Ci caddi un’altra volta: di nuovo candidato alla segreteria provinciale. Intanto cresceva il nostro integralismo dovuto alla chiara percezione di quello che stava avvenendo. Gli incontri da Susanna e un’intervista sul settimanale ToscanaOggi-Confronto. Quella Dc era al capolinea. La via d’uscita
Il tentativo
di rifondare la Dc avviato con il convegno di dicembre 1992 non fu semplice e
senza scossoni. Ricevemmo critiche nel corso dell’elaborazione del documento
programmatico e del coinvolgimento di più persone possibili. E le ricevemmo
anche dopo la presentazione dell’iniziativa.
Tra le prime
ricordo una lettera franca e critica del sempronianese Loris Danesi che – dopo
avermi ringraziato per l’iniziativa e per averlo invitato – segnalava tra di
noi la presenza di “spezzoni e vittime
illustri di correnti e gruppi”: la cosa a suo dire puzzava “di trasformismo, di camaleontismo, di
voglia di processi sommari, se non filtrata da un’attenta meditazione, da una
decantazione” che non poteva “essere
inventata in …laboratorio”, ma che aveva invece bisogno di tempi un po’ più
lunghi. Dall’incontro preparatorio a cui partecipò (il 26 settembre) trasse
l’impressione che “in taluni vi fosse
scarsa propensione al dialogo, al confronto e troppa acredine nei confronti non
tanto dell’attuale dirigenza partitica, quanto nei confronti di certe persone,
ripetutamente chiamate per nome”. Loris auspicava un confronto serrato
anche con chi deteneva allora le sorti del partito e un coinvolgimento della
base, che a suo dire esisteva, al fine di creare le premesse di un futuro
movimento che nascesse appunto dal basso e fosse veramente nuovo e trasversale.
Dopo la
presentazione dell’iniziativa, Ovidio Paladini – che valutava positivamente
ogni iniziativa che tendesse a smuove la “morta
gora” del partito, quindi anche la nostra e che su molte nostre tesi si
trovava in sintonia – in un bigliettino segnalava due cose sulle quali non era
d’accordo. A suo dire dal convegno “traspariva
una certa perentorietà nelle affermazioni che era sicuramente indice di
sicurezza e convinzione, ma anche di un certo integralismo che dava un po’ di
fastidio all’orecchio”. E che gli era “sembrato
un po’ latente il concetto di politica come organizzazione della speranza”.
Critiche
sensate, che mi fecero riflettere. Sicuramente furono più gradite di alcune
pacche sulle spalle che ci provennero da persone poco sincere. Ma la barca era
partita e non potevamo fermarci.
• La nostra imbarcazione si incontrò di
lì a poco con il XVIII Congresso
provinciale della DC convocato per il 23 maggio 1993. Congresso indetto,
sulla scia di nuove norme, in una prima fase per eleggere il segretario
provinciale e in un secondo tempo per eleggere il comitato provinciale.
La prima
fase fu aperta dai congressi comunali di maggio per l’elezione dei delegati al
congresso e, novità, per la votazione dei candidati alla segreteria
provinciale. Novità nella novità: se uno dei candidati alla segreteria avesse
ottenuto il 50% più uno dei voti delle assemblee dei delegati sezionali e degli
eletti sarebbe stato eletto direttamente segretario, ed in questa veste sarebbe
andato al Congresso. Altrimenti ad eleggerlo sarebbe stato il congresso
convocato per fine maggio.
Ad aprile,
il movimento giovanile democristiano ebbe a candidare il trentenne Felice
Matrisciano alla segreteria del partito provinciale. Matrisciano, si leggeva in
una nota del delegato Lucio Lapalorcia, già esperto come ex delegato del
movimento e vicesegretario del partito, sarebbe stato capace di “aggregare le forze buone della Dc, con idee
e comportamenti adeguati al difficile momento che la cosa politica sta(va) attraversando”. Avrebbe fatto “del rinnovamento la propria bandiera” e
rappresentato “una candidatura di
speranza” (Il Tirreno, 24 aprile 1993). Non c’è dubbio che la virtù della
speranza fu quella più declamata.
In quello
stesso articolo si dava anche credito alla mia candidatura. Cosa che si
concretizzò grazie all’insistenza degli amici che avevano organizzato o
condiviso l’iniziativa della rifondazione democristiana. Mi mossi per la provincia con l’intento di cercare il confronto con
la base sulle idee per il rinnovamento che andavamo propugnando: prima a Castel
Del Piano, poi a Grosseto, Follonica, Albinia e altre località.
Le ricordo
tutte con simpatia, ma Castel del Piano mi rammenta anche gli svariati incontri
tenuti nella casa di Susanna Pioli
che ci accoglieva, insieme a sua mamma e talvolta a suo fratello, con grande
affetto e invidiabile gusto culinario. Lì mi sentivo a mio agio, percepivo il
bello dell’amicizia e la forza del cambiamento che ci infervorava. Ero solo
leggermente turbato quando il giovane fratello di Susanna mi chiamava il profeta. Ma non nego che speravo si
intravedesse nelle cose che andavamo dicendo un po’ di sana profezia.
• Il resoconto di quell’ennesimo sforzo
può essere sintetizzato con un’intervista (nella quale riprendevo alcuni spunti
della mia piattaforma elettorale) che il direttore di Toscana-Oggi-Confronto,
Mariano Landini, mi fece in quel periodo, poco prima della celebrazione del
congresso provinciale.
L’intervista
iniziava in modo perentorio: “Dopo il 18
aprile chi non cambia, se non deve andare in carcere, andrà in soffitta o in
archivio”.
“Se la mia candidatura, con tutto quello che
rappresenta, non trova il consenso degli aderenti democristiani, ma ancora una
volta si preferiscono candidati ingabbiati nella vecchia logica, considero
chiusa la mia esperienza in questa DC provinciale”. Sono queste le frasi ultimative con le quali
Stefano Gentili – candidato alla segreteria provinciale della Dc da quei democristiani
che pochi mesi fa hanno dato via al Movimento di Rifondazione della DC – ha
aperto e chiuso una serie di incontri con gli aderenti di base.
Gli abbiamo
rivolto alcune domande.
D. Come è andata la convention?
È stata una
faticaccia esaltante, perché ho avuto modo di incontrare amici animati da
grande passione civile e, al contempo, deprimente perché molti di costoro non
ne possono proprio più della DC provinciale che non c’è, o meglio, che c’è solo
nei suoi aspetti deteriori. Uno dei quali è quello di decidere i segretari
provinciali nel chiuso di una stanza. D. Quale
messaggio hai lanciato?
Ho lanciato
un messaggio, condiviso con altri amici, fondato su tre costatazioni, tre
convinzioni e incardinato sull’unica via d’uscita praticabile.
D. Parliamone un po’.
Le
costatazioni sono rappresentate dalla presa di coscienza della fine di
un’intera stagione politica, della fine dell’attuale forma partito, dal
crepuscolo di ‘questa Dc’.
D.
Perché è finita questa forma-partito?
Strutturalmente
perché è nata come necessità storica a fronte della presenza del PCI, in
un’epoca ormai lontana anni luce; sostanzialmente perché corrosa dal virus
della partitocrazia.
D. E come se ne esce?
Spostando il
baricentro del potere verso i cittadini, passando dalla democrazia dei partiti
alla democrazia dei cittadini.
D. Hai parlato anche di crepuscolo di questa DC?
Questa Dc è
al capolinea. Ha compiuto la sua missione, ha raggiunto le mete prefissate:
l’allargamento della democrazia, l’uscita dalla miseria in un’ottica di
sviluppo equilibrato, ha definitivamente riconciliato i cattolici con lo Stato.
D.
E le tre convinzioni quali sono?
Sono le
seguenti. La fine di questa forma partito non presuppone la fine dei partiti,
ma la loro radicale rifondazione. Il crepuscolo di questa DC non fa tramontare
la necessità, per l’Italia che verrà, del contributo del cattolicesimo
democratico alla politica. Per offrire un serio contributo in questa direzione
è ancora necessaria un’aggregazione politica che si ispiri ai valori cristiani.
D.
A proposito di cattolici. Non pochi oggi
sostengono che tramontato l’equivoco DC i cattolici conservatori debbano andare
con i conservatori e i cattolici progressisti con i progressisti. Che ne pensi?
Ascoltare queste sirene vuol dire
estinguere il partito di ispirazione cristiana e quindi far venir meno le
ragioni forti del cattolicesimo democratico. Perché stupirsi se ancora oggi
quanti credono in valori che sono al contempo cristiani e universali, si
battono democraticamente per la loro affermazione, unendosi in un’aggregazione
e aggregando, su un programma politico comune, cattolici e non cattolici? Senza
che ciò ovviamente suoni scomunica per quanti, anche cattolici, ritenessero
invece di poter difendere i medesimi valori militando in altre aggregazioni.
D. E
quale è la via d’uscita?
Per
rispondere prendo a prestito un commento di Civiltà Cattolica. Si esce da
questa grave crisi “con l’azzeramento del
vecchio partito e della sua classe dirigente e con l’affermazione di
un’aggregazione nuova che, conservando i principi di fondo – l’ispirazione
cristiana, il popolarismo, il solidarismo – cambi la sua struttura, i suoi
regolamenti, il suo statuto, la sua classe dirigente, e se lo ritiene utile
anche il nome”. È in questa direzione che deve essere sinceramente
sostenuto il tentativo di Martinazzoli.
D.
E in provincia come può essere
sinceramente aiutato il tentativo di Martinazzoli?
La
pertinenza della domanda si regge tutta su quel sinceramente. Vedo infatti che
anche nella DC provinciale siamo oggi tutti nominalmente per Martinazzoli e lo
sono anche coloro che fino a ieri hanno appoggiato capini e caponi che
portavano voti congressuali a quei referenti che, a livello nazionale, hanno
sempre messo all’angolo Martinazzoli, le sue idee, quello che rappresentava.
Ecco che, se allora vogliamo sinceramente aiutare Martinazzoli, dobbiamo, a
partire dal prossimo passaggio congressuale provinciale, scegliere senza
titubanza il nuovo.
D. E cosa è il nuovo?
Il nuovo non
è uno slogan, né un’idea. Il nuovo sono le persone nuove. E siccome ritengo che
tu possa comprendermi sino in fondo, ti rispondo con Paolo VI che le persone
nuove sono “uomini e donne capaci di accettare l’incognita della povertà, di
essere attratti dalla semplicità e dall’umiltà, amanti della pace, immuni da
compromessi, decisi all’abnegazione totale, liberi e insieme obbedienti,
spontanei e tenaci, dolci e forti nella certezza della fede”.
E in chiave
più strettamente politica voglio aggiungere: uomini che siano in grado di
leggere con intelligenza il tempo presente e quello che sta prendendo la
rincorsa; uomini che abbiano la capacità di coinvolgere le forze vive e fresche
provenienti dalla società civile; uomini che provengano da canali formativi diversi
dalle affumicate stanze di partito. Ciò non vuol dire che si debbono buttare a
mare tutta una serie di oneste esperienze, competenze, militanze del passato
(anzi un certo nuovo è più vecchio del cosiddetto vecchio). Solo che questi
amici debbono dare il loro importante contributo facendo un passo indietro
rispetto alla prima linea e lasciando che nuove forze operino in trincea.
D. Un’ultima domanda, Stefano. Non ti
sembra di essere un po’ integralista quando dici che se la tua candidatura non
trova i necessari consensi, consideri chiusa la tua esperienza in questa DC
provinciale?
No,
integralista no. Chi mi conosce sa che questo tarlo è estraneo dalla mia storia
personale. Quanto vado dicendo non è integralismo, ma rigore richiesto dalla
drammaticità del momento, dal nuovo sistema elettorale uninominale e dal
bisogno di verità. Troppi non hanno ancora compreso che la logica uninominale
costringerà i partiti a scegliere in modo netto da chi vogliono essere
rappresentati. Non potranno più essere i contenitori di tutto e del contrario
di tutto. E permettimi di affermare che la mia candidatura, con quello che
rappresenta, è del tutto alternativa ad altre candidature che si stanno
prospettando e che sono tutte dentro la vecchia logica. E poi, quegli amici che
mi piace chiamare della pacca sulle spalle, che dicono bravo ragazzo…viene dal
mondo cattolico… e così dicendo ti vorrebbero asfissiare nelle vecchie fumose
stanze, debbono essere messi di fronte a un momento di verità.
E sia che Stefano Gentili non venga appoggiato perché ritenuto uomo di parte (e ti assicuro che non lo sono nel senso inteso da taluni), sia che non venga sostenuto proprio perché non di parte, svincolato da logiche di potere e non ricattabile, non mi resta altra strada che quella di starmene a casa rispetto a questa DC provinciale, che a quel punto avrà scelto di restare legata ai vecchi schemi.
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