giovedì 6 maggio 2021

POST 29 – DALLA RIFONDAZIONE AL XVIII CONGRESSO PROVINCIALE DC

Ci caddi un’altra volta: di nuovo candidato alla segreteria provinciale. Intanto cresceva il nostro integralismo dovuto alla chiara percezione di quello che stava avvenendo. Gli incontri da Susanna e un’intervista sul settimanale ToscanaOggi-Confronto. Quella Dc era al capolinea. La via d’uscita


Il tentativo di rifondare la Dc avviato con il convegno di dicembre 1992 non fu semplice e senza scossoni. Ricevemmo critiche nel corso dell’elaborazione del documento programmatico e del coinvolgimento di più persone possibili. E le ricevemmo anche dopo la presentazione dell’iniziativa.

Tra le prime ricordo una lettera franca e critica del sempronianese Loris Danesi che – dopo avermi ringraziato per l’iniziativa e per averlo invitato – segnalava tra di noi la presenza di “spezzoni e vittime illustri di correnti e gruppi”: la cosa a suo dire puzzava “di trasformismo, di camaleontismo, di voglia di processi sommari, se non filtrata da un’attenta meditazione, da una decantazione” che non poteva “essere inventata in …laboratorio”, ma che aveva invece bisogno di tempi un po’ più lunghi. Dall’incontro preparatorio a cui partecipò (il 26 settembre) trasse l’impressione che “in taluni vi fosse scarsa propensione al dialogo, al confronto e troppa acredine nei confronti non tanto dell’attuale dirigenza partitica, quanto nei confronti di certe persone, ripetutamente chiamate per nome”. Loris auspicava un confronto serrato anche con chi deteneva allora le sorti del partito e un coinvolgimento della base, che a suo dire esisteva, al fine di creare le premesse di un futuro movimento che nascesse appunto dal basso e fosse veramente nuovo e trasversale.

Dopo la presentazione dell’iniziativa, Ovidio Paladini – che valutava positivamente ogni iniziativa che tendesse a smuove la “morta gora” del partito, quindi anche la nostra e che su molte nostre tesi si trovava in sintonia – in un bigliettino segnalava due cose sulle quali non era d’accordo. A suo dire dal convegno “traspariva una certa perentorietà nelle affermazioni che era sicuramente indice di sicurezza e convinzione, ma anche di un certo integralismo che dava un po’ di fastidio all’orecchio”. E che gli era “sembrato un po’ latente il concetto di politica come organizzazione della speranza”.

Critiche sensate, che mi fecero riflettere. Sicuramente furono più gradite di alcune pacche sulle spalle che ci provennero da persone poco sincere. Ma la barca era partita e non potevamo fermarci.

 

La nostra imbarcazione si incontrò di lì a poco con il XVIII Congresso provinciale della DC convocato per il 23 maggio 1993. Congresso indetto, sulla scia di nuove norme, in una prima fase per eleggere il segretario provinciale e in un secondo tempo per eleggere il comitato provinciale.

La prima fase fu aperta dai congressi comunali di maggio per l’elezione dei delegati al congresso e, novità, per la votazione dei candidati alla segreteria provinciale. Novità nella novità: se uno dei candidati alla segreteria avesse ottenuto il 50% più uno dei voti delle assemblee dei delegati sezionali e degli eletti sarebbe stato eletto direttamente segretario, ed in questa veste sarebbe andato al Congresso. Altrimenti ad eleggerlo sarebbe stato il congresso convocato per fine maggio.

Ad aprile, il movimento giovanile democristiano ebbe a candidare il trentenne Felice Matrisciano alla segreteria del partito provinciale. Matrisciano, si leggeva in una nota del delegato Lucio Lapalorcia, già esperto come ex delegato del movimento e vicesegretario del partito, sarebbe stato capace di “aggregare le forze buone della Dc, con idee e comportamenti adeguati al difficile momento che la cosa politica sta(va) attraversando”. Avrebbe fatto “del rinnovamento la propria bandiera” e rappresentato “una candidatura di speranza” (Il Tirreno, 24 aprile 1993). Non c’è dubbio che la virtù della speranza fu quella più declamata.

 

In quello stesso articolo si dava anche credito alla mia candidatura. Cosa che si concretizzò grazie all’insistenza degli amici che avevano organizzato o condiviso l’iniziativa della rifondazione democristiana. Mi mossi per la provincia con l’intento di cercare il confronto con la base sulle idee per il rinnovamento che andavamo propugnando: prima a Castel Del Piano, poi a Grosseto, Follonica, Albinia e altre località.

Le ricordo tutte con simpatia, ma Castel del Piano mi rammenta anche gli svariati incontri tenuti nella casa di Susanna Pioli che ci accoglieva, insieme a sua mamma e talvolta a suo fratello, con grande affetto e invidiabile gusto culinario. Lì mi sentivo a mio agio, percepivo il bello dell’amicizia e la forza del cambiamento che ci infervorava. Ero solo leggermente turbato quando il giovane fratello di Susanna mi chiamava il profeta. Ma non nego che speravo si intravedesse nelle cose che andavamo dicendo un po’ di sana profezia.

 

Il resoconto di quell’ennesimo sforzo può essere sintetizzato con un’intervista (nella quale riprendevo alcuni spunti della mia piattaforma elettorale) che il direttore di Toscana-Oggi-Confronto, Mariano Landini, mi fece in quel periodo, poco prima della celebrazione del congresso provinciale.

L’intervista iniziava in modo perentorio: “Dopo il 18 aprile chi non cambia, se non deve andare in carcere, andrà in soffitta o in archivio”.

“Se la mia candidatura, con tutto quello che rappresenta, non trova il consenso degli aderenti democristiani, ma ancora una volta si preferiscono candidati ingabbiati nella vecchia logica, considero chiusa la mia esperienza in questa DC provinciale”. Sono queste le frasi ultimative con le quali Stefano Gentili – candidato alla segreteria provinciale della Dc da quei democristiani che pochi mesi fa hanno dato via al Movimento di Rifondazione della DC – ha aperto e chiuso una serie di incontri con gli aderenti di base.

Gli abbiamo rivolto alcune domande.

D. Come è andata la convention?

È stata una faticaccia esaltante, perché ho avuto modo di incontrare amici animati da grande passione civile e, al contempo, deprimente perché molti di costoro non ne possono proprio più della DC provinciale che non c’è, o meglio, che c’è solo nei suoi aspetti deteriori. Uno dei quali è quello di decidere i segretari provinciali nel chiuso di una stanza. D. Quale messaggio hai lanciato?

Ho lanciato un messaggio, condiviso con altri amici, fondato su tre costatazioni, tre convinzioni e incardinato sull’unica via d’uscita praticabile.

D. Parliamone un po’.

Le costatazioni sono rappresentate dalla presa di coscienza della fine di un’intera stagione politica, della fine dell’attuale forma partito, dal crepuscolo di ‘questa Dc’.

D. Perché è finita questa forma-partito?

Strutturalmente perché è nata come necessità storica a fronte della presenza del PCI, in un’epoca ormai lontana anni luce; sostanzialmente perché corrosa dal virus della partitocrazia.

D. E come se ne esce?

Spostando il baricentro del potere verso i cittadini, passando dalla democrazia dei partiti alla democrazia dei cittadini.

D. Hai parlato anche di crepuscolo di questa DC?

Questa Dc è al capolinea. Ha compiuto la sua missione, ha raggiunto le mete prefissate: l’allargamento della democrazia, l’uscita dalla miseria in un’ottica di sviluppo equilibrato, ha definitivamente riconciliato i cattolici con lo Stato.

D. E le tre convinzioni quali sono?

Sono le seguenti. La fine di questa forma partito non presuppone la fine dei partiti, ma la loro radicale rifondazione. Il crepuscolo di questa DC non fa tramontare la necessità, per l’Italia che verrà, del contributo del cattolicesimo democratico alla politica. Per offrire un serio contributo in questa direzione è ancora necessaria un’aggregazione politica che si ispiri ai valori cristiani.

D. A proposito di cattolici. Non pochi oggi sostengono che tramontato l’equivoco DC i cattolici conservatori debbano andare con i conservatori e i cattolici progressisti con i progressisti. Che ne pensi?

Ascoltare queste sirene vuol dire estinguere il partito di ispirazione cristiana e quindi far venir meno le ragioni forti del cattolicesimo democratico. Perché stupirsi se ancora oggi quanti credono in valori che sono al contempo cristiani e universali, si battono democraticamente per la loro affermazione, unendosi in un’aggregazione e aggregando, su un programma politico comune, cattolici e non cattolici? Senza che ciò ovviamente suoni scomunica per quanti, anche cattolici, ritenessero invece di poter difendere i medesimi valori militando in altre aggregazioni.

D. E quale è la via d’uscita?

Per rispondere prendo a prestito un commento di Civiltà Cattolica. Si esce da questa grave crisi “con l’azzeramento del vecchio partito e della sua classe dirigente e con l’affermazione di un’aggregazione nuova che, conservando i principi di fondo – l’ispirazione cristiana, il popolarismo, il solidarismo – cambi la sua struttura, i suoi regolamenti, il suo statuto, la sua classe dirigente, e se lo ritiene utile anche il nome”. È in questa direzione che deve essere sinceramente sostenuto il tentativo di Martinazzoli.

D. E in provincia come può essere sinceramente aiutato il tentativo di Martinazzoli?

La pertinenza della domanda si regge tutta su quel sinceramente. Vedo infatti che anche nella DC provinciale siamo oggi tutti nominalmente per Martinazzoli e lo sono anche coloro che fino a ieri hanno appoggiato capini e caponi che portavano voti congressuali a quei referenti che, a livello nazionale, hanno sempre messo all’angolo Martinazzoli, le sue idee, quello che rappresentava. Ecco che, se allora vogliamo sinceramente aiutare Martinazzoli, dobbiamo, a partire dal prossimo passaggio congressuale provinciale, scegliere senza titubanza il nuovo.

D. E cosa è il nuovo?

Il nuovo non è uno slogan, né un’idea. Il nuovo sono le persone nuove. E siccome ritengo che tu possa comprendermi sino in fondo, ti rispondo con Paolo VI che le persone nuove sono “uomini e donne capaci di accettare l’incognita della povertà, di essere attratti dalla semplicità e dall’umiltà, amanti della pace, immuni da compromessi, decisi all’abnegazione totale, liberi e insieme obbedienti, spontanei e tenaci, dolci e forti nella certezza della fede”.

E in chiave più strettamente politica voglio aggiungere: uomini che siano in grado di leggere con intelligenza il tempo presente e quello che sta prendendo la rincorsa; uomini che abbiano la capacità di coinvolgere le forze vive e fresche provenienti dalla società civile; uomini che provengano da canali formativi diversi dalle affumicate stanze di partito. Ciò non vuol dire che si debbono buttare a mare tutta una serie di oneste esperienze, competenze, militanze del passato (anzi un certo nuovo è più vecchio del cosiddetto vecchio). Solo che questi amici debbono dare il loro importante contributo facendo un passo indietro rispetto alla prima linea e lasciando che nuove forze operino in trincea.

D. Un’ultima domanda, Stefano. Non ti sembra di essere un po’ integralista quando dici che se la tua candidatura non trova i necessari consensi, consideri chiusa la tua esperienza in questa DC provinciale?

No, integralista no. Chi mi conosce sa che questo tarlo è estraneo dalla mia storia personale. Quanto vado dicendo non è integralismo, ma rigore richiesto dalla drammaticità del momento, dal nuovo sistema elettorale uninominale e dal bisogno di verità. Troppi non hanno ancora compreso che la logica uninominale costringerà i partiti a scegliere in modo netto da chi vogliono essere rappresentati. Non potranno più essere i contenitori di tutto e del contrario di tutto. E permettimi di affermare che la mia candidatura, con quello che rappresenta, è del tutto alternativa ad altre candidature che si stanno prospettando e che sono tutte dentro la vecchia logica. E poi, quegli amici che mi piace chiamare della pacca sulle spalle, che dicono bravo ragazzo…viene dal mondo cattolico… e così dicendo ti vorrebbero asfissiare nelle vecchie fumose stanze, debbono essere messi di fronte a un momento di verità.

 

E sia che Stefano Gentili non venga appoggiato perché ritenuto uomo di parte (e ti assicuro che non lo sono nel senso inteso da taluni), sia che non venga sostenuto proprio perché non di parte, svincolato da logiche di potere e non ricattabile, non mi resta altra strada che quella di starmene a casa rispetto a questa DC provinciale, che a quel punto avrà scelto di restare legata ai vecchi schemi.









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