettorale e politico. Se confrontiamo i dati delle elezioni del 1946 con quelli del 1992, in relazione ai classici schieramenti di sinistra, di centro cattolico, centro laico e di destra, possiamo sorprendentemente notare un ritorno alla stazione di partenza.
La locomotiva di sinistra era a 41.6 e nel 92 è al 41.6.
Il treno del centro cattolico era al 35.2 e nel 92 è al 36.1.
La locomotiva del centro laico era all’11.8 e nel 92 è al 10.8.
Il treno di destra era all’8.4 e nel 92 è al 12.4 (1)
Tra i partiti è saltata la solidarietà politica, le motivazioni dello stare insieme. Basti ricordare l’evoluzione terminologica delle alleanze nel corso dei 45 anni: centrismo, centro-sinistra, solidarietà nazionale ... poi si son potuti usare solo i nomi che indicavano accorpamenti meramente quantitativi: pentapartito, quadripartito.

Cambiamenti epocali dobbiamo registrare anche in campo sociale e comportamentale.
Basti ricordare l’equiparazione nei soggetti del peso delle appartenenze: sino a non molto tempo fa l’appartenenza politica (ad esempio, essere democristiano) faceva aggio sulle altre appartenenze che ciascun individuo si portava e si porta in sé (l’essere commerciante, cattolico, ambientalista, cacciatore…). L’evoluzione sociale ha avuto come risultato l’equiparazione di peso delle appartenenze. Non vi è più una gerarchia.
La partecipazione ha poi cambiato casa: buona parte di questa è transitata verso i cosiddetti mondi vitali e il volontariato, stanca e frustrata dagli inconcludenti riti della politica-partitica.
Si è chiusa, infine, l’epoca del “turiamoci il naso”: la popolazione non è più disposta a tollerare certi comportamenti individuali e di gruppo dietro lo scudo del partito o di altri organismi.


LA MISSIONE COMPIUTA DELLA DC E IL TRAMONTO DELLA SUA FORMA-PARTITO
La fine di un’intera stagione politica ha portato con sé la fine della “centralità democristiana” così come l’abbiamo sperimentata per quarantacinque anni, nel senso che il quadro politico imponeva che la DC fosse necessariamente il perno di ogni compagine governativa. Vecchia centralità venuta meno non per fallimento, come vorrebbero far credere certe “ricostruzioni storiche infondate”, ma per missione compiuta.
Grazie soprattutto alla DC, che occupò il centro dello schieramento politico, dopo le devastazioni del fascismo e della seconda guerra mondiale, è stato bloccato il comunismo con i voti e non con la lotta armata, l’accettazione del sistema democratico si è allargata a strati sempre più consistenti di popolazione e di gruppi politici, le famiglie sono uscite dalla miseria all’interno di uno sviluppo economico che ha saputo contrastare gli opposti estremismi del collettivismo e del capitalismo selvaggio, l’istruzione si è allargata a macchia d’olio, vecchie ingiustizie sono state superate, la nostra presenza internazionale è stata sempre ispirata alla difesa della libertà e alla promozione della pace.

Democrazia zoppa; sviluppo appesantito da sperperi e clientelismi, certo. Però gli unici possibili in quella situazione. Compiendo la propria missione storica per realizzare il bene comune, storicamente possibile, la DC ha pagato il dazio: è dovuta scendere a molti compromessi e non è sempre stata in grado di compiere un’autentica sintesi politica dei migliori interessi che la sostenevano.
Ma i meriti storici ci stanno dinanzi e troveranno sicuramente spazio nei manuali di storia prossimi venturi (almeno in quelli obiettivi!).
Ma si sa, l’uomo “nel tempo della prosperità si dimentica la sventura; nel tempo della sventura non si ricorda la prosperità” (2).

Oggi, grazie ad una serie di circostanze convergenti, si sono finalmente create le necessarie condizioni per uscire dalla lunga stagione della “democrazia bloccata” ed entrare nella nuova stagione della “democrazia matura”.
Questo passaggio ha improvvisamente evidenziato che la forma partito in cui si è storicamente concretizzato per 50 anni il cattolicesimo democratico in Italia - questa DC- ha esaurito storicamente il suo compito, avendo realizzato le mète prefissate.
In verità il partito aveva già esaurito i suoi obiettivi 15-16 fa, ai tempi di Zaccagnini, ma non si ebbe la lungimiranza e il coraggio di cambiare e si è lasciata marcire una situazione che invece poteva essere evitata.
Insomma, la nostra storia è una grande storia di libertà, di solidarietà, di democrazia. Le nostre idee e le nostre ragioni mantengono una straordinaria attualità. Ma il nostro volto, specie dopo gli ultimi 10-15 anni, è stato sfigurato. Allora non servono opere di cosmesi, il lifting o il silicone, serve una rigenerazione totale (un ricominciamento, per dirla con Martinazzoli) nel rispetto del nostro codice genetico.


LA CRISI DELLA “FORMA PARTITO” IN GENERE
La medesima crisi che colpisce “questa DC”, colpisce ovviamente anche gli altri partiti tradizionali.
La vecchia forma-partito è finita perché corrosa da un virus mortale: la partitocrazia.
Di per sé la partitocrazia è il male tipico dei regimi totalitari, dove il partito unico si identifica con lo Stato.
L’errore nostro fu di pensare che, per realizzare un libero Stato democratico ed evitare la partitocrazia totalitaria degli stati a partito unico, bastasse garantire la ridistribuzione del potere tra più partiti democratici liberamente votati.
Non ci si avvide che, così ragionando, si restava all’interno della stessa logica sbagliata che sta all’origine della partitocrazia.

Infatti la democrazia non consiste nella semplice ridistribuzione del potere tra più soggetti politici legittimi, ma sta soprattutto nella effettiva possibilità della società civile di partecipare alla elaborazione e al controllo della politica nazionale (art 49 della Costituzione).
Se si rimane all’interno della logica di potere, allora avviene inesorabilmente che - pure in assenza di regime antidemocratico - si ripropone il fenomeno della partitocrazia.
La democrazia che abbiamo vissuto in questo quarantacinquennio è stata la “democrazia possibile”, quella dei partiti; la democrazia a cui siamo ora chiamati è quella matura, la “democrazia dei cittadini”.

La stessa polemica se in Italia ci sia stato o meno un “regime” va attentamente compresa e puntualizzata. In Italia regime non c’e e non c’e stato!
Tuttavia a causa del virus della partitocrazia si sono riprodotti alcuni devastanti effetti propri del regime:
- la disaffezione e il disinteresse dei cittadini per la politica;
- la sfiducia e la rassegnazione della società civile nei confronti delle istituzioni e della burocrazia;
- la nascita di vere e proprie classi politiche inamovibili (le nomenclature) con l’inevitabile seguito di scandali, di tangenti, di clientele, di pericolose contiguità e di corruzione. (3)



LA DELICATEZZA DI UNA FASE DI PASSAGGIO
La delicatezza della fase che stiamo vivendo è fuori discussione riguardando la democrazia “tout-court”, il destino politico del cattolicesimo democratico, la stessa visione di uomo e di società.
Talune analogie sembrano infatti richiamare la crisi degli Anni Venti, quando il tracollo della forza politica dominante apri lo spazio all’avvento del regime dittatoriale.
Altre mi fanno pensare al passaggio dalla IV alla V Repubblica francese.
In Francia gli scossoni della guerra d’Algeria, il mutamento, nel ‘58, del sistema elettorale da proporzionale a maggioritario, l’emergere del partito gollista (oltreché ovviamente l’imponente figura di de Gaulle e l’adozione, nel 62, dell’elezione diretta da parte del popolo del Presidente della Repubblica) rivoluzionarono il sistema politico e partitico e condussero alla dissoluzione del Movimento Repubblicano Popolare (la DC francese) che dal 28.1% di voti e 160 seggi del 1946 passò al 9.1 % e 36 seggi del 1962 e quindi ebbe a scomparire.

Da noi il sistema elettorale sta passando da proporzionale a uninominale, con gli scossoni di Tangentopoli ci siamo creati la nostra Algeria interna, sulla nostra destra è emerso una specie di partito gollista; non abbiamo ancora un de Gaulle e l’elezione diretta del Presidente della Repubblica (ma tra qualche tempo non è detto). Insomma, mi sembra aleggiare la sciagurata ipotesi di una dissoluzione della presenza politica dei cattolici democratici.
Il tutto mi sembra poi conduca al vero grande pericolo che abbiamo oggi di fronte: quello di entrare in quel tunnel antropologico rappresentato dal “relativismo etico e politico” che ci vuol condurre sulla sommità di un sistema statuale disancorato da una qualsiasi verità sull’uomo (la Babele del ventesimo secolo).


TRE GRANDI SFIDE PER I DEMOCRATICI E I CATTOLICI DEMOCRATICI.
Quanto appena accennato pone tre immediate sfide al futuro dei cattolici democratici e dei democratici.
Prima sfida: la crisi della forma-partito che ha retto fin qui la scena, segna forse il superamento dello stesso sistema dei partiti oppure ne richiede il rinnovamento?
Risposta: la triste fine che, uno dopo l’altro, stanno facendo i partiti tradizionali non è certo dovuta al superamento della loro insostituibile funzione. Portare i partiti alla tomba, vorrebbe dire seppellire con essi la nostra democrazia.
Il rimedio, dunque, non è abolire i partiti, magari per sostituirli con “movimenti” privi di forte identità culturale e politica; né potremo vivere di soli “referendum” o di “partiti monotematici” (i verdi per l’ecologia, i pensionati per la terza età, ecc), né ci potranno bastare i nascituri “partiti-comitati elettorali” o altri che esprimeranno la faccia legale del voto di scambio (io ti voto e tu mi fai le aiuole dove abito).
Per fare politica occorre una tradizione culturale, un’idea di uomo, di comunità, di nazione, di stato, occorre il senso del bene comune, occorre una visione della storia del nostro Paese e un’idea del suo assetto futuro.
Allora occorre impegnarsi per una decisiva e radicale opera “ricostituente”.

Seconda sfida: in questa opera di necessario rinnovamento dello Stato, l’Italia può fare a meno del contributo dei cattolici democratici?
Risposta: no, non può farne a meno. Se mancasse questo contributo di certo il paese non ne trarrebbe giovamento.
La ragione è che, a differenza di altre nazioni, in Italia il cattolicesimo democratico non è stato un accidente storico, ma una componente essenziale della storia, della cultura, della vita sociale.
Su quali altre basi si potrà mai stabilmente fondare la vita democratica del Paese, se non sui valori che costituiscono il DNA della nostra gente?
Come sfuggire dal tranello della democrazia formale e contrattualistica per entrare invece nella linea della democrazia integrale e plenaria?

Terza sfida: dopo la fine di questa forma-partito e, quindi, dopo il tramonto di “questa DC”, è ancora utile al Paese che vi sia un partito d’ispirazione cristiana o non è invece meglio che i cattolici si dividano tra progressisti e conservatori o che vadano addirittura a rappresentare il prezzemolo di tutte le pietanze servibili?
Risposta: nuove e urgenti ragioni storiche fanno ritenere ancora necessaria, nell’Italia che verrà, la presenza di un “polo politico d’ispirazione cristiana”.
Perché allora stupirsi (senza che ciò suoni scomunica per quei cattolici che ritenessero di poter difendere i propri valori militando in altre aggregazioni) se quanti credono in valori così fondamentali si battono democraticamente per la loro affermazione, unendosi in una aggregazione e aggregando su un programma politico comune, cattolici e non cattolici? (4)


CON MARTINAZZOLI PER LA COSTITUENTE
Ma come giungere all’ambizioso e pur necessario obiettivo di una “nuova forma-partito che laicamente si ispiri ai valori cristiani” e che si sappia collocare nell’Italia “tripolare” che si sta preannunciando?
Siamo in una fase di passaggio e, quindi, di indecisione: nessuno ha probabilmente le idee chiare.
Segni e i “popolari per la riforma” vogliono veramente raggiungere il nostro stesso obiettivo?
Buon lavoro e arrivederci.
Osservo solo che “Alleanza Democratica” con Zanone, La Malfa, Ayala, è cosa ben diversa da quello a cui tendiamo noi. E’ un cartello elettorale senza proposta politica e programmatica, che privilegia gli schieramenti e non le idee.
Orlando e la “rete” tendono al nostro stesso obiettivo? Buon lavoro e arrivederci.
Osservo che su 15 parlamentari della “rete” solo 2 sono di ispirazione cristiana e la natura del movimento è assai confusa e inconsistente.
Quando sostengo che è finita “questa forma-partito” dico cosa radicalmente diversa da chi dice che è finito “l’equivoco della DC” e che ora i cattolici conservatori debbono stare con i conservatori e i cattolici progressisti con i progressisti. Ascoltare queste sirene vuol dire estinguere il partito d’ispirazione cristiana.
Per questo motivo sto con Martinazzoli che persegue con tenacia il passaggio dalla vecchia Dc al “Nuovo Partito Popolare”.
E’ ormai in atto un processo che dovrà condurci all’Assemblea Costituente e dalla quale usciremo tutti diversi da ciò che siamo oggi, senza però interrompere la nostra tradizione culturale (anzi, proprio per riattualizzarla).
Per ottenere questo risultato e guidare il cambiamento è necessario che si proceda, senza più perdere tempo, “all’azzeramento del vecchio partito e della sua classe dirigente e alla formazione di un’aggregazione nuova che, conservando i principi di fondo – l’ispirazione cristiana, il popolarismo, il solidarismo – cambi la sua struttura, i suoi regolamenti, il suo statuto, la sua classe dirigente e se lo ritiene utile anche il nome”. (5)

Nuova forza politica che sia “figlia della DC, del mondo cattolico, dei mondi vitali della società italiana”. (6)
Se non si realizza tutto questo, il tempo quaresimale che stiamo vivendo (la continua emorragia di consensi) si concluderà con il “venerdì santo”.
E se la Dc sin da subito non si rifonderà radicalmente, perdendo probabilmente altri consensi, alla prossima Assemblea Costituente si produrrà la temuta “spaccatura” tra il nuovo e il vecchio. Evento che ci ridurrà al lumicino senza più darci la possibilità di risollevare la testa: e così, con buona pace dei faccendieri DC e degli esterni che non ci hanno mai sopportato, si estinguerà la presenza politica dei cattolici in Italia.
E’ per quanto detto (e molto altro) che bisogna senza indugio intraprendere la via del nuovo.


IL NUOVO SONO LE PERSONE NUOVE:
NE’ LIFTING, NE’ SILICONE
Il nuovo non è uno slogan, né un’idea. Il nuovo sono le “persone nuove”.
Sono quegli uomini e quelle donne “capaci di accettare l’incognita della povertà, di essere attratti dalla semplicità e dall’umiltà, amanti della pace, immuni da compromessi, decisi all’abnegazione totale, liberi e insieme obbedienti, spontanei e tenaci, dolci e forti nella certezza della fede”. (7)
E, in chiave più strettamente politica, uomini e donne che siano in grado di leggere con intelligenza il tempo presente e quello che sta prendendo la rincorsa; uomini e donne che abbiano la capacità di coinvolgere forze vive e fresche provenienti dalla società civile; uomini e donne che provengono da canali formativi diversi dalle affumicate stanze di partito.

Una forza politica autenticamente popolare ha il dovere e la necessità di dotarsi di un gruppo di responsabili capaci, preparati, moralmente irreprensibili. Un tempo vi erano un insieme di elementi vivi della comunità, di circuiti che consentivano questa selezione: erano il mondo cattolico, le categorie economiche, il sindacato, l’associazionismo in genere. Ad un certo punto, anche da noi, questa valvola naturale, che sapientemente calibrava i ritmi del ricambio, si è occlusa. Ed allora le segreterie particolari e i centri studi sono rimasti gli unici magazzini nei quali pescare il personale politico che tra l’altro assicurava, proprio per le sue origini, le maggiori garanzie di fedeltà e di cieca e incondizionata servitù.
Se veramente vogliamo un partito diverso, dobbiamo dire che non è possibile costruirlo senza una diversa chiave di accesso all’assunzione delle responsabilità. Dobbiamo aprire nuovi canali, provenienti dalle realtà vive della società, senza ovviamente ripescare forme di neo-collateralismo, ma proprio nella linea del Partito-Associazione.
Inoltre, siccome la DC non è di pochi ma, anche in provincia, di centinaia di militanti e nessuno ha un diritto acquisito a rimanere sul palcoscenico della politica vita natural durante, dobbiamo avere il coraggio di dare segnali precisi, congedando un intero gruppo dirigente, magari con l’onore delle armi.
Purtroppo, con non poco fastidio, vedo invece “paleoamici” recarsi dall’estetista per il “Lifting” o il “Silicone”. Troppi amici, usurati dal tempo e dal potere, si sono accaparrati della cosiddetta Nuova DC di Martinazzoli, quando finora avevano fatto di tutto, appoggiando “capini e caponi”, per scaraventare Martinazzoli, le sue idee e quello che rappresentava, ai margini del partito.
Il tutto per salvarsi da un giudizio che i cittadini da tempo ormai hanno dato, chiedendo volti nuovi e nuovi programmi e non volti restaurati e programmi scongelati.

Detto questo, non voglio affermare che non ci sia ancora bisogno di chi per lungo tempo ha militato onestamente nel partito: anzi, il Partito nuovo potrà nascere ben radicato anche grazie alla loro esperienza, passione competenza.
Solo che debbono far questo assumendo lo stile del “buon padre di famiglia” che, dopo avere a lungo operato, si ritira dalla prima fila, lasciando ai figli l’onere e l’onore di difender le prime posizioni, e magari suggerendo discreti consigli. Non in veste di tutori, ma di veri educatori.
La DC deve essere infatti in grado di chiamare a raccolta forze nuove al di fuori dei recinti tradizionali del partito e di costruire nuclei di nuovi responsabili a tutti i livelli.
Per far questo è necessario un gesto di “discontinuità”.


IL NUOVO E’ TORNARE ALLE RADICI:
LA FONTANA DEL VILLAGGIO
In un documento del 1981 della C.E.I., realisticamente, si diceva: “se non abbiamo fatto abbastanza nel mondo, non è perché siamo cristiani, ma perché non lo siamo stati abbastanza”. (8)
La nostra identità va oggi adeguata al contesto storico, senza tagliare le radici che da sempre le danno nutrimento: l’accordo tra i valori del cristianesimo e quelli della democrazia, seguendo un itinerario che riattualizzi Sturzo, passando per la riflessione di Aldo Moro (specie la sua teoria sulla crisi dei partiti), senza disperdere il meglio di De Gasperi.
Trittico questo che ci consente, a un tempo, di non tagliare le nostre radici e di immaginare uno strumento politico popolare, di programma e di movimento, che non innalzi antistorici steccati e che apra la vita democratica a sempre più vasti settori del popolo.

Il tempo che stiamo vivendo e la caduta delle identità politiche avverse esige un ripensamento radicale dell’ispirazione cristiana della politica.
La Dc deve essere in grado insieme ai nuovi soggetti politici dell’area del cattolicesimo, di riscoprire le ragioni più autentiche che hanno condotto la cultura politica del cattolicesimo democratico a una presenza risolutiva in molti frangenti della storia italiana ed europea.
Cultura politica che per essere in sintonia con le provocazioni della storia, deve muoversi su precise coordinate.
Infatti:
* la secolarizzazione richiede un partito laico, aconfessionale;
* le più ampie esigenze della democrazia reclamano l’apertura a forme popolari di cittadinanza;
* in sintonia con il Magistero Sociale della Chiesa, occorrono fondamenti spirituali ed etici più rigorosi;
* per venire incontro alle esigenze di corresponsabilità e controllo sulla rappresentanza politica dei cittadini deve nascere un partito che sia davvero dei cittadini;
* riguardo ai problemi dello sviluppo, della vita, della pace, la scelta deve andare verso i più deboli.
Cultura politica che deve essere respirata a pieni polmoni da coloro che dovranno essere il punto di riferimento del nuovo, attraverso un costante lavoro formativo e un severo tirocinio di vita nei mondi vitali (realtà ecclesiale, volontariato, sindacato, associazionismo in genere).
E’ in questo senso che la prima struttura che deve nascere in Via Adriatico (Sede della D.C. Provinciale) è una Biblioteca al passo con i tempi.


IL NUOVO E’ IL PARTITO DEI CITTADINI:
DALL’ISTITUZIONE ALL’ASSOCIAZIONE
Il nuovo è poi rappresentato da “un’aggregazione che sia della gente”. Un partito popolare è più dei suoi aderenti e del suo stesso elettorato: è un partito aperto.
La vecchia DC ha invece blindato le sezioni attorno ai pacchetti di tessere (o alle fustelle di adesioni). Ma la gente non c’è.
Rifondare il partito sta a significare che l’attuale forma-partito non può essere ripresentata, neppure riformata nel migliore dei modi, ma bisogna creare le condizioni costituenti e sperimentali per reinventare il Partito Nuovo.
L’obiettivo della nuova forma-partito non può che essere quello di spostare il potere verso i cittadini.
L’elemento centrale della svolta è rappresentato dal passaggio dal partito- istituzione al partito-associazione.
L’istituzione è caratterizzata da due immutabili elementi: un’entità chiusa in cui domina il professionismo politico e un alto tasso di burocrazia; e l’elemento organizzativo strutturato come un’azienda con costi crescenti per investimenti di propaganda.
Siffatta impostazione, che conserva e riproduce il partito sempre uguale a se stesso, si è imposta come necessità storica a fronte della presenza del PCI, ma essa è ormai superata nei fatti, dalla richiesta di nuovi modi di partecipazione politica, dalla necessità di buttare alle ortiche la linea di egemonia sulle istituzioni e sulla società, per rifondarsi, in partito di proposta.
Il Partito-Associazione è aperto al mondo associazionistico specie, nel nostro caso, di ispirazione cattolica, è aperto all’elettorato e quindi alla società.
Su questa linea nasce un partito che, nei fatti, elimina l’inflazione delle tessere (o delle adesioni), un partito più prossimo ad una “federazione di associazioni e movimenti”.
L’associazionismo politico elimina il professionismo, riduce i costi, favorisce il ricambio dei responsabili (già detti classe dirigente), proprio per i criteri di mobilità sui quali si fonda e, in tal senso, abbattendo il professionismo politico, l’immobilità della classe dirigente, il voto di scambio, diviene la condizione della “trasparenza” politica.
Sulla linea tracciata ricordo, allora, alcune delle molte esemplificazioni che potrebbero essere fatte.

Il Partito Nuovo, per eliminare la ripartizione correntizia e la vecchia divisione tra eletti esterni e militanti, deve al proprio interno: - ridurre e modificare i Dipartimenti; - creare Commissioni grazie alle quali aprirsi ai contributi esterni, qualificati, per cultura, esperienza, rilevanza sociale.

La questione morale e il distacco della società dal partito esige un’iniziativa innovativa anche sul versante della scelta dei candidati, attraverso: - le primarie; - le assemblee pubbliche periodicamente convocate dal Segretario cittadino, per informare i cittadini e controllare l’attività degli eletti.

La politica come servizio e non come potere reclama altresì: - l’eliminazione del cumulo delle cariche e delle nomine; - la limitazione della loro durata; - la verifica, a brevissima scadenza, di tutte le nomine di secondo grado per eventualmente azzerare quelle frutto dei pacchetti di tessere o di giochi poco chiari.

La modalità della partecipazione militante deve farsi carico del salto culturale che si è verificato: ogni persona avverte l’importanza di alternare momenti di più intenso impegno politico a momenti di maggiore dedizione alla vita familiare, professionale, sociale. Un dato che non può non avere riflessi sulla organizzazione interna ai partiti, troppo spesso pensata in funzione del “tempo pieno” completamente assorbente.

L’urgenza del tempo presente reclama a livello sezionale: - l’immediato rinnovo dei responsabili (eventualmente individuati anche tra coloro che per vari motivi non hanno aderito) riorganizzati più come referenti di gruppi di lavoro che come “capetti del nulla”.


IL NUOVO E’ ELIMINARE LE STRUTTURE DI PECCATO:
LA RIMOZIONE DEI DETRITI
Per creare il nuovo anche nel partito provinciale e giungere al partito-associazione vi è, però, tutto un lavoro preliminare, di dissodamento ed eliminazione di scorie, da effettuare.

ABBATTERE IL CORRENTISMO
La prima scoria da eliminare si chiama “correntismo”. L’unica realtà solida della Dc provinciale sono le “correnti” che sostituiscono (in negativo) il partito. Ciascuna ha il proprio leader, le proprie riunioni separate, le proprie sedi, la rispettiva quota di potere nella gestione del partito e nelle istituzioni locali, la propria clientela da piazzare nei posti che contano. E’ un sistema assimilabile ad una S.p.a. che, in base al pacchetto di azioni -in questo caso le tessere (spesso estorte dietro ricatto) - accumula quote di potere. Un sistema “quasi moderno” (!!!) che viene gestito in modo tribale dai patriarchi che decidono per tutti in base ai loro particolari interessi.
Che senso ha nella drammatica situazione attuale, con i Cananei e gli Amorrei alle porte, dirsi sempre della tribù di Efraim, Beniamino e Manasse?
Disarmate queste potenziali bombe ad orologeria che stanno per esplodere distruggendo tutto e tutti; abbandonatele, fate mancare la vostra presenza!

MESSA AL BANDO DEL CLIENTELISMO-NEPOTISMO
In non poche occasioni anche fra la DC provinciale ha attecchito il mal del “clientelismo”.
Tessere o voti accumulati dietro benemerenze, promozioni e assunzioni hanno rappresentato una certa fetta dei detriti che devono essere rimossi.
E non serve dire che in provincia gli altri partiti, quelli che governano, hanno fatto anche di peggio.
Sta di fatto che tali comportamenti sono “moralmente repellenti”.
Va quindi espulso dal partito chi ricorre “all’uso di mezzi equivoci o illeciti per conquistare ad ogni costo il potere”. (9)

FINE DEL PROFESSIONISMO POLITICO
Quando la politica da “passione” diventa “professione”, quando al “provvisorio” subentra il “permanente” vi è una logica tendenza dell’organizzazione a trasformarsi in oligarchia e viene meno la partecipazione politica, ossia il contributo diretto o indiretto di tutti coloro che si riconoscono in un partito, ad una decisione politica.
Vi sono amici della DC grossetana, a livello provinciale e nei singoli comuni, che hanno ricoperto incarichi di partito ininterrottamente dai primi anni ‘60: dal paleolitico!
Questi “paleo-amici” se vogliono realmente il bene del partito si defilino dai vari consigli provinciali, comunali, dai comitati di partito (senza pretendere in cambio posti caldi e di “valore”).
E’ cambiato mezzo mondo e le organizzazioni governate sempre dalle stesse facce vengono ripudiate.
Non è un problema di giovanilismo perché per dirla con Fanfani “chi nasce biscaro, resta biscaro’,
Però vi è un limite oltre il quale si sfiora l’indecenza.

BUTTARE ALLE ORTICHE LA CONFUSIONE TRA INCARICHI
E’ questa un’altra scoria da disintegrare. Quando una persona assomma su di sé più incarichi elettivi ai vari livelli o assomma incarichi elettivi e non elettivi in Enti economici o in Aziende municipalizzate, vuoi dire che di mezzo c’è qualche disfunzione o qualche interesse e, comunque, si creano i presupposti per la non trasparenza della vita politica e amministrativa.

DEMOLIRE I PRESUPPOSTI DELLA LOTTIZZAZIONE
E’ proprio l’ora di finirla con le pratiche della spartizione di incarichi pubblici in spregio alla competenza professionale e tenendo esclusivamente conto della appartenenza e della fedeltà al partito, alla corrente, ai gruppo, andando, così, a creare i presupposti della inefficienza del sistema.
Questo è un bubbone doloroso perché la cattiva amministrazione è più grave del malaffare. Il secondo (entro certi limiti) fa, infatti, parte degli incerti della politica, mentre la cattiva amministrazione è il sovvertimento programmatico del fine proprio della politica, ossia la cura scrupolosa del bene comune.
PAG. 9
Allora, cosa fare? - Oltre ad una specie di autoregolamentazione morale, si dovrebbe scegliere la via della “riduzione del montepremi”:
cioè operare una drastica riduzione del numero di posti riservati alla designazione partitica per dare più largo spazio ai vagli di professionalità, curricolari, di esperienza.

FINE DELL’ERA DEI PORTA- BORSE
Altra entità da alienare sono i “portaborse” che, per definizione, sono coloro che lavorano servilmente per un personaggio potente o importante, confidando di trarne vantaggio; anche perché abbiamo scoperto che alcuni di questi soggetti erano dei veri e propri “portaborse (valori)”.
Sta proprio nel superamento di questo modo d’essere uno degli snodi fondamentali del rinnovamento del partito.
Vi sono, infatti, amici che operano nel partito con questo difetto di fabbrica che rende il loro prodotto inservibile, anzi, dannoso.


IL NUOVO E’ LA COSTRUZIONE DI UN NUOVO PARTITO POPOLARE:
PER UNA VIA ITALIANA ALL’EUROPA
Il vecchio sistema è ormai agli sgoccioli e con esso sono venuti meno anche i vecchi criteri di sinistra, destra, centro che lo avevano guidato. La transizione in atto non è solo da vecchi a nuovi partiti, da vecchie a nuove regole istituzionali, ma è anche transizione verso nuovi criteri attraverso i quali definire le posizioni politiche e decidere compagni di strada, alleati e avversari. In questa non facile ricerca vi è almeno un dato che dobbiamo prendere come definito e cioè la considerazione della impossibilità di ragionare solo su schemi di provincialismo nazionale.

L’Europa sta vivendo una fase di semplificazione. E’ infatti in atto un processo di aggregazione attorno a due poli: da un lato quello radicalsocialista, dall’altro quello del Partito Popolare di ispirazione cristiana. Le altre forze politiche stanno ormai convergendo su questi poli o attraverso fusioni o attraverso accordi.
Questo processo è dovuto in parte a scelte di “convergenza ideale”.
I criteri che sembrano differenziare i due poli possono essere sintetizzati in diverse concezioni su quattro temi di fondo:
* il rapporto tra l’individuo e la società e il ruolo dei corpi intermedi, in particolare della famiglia;
* l’intervento dello stato nell’economia;
* il rapporto con i credi religiosi e con la loro concezione dell’Uomo e della Vita;
* le posizioni di politica estera. (10)

Nel nostro Paese c’è la necessità di uno sbocco istituzionale all’europea.
In Italia, però con l’introduzione del sistema maggioritario uninominale (anche proporzionalmente corretto) avremo un numero minore di partiti, destinati tendenzialmente ad unirsi tra di loro non in due ma almeno in tre “poli” diversi di aggregazione.
Verosimilmente avremo un primo polo “popolare”, animato principalmente dai cattolici democratici e aperto a chiunque nel Paese ne condivide il programma, ispirato laicamente ai valori cristiani. Vi sarà poi un secondo polo “laburista”, animato principalmente dal PDS e aperto ad altri gruppi della sinistra laica, alla Rete, a schegge di mondo cattolico. Infine avremo un terzo polo “conservatore”, animato principalmente dalla Lega e aperto ad altri raggruppamenti di destra.

Di fronte a simile prospettiva il nostro obiettivo deve essere allora la costruzione di quel nuovo Partito Popolare, moderno, europeo, di ispirazione cristiana, laico, aconfessionale, coraggiosamente progressista, aperto indistintamente a tutti coloro che vogliono condividerne gli ideali e i programmi.
Partito che sia capace di attrarre, sulla base di convergenze sui quattro punti, forze omogenee anche se di diversa tradizione. Partito che è da pensare e costruire ex-novo perché deve avere le caratteristiche adatte al nuovo tipo di democrazia che sta per nascere, quella dei collegi uninominali e dell’alternanza.
Alternanza che, ambientata in una logica almeno tripolare, consente di giocare un ruolo determinante, direi vocazionale, al Polo Popolare di ispirazione cristiana.

La caratteristica delle democrazie moderne, anche quelle dove prevale il maggioritario, è quella di essere governate al “centro”.
Una “nuova centralità”, dunque ci attende. Una centralità autentica, basata sui valori, sulla moderazione della politica, sulla capacità di aggregazione.
Una centralità che oggi può essere incarnata solo in un moderno partito di centro e non certo nel vecchio e trasformistico partito del centro.
Quest’ultimo coincide con il partito-istituzione, con l’occupazione dello Stato e dell’amministrazione; è il partito - per dirla con Sturzo - che produce una “politica da equilibrista che si ridurrebbe in fondo a non sapere che pesci pigliare ed essere a Dio spiacente ed ai nemici sui”. E’ il partito caro ad una certa D.C. e tanto in voga all’epoca di Giolitti.
 Il partito di centro è invece battaglia contro tutto questo, è un partito di attacco che ben si colloca nella democrazia dell’alternanza, dove il centro politico è sbloccato e vi convergono di stagione in stagione, sintesi politico-programmatiche alternative (11). E’ il partito di Sturzo.

Il sistema politico rinnovato avrà il pregio di spingere alle aggregazioni e di favorire la chiarezza e la coerenza con i propri ideali.
Dal ‘50 al 1980 (dopo, poi, è progressivamente saltato tutto), in ragione del pericolo comunista, le scelte politiche in senso ampio sono state figlie di maggioranze diverse e contraddittorie. Una era la “maggioranza politica”, altra quella “economica”, altra ancora quella “confessional-valoriale”.
Da tutto questo dovremmo finalmente essere liberati, cosicché ciascuno potrà finalmente essere se stesso fino in fondo.
In questa prospettiva, allora, la “nuova centralità” va conquistata elaborando un progetto organico di società, nutrito delle intuizioni del cattolicesimo politico e della Dottrina Sociale della Chiesa, per proporsi come punto di unità e di equilibrio per il Paese nella ricerca di estese alleanze sociali.
E’ l’unico modo per uscire dalla subalternità a cui vorrebbero costringerci i vari anticattolici nazionali e locali.

IL NUOVO E’ UN’AGGREGAZIONE RICCA DI UMANESIMO INTEGRALE:
I VALORI NELLE CONDIZIONI UMANE
Sembrerà strano, ma mai come nel caso dei contenuti, il nuovo è rappresentato “dall’antico”.
Nell’attuale contesto post-ideologico e relativista ciò che conta è la visione di uomo che si possiede.
Fondamentali problemi etici e antropologici entrano, infatti, sempre più in ballo nelle scelte politiche e sociali. Per cui sono necessari “non solo il rinnovamento sostanziale delle persone e dei modelli organizzativi, ma ancor prima una progettualità sociale e politica organica che, a partire dall’ispirazione cristiana ed evitando divisioni e frammentazioni, abbia di mira il bene e il progresso dell’intera nazione, così da proporsi come punto di unità e di equilibrio per la vita del Paese” (12)

E’ quindi necessario, prima di entrare nei problemi concreti del nostro territorio, richiamare i “valori fondamentali” propri della nostra ispirazione cristiana, popolare, democratica:
* la centralità politica del diritto alla vita;
* il primato della persona e della famiglia sull’organizzazione civile e statale; (13)
* la piena realizzazione del principio di sussidiarietà e di quello di solidarietà specie con le fasce più deboli della popolazione interna e internazionale e con le generazioni che ci seguiranno;
* la edificazione di una democrazia fatta non solo di procedure ma anche di valori; (14)
* l’effettiva e congrua libertà di educazione;
* la cooperazione internazionale e la pace;
* la via di una rigorosa moralità che riporti ad una vera legalità. (15)

E’ alla luce di questi precetti primi, generali ma non generici, che discende l’attenzione per il concreto delle persone del nostro territorio. Attenzione che negli aspetti tecnici e specifici non può essere frutto della presente trattazione, dovendo necessariamente derivare dalle tante competenze, sensibilità, attitudini presenti nel nostro mondo e in quelli a noi vicini. La sfida da vincere consiste nell’essere in grado di costruire uno strumento che, nella convivialità delle differenze, riesca a rappresentare un luogo d’incontro, di sintesi e di proposta.

Ma, tanto per esemplificare, annoto - con fare quasi retorico, tanto sono necessità evidenti ed elementari - che mi sta a cuore contribuire alla individuazione di soluzioni per:
* risolvere la diffusa crisi occupazionale della nostra provincia;
* modificare la politica sanitaria della Regione Toscana per la provincia;
* contrastare la criminalità più o meno organizzata presente in provincia;
* offrire un più ampio respiro culturale alle nostre zone.
Sono solo alcuni tratti del programma di un grande partito popolare, che va attentamente vagliato, focalizzato sulle singole istanze delle diverse zone della nostra provincia e legato al nuovo che avanza.

Impossibile allora non tenere conto che alla “società delle classi” si é venuta sostituendo con maggiore concretezza la “società delle condizioni umane”, siano esse la condizione giovanile o quella femminile o quella degli anziani, la condizione delle minoranze, dei menomati, quella degli intellettuali e delle popolazioni rurali, delle casalinghe e delle operaie e via dicendo.
E’ a queste condizioni che il programma di una forza popolare che marcia verso il Duemila deve essere in grado di offrire risposte e strumenti, anche in provincia di Grosseto.


CHI SA SE IL GRAN NAVIGLIO...
Il partito degli onesti o le sole riforme elettorali non saranno sufficienti per affrontare le sfide che ci attendono.
C’è piuttosto necessità di un “nuovo soggetto” che, facendosi carico della centralità della persona nel progetto politico, sappia coniugare onestà, trasparenza e novità, trasformandole in governo, nel confronto costante con chi nel quotidiano offre il suo servizio sociale.
Progetto che può riuscire solo se nasce su una nuova idea politica che superi la logica dello scambio per recuperare quella del dono e che abbia come riferimento etico la persona nella sua centralità.
Riferimenti che in politica non si inventano da un giorno all’altro e che invece possono essere messi a disposizione, non in termini ideologici, ma come esperienza storica, da quei soggetti, singoli e associati, impegnati in percorsi di solidarietà, di servizio ai più deboli, di volontariato, di animazione culturale, di pace e di lotta ai poteri criminali.
Allora, per il bene dell’Italia che verrà, per dirla con Rosmini “chi sa se approssimi oggimai un tempo in cui il gran naviglio sciolga nuovamente dalle sue rive, e spieghi le vele nell’alto, alla scoperta di qualche nuovo, e fors’anco più vasto continente!”.

NOTE
(1) Gli schieramenti sui dati delle elezioni politiche del 1992 sono stati composti nel seguente mode: schieramento di sinistra (PDS-PSI-PSDI-parte della RETE-parte dei VERDI-altri); schieramento di centro cattolico (DC-parte dalla RETE-parte della LEGA-parte dei VERDI-altri); schieramento laico (PRI-PLI-PANNRLLA-parte dei VERDI- altri); schieramento di destra (parte della LEGA-MSI-altri).
(2) Siracide 11,21
(3) Bartolomeo Sorge, 93
(4) Bartolomeo Sorge, 93. L’istanza unitaria che deve guidare l’azione dei cattolici è evidente in molti passaggi del discorso di Giovanni Paolo II all’Assemblea della C.EI. (13.5 1993)
(5) Gabriele De Rosa, 93
(6) Alberto Monticone, 93
(7) Paolo VI, Evangelica testificatio, 31
(8) La Chiesa italiana e le prospettive dei Paese 13

(9) Christifideles laici, 42
(10) Enrico Letta,93
(11) Giovanni Bianchi, 93
(12) Camillo Ruini, 10.5 1993
(13) Giovanni Paolo II, Assemblea CEI, ibidem: “la società lo Stato devono fare della politica familiare la chiave centrale e risolutiva dell’intera politica dei servizi sociali”.
(14) Centesimus annus, 46.
(15) Educare alla legalità, 3 

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