QUATTRO
CHIACCHIERE
SULLA
SITUAZIONE POLITICA ITALIANA
3
marzo 1995 Borgo Carige
LE INCOGNITE DELLA DEMOCRAZIA
Mentre diviene
sempre più difficile resistere alla democrazia, saprà la democrazia resistere a
se stessa?
Nelle carte antiche
le terre sconosciute venivano indicate con “hic sunt leones”, qui stanno i
leoni.
Noi stiamo entrando
in un mondo pieno di leoni. Alcuni leoni sono già identificati, per esempio la
bomba demografica e la minaccia di collasso ecologico; ma non riguardano la
teoria della democrazia.
Ma altri leoni ci
guardano e sono animali tuttora da identificare e insidiano le basi della
democrazia, producendone, forse, una pericolosa metamorfosi.
L’ERA DEL KARAOKE
La prima incognita è che stiamo
uscendo dal mondo costituito da “cose lette” per entrare nel mondo delle “cose
viste”.
Il meccanismo comunicativo dei grandi mezzi
d’informazione sta incidendo sul modello democratico, dato che il
popolo cessa di essere protagonista e diventa spettatore.
La televisione
frantuma i luoghi dove la democrazia si forma (il gruppo, la piazza, il
circolo, il partito, la chiesa, il quartiere, il villaggio); raggiunge l’uomo
solitario nella sua casa, sommergendolo con una cultura di massa planetaria.
Mescola candidati e pornostar, comici e onorevoli, pubblicità di biscotti e
pubblicità di idee. Seleziona e fabbrica personaggi e caratteri secondo codici
visivi, fornendo al cittadino un teatrino semplificato dove il politico non è
portatore di interessi, di proposte, di idee, quanto di mimiche di spettacolo,
di cerone.
Ma così si cessa di
essere cittadini, si diventa spettatori; la scheda elettorale è sostituita dal
telecomando.
Come l’ideologia
dispensava dal pensare, e la burocrazia dispensa dall’agire così ora i media
dispensano dal giudicare.
La nostra è si
presenta come l’età dal karaoke, gioco simbolicamente rappresentativo, visto
che si tratta semplicemente di ripetere parole da altri scritte su una base
musicale da altri suonata.
·
D’altra parte il meccanismo informativo determina anche trasformazioni di
tipo socio-politico.
Pensiamo alle opinioni
collettive. Oggi non si formano più al bar, nella sezione di partito, nel
movimento giovanile. Si formano essenzialmente attraverso i mezzi di
comunicazione.
Pensiamo agli interessi.
Storicamente la rappresentanza di questi è stata portata avanti dal sindacato,
dalle associazioni corporative, dalle confederazioni padronali, dalle realtà
più diverse. Oggi queste realtà hanno minor peso nella rappresentanza degli
interessi rispetto alla forza che si manifesta attraverso ai mezzi
comunicazione.
Per la prima volta
nella storia l’uomo tecnologico ha a disposizione gli strumenti per toccare e
orientare scientificamente la radice stessa della formazione del consenso.
·
Ma è’ illusorio pensare che la vittoria di Berlusconi alle
ultime politiche sia dipesa dalla campagna elettorale iniziata due mesi prima
delle elezioni. Quella campagna elettorale è cominciata almeno una dozzina di anni
prima.
Il tempo cioè in cui
le sue televisioni hanno seguitato a diffondere programmi basati sul miraggio
di una felicità da supermercato. Il modello culturale che ne è derivato ha
invaso tutti i canali televisivi ormai pieni zeppi di scenette pubblicitarie
che raffigurano una società ideale in cui consumare è bello, consumare rende
lieti e felici.
Osserva Bobbio che se coloro che subiscono
l’effetto di questa pubblicità diffusiva «fossero la maggioranza e se, come
maggioranza avessero il peso che una qualsiasi maggioranza ha in un sistema
democratico, il destino della nostra società, non solo di quella italiana,
sarebbe segnato: sarebbe la società dei servi contenti».
La democrazia è
un’apertura di credito all’homo sapiens, a un animale abbastanza intelligente
da saper creare e gestire da sé una città buona.
Ma se l’homo sapiens
è in pericolo, la democrazia è in pericolo.
Il marxismo non è
riuscito a fabbricare un “uomo nuovo”; ma il video-potere lo sta di fatto
fabbricando.
IL RANCORE DEI RICCHI
Sulla drammaticità
di una tale conclusione si innesta una seconda incognita dovuta ad una
questione che capovolge il concetto stesso di democrazia.
Il modello
democratico è sorto per dare voce a chi era estraneo all’esercizio del potere,
al popolo, ai meno abbienti.
Oggi -per dirla con
G. De Rita- sta assumendo crescente rilievo il «rancore dei ricchi».
Ci sono intere fasce
sociali e zone del Paese in cui hanno cominciato a propagarsi sentimenti
negativi.
Sono:
·
germi di timore, perché la competizione internazionale può
ridurre il loro livello di ricchezza;
·
germi di chiusura, perché altri, meridionali o
extracomunitari, possono invadere o ridurre la qualità della loro vita;
·
germi di insoddisfazione civile, perché non funzionano i
servizi resi dal settore pubblico;
·
germi di rabbia, perché talune fasce sociali o zone
terrotoriali, dal sindacato al Mezzogiorno, hanno ottenuto di più;
·
germi di rifiuto della mediazione politica, perché è sempre
stata tesa a tutelare le fasce più deboli e non abbastanza le più forti
dell’economia e della società.
«Da tutto ciò viene
il rancore dei ricchi, cui non eravamo pronti, visto che da sempre ci siamo
preoccupati dei pericoli prodotti dalla rabbia dei poveri. Si vede che,
diventando europei, assimiliamo anche le astiose tendenze delle ricche
periferie vandeane, bavaresi, fiamminghe» (G. De Rita).
IL LETARGO DELLA LEGALITA’
Una terza incognita è legata al
diffondersi di un modo di accostarsi alla cosa pubblica, per cui governare diventa sinonimo di essere padroni,
l’essere al potere vale a garantirsi la prosecuzione del potere stesso, la correttezza nei comportamenti quotidiani (rispetto
delle cose di tutti, pagamento delle tasse, cultura dei diritti e non dei
favori) è un optional riservato agli
idealisti e agli stupidi.
La legalità viene
sostituita dalla legittimità di fatto, fondata su un potere di tipo carismatico;
la divisione dei poteri viene messa in discussione, l’applicazione delle regole
viene considerata come la volontà di una parte politica e prende piede un
liberismo preliberale di tipo feudale, in cui il capo-possidente è libero di
organizzare economicamente e istituzionalmente ciò che considera sua proprietà,
non riconoscendo alcuna titolarità ai diritti dei non-possidenti
Insomma, rabbrividisce lo stato di diritto.
DAL REFERENDUM ALLE
ELEZIONI DEL 1994
La caduta del muro
di Berlino e l’apertura delle cateratte del cielo sopra Tangentopoli ha condotto alla fine del regime
partitocratico della prima repubblica. Levatrice del nuovo periodo è stato il
referendum del 1993 che ha introdotto il nuovo sistema elettorale
tendenzialmente maggioritario.
I 29 milioni di Si al referendum elettorale del 28 aprile
‘93 a quale obiettivo puntavano?
Alla democrazia
compiuta, nell’ambito della quale due raggruppamenti contrapposti potessero
alternarsi alla guida del Paese. Messa in soffitta senza il minimo rimpianto la
proporzionale, (un tempo macchina fotografica di appartenenze tra loro
contrapposte), la maggioranza del popolo italiano si è espressa per un sistema
in cui siano i cittadini a decidere sui Governi: quello maggioritario.
Ma un maggioritario serio per funzionare ha bisogno di ali o
di mezze ali?
La democrazia
dell'alternanza ha bisogno di mezze ali più che di ali. La mezz'ala moderata
dovrebbe essere la parte più forte dello schieramento moderato, mentre la
mezz'ala progressista dovrebbe essere la più forte del polo progressista.
Come è nato il bipolarismo italiano?
E’ nato partendo
dalle estreme: due grandi ali destra e sinistra e nel mezzo il corpo sempre più
piccolo di un centro residuale.
Ma.. ricordiamo le
posizioni preelettorali.
Come eravamo
La sinistra.
La sinistra non si
presentò con un vero programma comune. Occhetto ebbe a dire che non avrebbe
fatto un governo con chi voleva tassare i Bot e uscire dalla Nato. Proprio
quello che voleva Bertinotti, seduto allo stesso tavolo. Occhetto faceva
discorsi di stampo neoliberista, Rifondazione Comunista faceva un discorso
veteromarxista. Scegliere quel polo avrebbe significato scegliere tutto e nulla
(l'opposto dello spirito referendario).
Si aveva buon gioco
nel dire che Cossutta più Occhetto era uguale Togliatti. Era la doppiezza
togliattiana che si riproduceva.
Occhetto preferì
rincorrere la prospettiva di una (presunta) vittoria elettorale, anziché
compiere un altro passo sulla via della evoluzione democratica generale del
Paese.
Euforico per i
successi ottenuti in alcuni grandi centri nelle precedenti amministrative volle
costruire precipitosamente un "fronte", attraverso la somma di
addendi non componibili in un programma di governo, come Rifondazione Comunista
da una parte e Alleanza Democratica e i Cristiano Sociali dall'altra.
La Destra
Anche la destra non
aveva un vero programma comune. C'era chi voleva uno stato italiano
nazionalista, proiettato addirittura a recuperare territori ad est. C’era chi
lo stato lo voleva sfasciare. Non c’era nessun giudizio storico sul fascismo,
né alcuna garanzia contro le abnormi concentrazioni di potere
politico-economico-informativo.
Si riproponevano
alcuni dogmi del liberismo della Tatcher e di Reagan, ormai abbandonati dai
paesi occidentali.
La Lega si
presentava miscelata da un pò di cattolicesimo imbarbarito, un pò di
capitalismo degli onesti, un pò di ricchezza che si fermasse più a lungo nelle
tasche.
La destra
neofascista (o post-fascista) sembrava sempre la stessa sotto le mutate spoglie
di Alleanza Nazionale.
Berlusconi (il
bracconiere che voleva diventare guardiacaccia) ostentava una serie di buone
intenzioni senza dare nessuna dimostrazione dei mezzi attraverso i quali
raggiungere gli obiettivi citati ma che con la potente colla dei mezzi
d’informazione tentava un’operazione che solo lui era in grado di fare (da
illusionista provetto): mettere insieme due forze che avevano visioni
diversificate praticamente su tutto.
Il centro
Il centro non prese
atto del nuovo sistema maggioritario e tirò diritto sulla strada dell'avanti al centro contro gli opposti
estremismi, mentre il sistema
maggioritario non tollera "il centro che guarda a sinistra o a
destra", ma "la sinistra e la destra che guardano al centro"
Insomma, il
"centro" nel nuovo sistema non esiste come categoria politica, è
semmai uno stato d'animo, anche diffuso, dell'elettorato, che i partiti
conservatori o riformisti devono saper cogliere e interpretare per conquistare
la maggioranza per governare.
Il maggioritario
serio e trasparente esclude, in natura, la possibilità che vi siano partiti
seduti sul centro del sistema per occuparlo, costruendo un’egemonia con
l’apertura ora alla propria destra ora alla propria sinistra. Quello del
governo “seduto al centro” è la tipologia delle democrazie proporzionalistiche.
Ancorati ancora alla
mentalità proporzionale, il PPI (che nonostante i radicali cambiamenti, non
poteva non subire il tremendo contraccolpo della fine della Democrazia
Cristiana sotto le macerie di tangentopoli) e, cosa meno comprensibile, il
Patto Segni si presentarono teorizzando un centro che non c’è e senza neppure
voler dire con chi avrebbero formato una maggioranza, nel caso che nessuno dei
due poli fosse risultato numericamente autosufficiente.
I risultati delle elezioni del 27-28 marzo 1994 sono ancora
nella memoria di tutti per doverli ricordare.
LA DESTRA AL POTERE
Perché vince la destra
Ma quali sono stati
i motivi della vittoria della destra?
Quali meccanismi
hanno agito nell’elettorato, ferma restando la straripante influenza dei mezzi
d’informazione?
·
La logica del
nemico.
Tra il richiamo all’antifascismo operato dalla
sinistra e quello all’anticomunismo operato dalla destra, ha avuto più
effetto il secondo.
Il richiamo
antifascista non è scattato, non perché la maggior parte degli elettori
simpatizzasse con il fascismo, ma probabilmente perché non era disposta a
considerare illegittimo un punto di vista anticomunista.
Lo schieramento
progressista è stato invece percepito come egemonizzato da una tradizione e da
nomi collegati all’esperienza comunista.
E’ scattato,
allora, il richiamo anticomunista e dal
momento che l’unico modo per non votare la sinistra era votare per la destra,
l’esito finale è stato quello a tutti noto.
Insomma, alle
origini della vittoria della destra c’è
fondamentalmente stato un voto contro la sinistra.
Delle due
convenzioni escludenti in vigore dal ‘45-’48, quella antifascista e quella
anticomunista, salta clamorosamente la prima. Viene quindi meno la possibilità
di schiacciare ogni destra sul fascismo e questa riacquista capacità di
esistenza e di movimento. A spese del centro (è un 18 aprile al contrario).
·
Contenuti
programmatici e valori politici.
La cornice nella
quale si è mosso il sistema politico nel secondo dopoguerra era la meno
propizia per la destra.
La cornice prevedeva
che il consenso fosse conquistato su un mercato politico in cui la moneta di
scambio obbligatoria era rappresentata dall’ampliamento della cittadinanza sociale,
da perseguire usando la spesa pubblica.
Il tutto entro un
contesto dominato culturalmente dai valori dell’internazionalismo, dalla
legittimazione della rivendicazione sociale e da un’immagine di Stato sempre
più identificata con quella di un buon padre provveditore di ogni necessità dei
cittadini.
In quel contesto,
tutta l’Europa occidentale è stata egemonizzata -per due o tre decenni- dai
partiti di ispirazione cristiana o socialdemocratica.
Rotta la cornice è
riemersa la destra.
E quindi la ragione
per cui gli elettori hanno preferito la destra è stato anche in Italia, l’attesa
di politiche antistatalistiche.
All’origine di tale
attesa vi è l’usura che ha subito lo Stato sociale per effetto congiunto di una
imposizione fiscale sempre più forte e di un accrescimento sempre maggiore
di burocrazie di ogni tipo. Tale attesa si è sostanziata nella convinzione
che solo un governo decisamente non di sinistra potesse ridurre la spesa
pubblica e quindi fermare l’aumento del debito dello Stato.
Sono gli stessi temi
che un pò ovunque hanno portato al potere gli schieramenti di destra.
In Italia vi si
aggiunge la protesta contro il modo d’essere e di funzionare dello Stato in
genere, delle sue svariate amministrazioni così come di tutto ciò che è
connesso alla dimensione pubblica: sprechi, disservizi, incongruenze
organizzative, pratiche di sottogoverno e di corruzione.
·
Stato d’animo
radicale.
Ma perché tutti
questi stati d’animo non premiano l’opposizione di sinistra?
Perché si saldano
così facilmente con quelli di tipo
liberista -dunque più ascrivibili alla destra- nel determinare la vittoria
di quest’ultima?
E’ perché raccoglie
consensi anche una destra come quella di
origine neofascista (o post-fascista), la quale è sociale, nazionale e
statalista a tutti gli effetti?
La destra ha vinto e
lo avrebbe fatto qualsiasi destra, perché
la sinistra, anche quella di opposizione, è stata percepita dalla maggioranza
degli elettori come partecipe a pieno titolo, almeno negli ultimi due decenni,
del governo effettivo del paese, come interna a quasi tutti i circuiti del
potere reale.
Insomma, ciò che
traspare dietro la vittoria della destra è un profondo mutamento dello spirito
pubblico che oggi sembra in posizione radicalmente critica di fronte a quello
che possiamo chiamare il blocco storico della Prima Repubblica.
Le linee guida
lungo le quali avviene la vittoria della destra alle elezioni del 1994 allora
possono essere così riassunte:
1. uno Stato
efficiente, attento all’economicità ed alla qualità dei servizi, non più cieco
e costosissimo erogatore di tutto a tutti, non più burocratico
2. una prospettiva
ideologico-politica da società dei due terzi;
3. un’avversione di
massa alle culture politiche della Prima Repubblica e ai loro apparati di
partito.
Vittoria dal sapore
tutt’altro che conservatore. Anzi, è stata semmai la sinistra che ha difeso l’ordine
costituito, mentre la destra si è presentata come rivoluzionaria.
I pericolosi sentimenti della destra vincente
Ma quali sono i
sentimenti che ha espresso la destra di governo nel concreto suo operare?
Sentimenti e conseguenti scelte che non possono non provocare preoccupazione.
La concezione di una
democrazia plebiscitaria che ha come
suoi cardini:
·
una concezione né democratica né pluralista della sovranità
popolare che si ridurrebbe all’investitura popolare del capo;
·
l’uso distorto e l’abuso dei referendum abrogativi,
diventati lo strumento per la scrittura semplificata di una legislazione che è
complessa e per scardinare il sistema politico e costituzionale vigente.
La pericolosissima
diffusione dell’idea di un parlamento
delegittimato, con una contrapposizione tra legittimità e legalità che evoca altre stagioni della storia.
Berlusconi dice che il parlamento è delegittimato perché i leghisti hanno
tradito gli elettori. Ma i deputati non hanno vincolo di mandato, e poi quand'è che Bossi ha tradito i suoi elettori? quando è uscito dal governo o quando,
ancor prima, promise che mai e poi mai avrebbe governato con i fascisti di
Fini?
L’avversione verso le istituzioni di garanzia
a cominciare dal Capo dello Stato, per proseguire con la Corte Costituzionale,
con la Commissione anti-trust, il Garante per l’editoria, il CSM...
La sfacciataggine
per cui una semplice maggioranza di seggi (neppure rappresentativa della metà
più uno dei votanti), vuole arrogarsi il
diritto di modificare la Carta Costituzionale.
Il menefreghismo verso la concentrazione del
potere economico, con particolare riguardo al settore-chiave
dell’informazione televisiva.
Lo svilimento e lo smantellamento dei diritti sociali. Le nuove classi
dirigenti mostrano la loro contrarietà a far crescere una società che si prenda
cura della situazione e della condizione dei più deboli.
E poi pensiamo al leader dello schieramento di destra.
Che stoffa ha, quella dello statista o quella dell’illusionista?
Quello che è certo è
che ha la stoffa del furbo. Primo,
nella storia, ha sfruttato la potenza dell’immagine: «il premier sono io»; e gli italiani hanno subito creduto al
presidente virtuale, che mostrava sicurezza di sé e il volto sorridente della
famiglia. Ora si mostra arrabbiato «perché
mi vogliono togliere di mezzo; io, proprio io che tutti voi avete voluto».
La tecnica è certamente vincente.
Ma è attendibile? -
Per saperlo basta ricordare la sua intervista di gennaio a Cronaca in Diretta.
·
Dice che durante gli otto mesi del suo governo, in Italia si
sono creati 200 mila nuovi posti di lavoro.
L’Istat poco dopo dice invece che i posti di lavoro sono 421 mila in meno.
·
Dice che la buona ripresa dell’economia reale e anch’essa
merito del suo governo. Tutti gli
analisti, tra cui Modigliani, ripetono che la ripresa è mondiale.
Da quanto detto
emerge che:
Berlusconi dice di avere sempre ragione;
Berlusconi dice le bugie (i posti di lavoro);
Berlusconi mescola vero e falso (la ripresa economica).
LA DEMOCRAZIA
COMPIUTA
Siamo usciti dalla
schiavitù (il regime della corruzione, la degenerazione estrema della
repubblica dei partiti) ma ancora lunga è la strada che ci separa dalla Terra
Promessa: la democrazia compiuta, la
normalità democratica.
Obiettivo modesto,
ma per noi terribilmente arduo: ogni volta che l’Italia è sembrata sul punto di
raggiungerlo, è svanito come una bolla di sapone.
Per portare a
compimento la riforma democratica è necessario un impegno su tre versanti.
1. Un versante istituzionale, anzitutto. La
Costituzione va difesa con tutte le forze, ma l’unico modo per difenderla è
riformarla.
·
Attraverso un rafforzamento del potere politico, perché una
società nella quale il potere politico è frantumato e disperso non è una
società democratica (se si riesce a fissare bene i paletti, ammetto di guardare
con favore all’elezione contestuale e
collegata della maggioranza parlamentare e del Primo Ministro).
·
Contemporaneamente deve essere impedita o almeno fortemente
limitata, l’incursione degli altri poteri nel potere politico. Un potere
politico forte, ma non protetto, può divenire un ghiotto boccone per gli altri
poteri e quindi trasformarsi in un formidabile acceleratore di concentrazione
anziché di democratizzazione del potere (come minimo è necessario proporre un pacchetto di interventi che rafforzino le
maggioranze necessarie per eleggere le istituzioni di garanzia -Presidente
della Repubblica, delle Camere, Corte Costituzionale, CSM- e per modificare la
Costituzione; insieme ad un altro pacchetto che introduca norme
anti-concentrazione).
2. E’ poi necessaria
l’evoluzione dello scenario politico in
una direzione coerente con i principi di una democrazia dell’alternanza,
che è tale se si verificano due condizioni: che si formino due poli politico-programmatici coesi anche se variopinti al loro interno;
e che la guida di entrambi i poli sia in
mano alle mezze ali e non alle estreme.
Condizioni che
richiedono:
·
l’articolazione del
centro
in un centro-destra e in un centro-sinistra;
·
una positiva evoluzione della questione cattolica
tale da riaggregare questo mondo in
un’anima cattolico-moderata (che nutra l’ambizione di orientare
positivamente il polo di destra) e in
un’anima cattolico-democratica e
popolare (che possa giocare un ruolo di primo piano nella costruzione di
una sinistra riformista e moderna);
·
una più libera e liberante collocazione della Chiesa;
·
il compimento dell’evoluzione ideologico-programmatica
della sinistra (che deve finalmente dire con chiarezza in cosa consistono
le sue scelte di fondo nei vari campi, compresa la bioetica e se, dietro il
termine progressista, si colloca
l’illuminismo di Voltaire, lo storicismo spiritualista di Hegel, quello
materialista di Marx oppure la linea della Populorum Progressio di Paolo VI e
della Sollicitudo rei socialis di Giovanni Paolo II);
·
il compimento dell’evoluzione della destra (che deve,
come minimo spiegare, perché nelle tesi del recente congresso di AN non v’è
alcun cenno alla Carta Costituzionale e ai suoi valori);
·
l’emergere di due leaders che possano rappresentare i
Kohl e i Delors nostrani (la candidatura di Prodi va finalmente in questa
direzione), dietro ai quali, però, si
concentri la buona volontà e il rigore di molti.
3. La terza
condizione è, infine la riforma
intellettuale e morale, culturale e civile.
L’esperienza del
trionfo della demagogia televisiva deve indurci ad operare per un lavoro in
profondità, non elitario e ristretto ma gridato dai tetti.
Alle preoccupazioni
di R. Dahrendorf, secondo il quale «un’ondata sovrabbondante di mass media consoliderà ancor
più l’esistenza passiva dei consumatori» e a quelle di chi ha detto che «il massimo di
potere si unisce al massimo di vuoto, il massimo di capacità al minimo di
sapere intorno agli scopi», possiamo far fronte col contenuto
della famosa frase di Aldo Moro: «Questo paese non si
salverà e la stagione dei diritti si rivelerà effimera, se non nascerà in
Italia un nuovo senso del dovere».
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