Dalla DC al PPI, ai Cristiano-sociali, al CCD, al CDU. Comunisti locali travagliati, socialisti devastati e democristiani impreparati. Il decollo di Rifondazione comunista e la nascita di Testimonianza. Bocciata l’ultima nostra candidatura innovativa
Il 1994 fu l’anno del finimondo. Intendo a livello nazionale.
Io vivevo in provincia ma la vicenda italiana mi prendeva molto. Per far
comprendere il caos esistenziale che stavo (stavamo) vivendo in quel periodo è
necessario fare per un momento mente locale sulle vicende della Dc nazionale, a
partire dal 1993, perché mi (ci) coinvolsero e sconvolsero. Chi vuole, può
leggerle sempre sul mio blog: http://stefanogentili.blogspot.com/2015/03/1993-1995dalla-dc-al-ppi-ai-cristiano.html
Ripercorre quegli anni significa rammentare plasticamente la pazzesca
confusione del periodo e ricordare che noi c’eravamo dentro, come travolti da
un vortice che diventerà tsunami e non lascerà più nulla come prima.
In verità, sarebbe opportuno soffermarsi anche sullo
sconcerto prodotto dalle stragi mafiose di Capaci, da Tangentopoli e la
relativa sfilza di arresti tra socialisti e democristiani (anche comunisti,
repubblicani, socialdemocratici, liberali), dall’autodenuncia, la chiamata in
correo e la difesa d’ufficio di una indifendibile classe politica fatta da
Craxi con quel discorso pronunciato a Montecitorio: “I partiti, specie quelli che contano su apparati grandi, medi o
piccoli, giornali, attività propagandistiche, promozionali, associative, e con
essi molte e varie strutture operative, hanno ricorso e ricorrono all’uso di
risorse aggiuntive in forma irregolare o illegale. Se gran parte di questa
materia deve essere considerata materia puramente criminale allora gran parte
del sistema sarebbe un sistema criminale. Non credo che ci sia nessuno in
quest’aula, responsabile politico di organizzazioni importanti che possa
alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo: presto
o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro”.
Aveva tremendamente ragione. I soldi servivano, ne servivano tanti, per i
motivi citati da Craxi e per accaparrarsi le preferenze, quelle che oggi
qualcuno santifica, mercimonio politico che non dava minimamente al cittadino
la possibilità di scelta del candidato, ma nel caso della DC provinciale, solo
triplette da votare, come quella, che ricordo ancora, di Monaci-Fornasari-Corsi
per la circoscrizione Siena-Arezzo-Grosseto. Ripensandoci alcuni anni dopo,
compresi dove potevano essere state trovate le risorse per pagare gli incontri
all’ora di pranzo durante i periodi elettorali al cospetto di 100 o 200
persone. E i buoni benzina Agip che venivano consegnati per fare campagna
elettorale. Io non li ho mai usati.
Il quadro politico era, dunque, mutato radicalmente e in modo repentino.
Era mutato per tutti.
Per i Comunisti, travagliati dall’abbandono dell’ideologia evidenziata
anche nel nuovo nome, PDS, che aveva lasciato praterie elettorali ai nostalgici
della rifondazione comunista. A Grosseto nelle elezioni amministrative del 1993
(sfida Valentini-Giunta) Raniero Amarugi e il Partito della rifondazione
comunista presero oltre 4000 voti, pari all’ 8,90%.
Per i Socialisti, devastati dagli scandali delle tangenti.
Per noi Democristiani, che eravamo giunti al culmine di quanto avevo
previsto, e naturalmente vi eravamo giunti impreparati. Si sarebbe potuto
onestamente riconoscere che la radicalità delle mie posizioni, l’intransigenza,
o come la si volesse chiamare, rispetto alla DC che avevamo sotto gli occhi,
fosse ampiamente giustificata. Fosse il grido disperato di chi non voleva
dilapidare tutto il patrimonio del cattolicesimo democratico. Ma figurarsi!
A proposito dell’erba e della
gramigna democristiana, dopo l’Assemblea
costituente del 1994 non ricordo con esattezza cosa accadde. Mi verrebbe da
dire che ciascuno di noi elaborò il lutto in modo personale. Precisa, però, in
un commento al mio post, Mauro Schiano, che nel 1994 ci fu un congresso del PPI a Grosseto e lo vinse Giuseppe Messina.
All’ultimo minuto gli fu contrapposta la sua (di Mauro) candidatura che, per le
cose che disse e la radicalità delle proposte di cambiamento, entrò in
congresso con il 44% e uscì con il 36%. Ancora una volta: il bello della
sconfitta.
Se, dunque, faccio mente locale agli inizi dell’anno successivo (primi
mesi del 1995) vedo Giuseppe Messina segretario del PPI di Bianco, Testimonianza
per la Città per proprio conto (essendolo già da circa due anni ed avendo
partecipato con una propria lista alle comunali del 1993, ottenendo, con Bulfardo
Romualdi, 2253 voti pari al 4,67%), il gruppo di Paolini con il circolo Nuovo
Millennio orientato a destra, altri in Alleanza democratica poi Patto Segni,
Bellettini con il CCD di cui era segretario Andrei, Corsi vicino a Casini o
Buttiglione (che con il ciellino Mauri presidiava il suo PPI a Grosseto), il
forte direttore della Coldiretti, Eliseo Martelli e Achille Giusti (altri due
pezzi da novanta) un po’ più defilati sul fronte della Camera di Commercio e
della Grosseto Export. Insomma, una vera e propria diaspora.
A proposito, facendo un piccolo salto indietro, in
previsione delle elezioni politiche anticipate del 1994, il mio archivio personale contiene un brogliaccio di appunti, una
lettera inviata al coordinatore regionale Pistelli e un curriculum per una candidatura
innovativa.
Per quanto riguarda quest’ultima proposi il nome di Antonio Magliulo, noto giovane soranese, già Visiting Junior
Researcher alla University of Birmingham e dottore di ricerca in Storia delle
dottrine economiche, allora titolare di una borsa di studio post-dottorato
presso la Facoltà di Economia di Firenze. Cioè persona nuova, preparata,
profonda, con alla base anche forti radici religiose, che erano attecchite
nell’Azione cattolica e cresciute in Comunione e Liberazione. Ma chi doveva decidere
non ne fece nulla.
Fatto sta che nelle elezioni politiche del 27-28 marzo 1994 il CCD si
schierò con Berlusconi, i Cristiano-sociali e La Rete con Occhetto; il PPI
insieme al Patto Segni, il PRI, l’Unione Liberaldemocratica con i quali aveva
fondato il Patto per l’Italia. Il Ppi ottenne 4,3 milioni di voti, pari
all’11,1%, cioè 33 seggi alla Camera e 27 al Senato. Complessivamente la
sinistra si fermò al 34%, la destra balzò al 46,4% alla Camera e al 40,7% al
Senato.
Un tritello per gli ex-democristiani.
Nessun commento:
Posta un commento