Sento dire a mia figlia - che ha deciso autonomamente di prendere parte attiva alle manifestazioni studentesche – che l’idea delle cosiddette classi-ponte (o classi d’inserimento o meglio, come si dice tra la folla, classi per imparare l’italiano) è bene accetta anche da parte di molti che si oppongono ai provvedimenti Gelmini.
La ministra ha parlato di “problema didattico” e il capogruppo leghista Roberto Cota – presentatore della mozione - ha affermato che “le classi di inserimento sono uno strumento per garantire l’integrazione, servono a prevenire il razzismo e a realizzare una vera integrazione”.
Tutto bene quindi.
Come mai, allora, il super-moderato Pierferdinando Casini, leader dell’Udc, ha parlato di “vergogna” e spiegato che: “il principio su cui si regge la democrazia è l’integrazione delle diversità. Se si continua sulla strada della demagogia, davvero il razzismo risorgerà e forse, come in passato qualcuno pensava di mettere una stella di Davide sugli ebrei, oggi qualcuno teorizzerà di mettere le “i” di immigrati sui bambini nelle classi separate”?
Contrari alla mozione sono pure Cgil, Cisl, Ugl; il leader del Partito Democratico Walter Veltroni ha invocato l’Altissimo: “Dio ce ne scampi” e Alessandra Mussolini, presidente della Commissione parlamentare per l'infanzia, ha parlato di “un provvedimento di stampo razzista”?
Cota, all’opposto, ha rincarato dicendo: “chi sostiene che vi sia la volontà di discriminare o non ha letto il testo o è in malafede”.
Dunque, ignoranza o malafede, oppure la proposta non è così ingenua come a prima vista potrebbe apparire?
No, non è ingenua. Tutt’altro.
Ad esempio, la questione dell’insegnamento dell’italiano è solo una scusa. “Tutti sanno che le cosiddette ‘classi di inserimento’ non sono efficaci allo scopo. I risultati migliori si ottengono con classi ordinarie e con ore settimanali di insegnamento della lingua” dicono quelli di Famiglia Cristiana. E in Italia questo, in parte, già avviene.
Poi, andiamo a leggere la mozione approvata dal Parlamento fino in fondo, come suggerisce Cota.
Prevede che i bambini immigrati, oltre alla lingua italiana, debbano apprendere il “rispetto di tradizioni territoriali e regionali”, della “diversità morale e della cultura religiosa del Paese accogliente”, il “sostegno alla vita democratica” e la “comprensione dei diritti e dei doveri”.
Eppoi???
Qualcuno sa dire come spiegarlo a un bambino di 5-6 anni, che deve ancora apprendere l’italiano?
“Se l’integrazione è un bene (tutti la vogliono), dev’essere interattiva – ricordano gli Sciortino-Boys. “E allora, perché non insegniamo agli alunni italiani il rispetto delle ‘tradizioni territoriali e regionali’ degli immigrati? Ha detto bene il cardinale Scola: ‘I buoni educatori devono saper favorire l’integrazione tra le culture, che è una ricchezza per tutti’. Il rischio, altrimenti, è una società spaccata in due, di cui una con meno diritti dell’altra”.
Nel tentativo di comprendere come stiano veramente le cose, mi sembra particolarmente illuminante l’analisi fatta dal prof. Antonio Nanni, docente di filosofia e pedagogia, vicedirettore della rivista ‘Cem-Mondialità’ e responsabile dell’ufficio studi delle Acli.
“La mia convinzione – ha scritto Nanni - è che dietro la proposta delle classi-ponte si nasconda il vero modello di integrazione che vuole la Lega e forse l’intero centro destra, vale a dire quella forma di apartheid etnico e culturale che si chiama ‘comunitarismo’, basato appunto sulla separazione e sulla differenziazione in tutto, anche nei diritti. Ecco perché si cerca di cogliere ogni occasione per fare un passo dopo l’altro nella direzione di una discriminazione razziale a piccole dosi. Ieri con la scusa delle impronte, oggi con la trovata delle classi-ponte. Ciò che più sembra interessare è segregare, dividere, contrapporre”.
E aggiunge, per quelli ai quali può interessare: “La riflessione di fondo che andrebbe fatta riguarda la distanza abissale tra i valori e le prospettive del pensiero sociale cristiano e le scelte culturali che di fatto sta operando l’attuale governo. Da una parte troviamo l’accoglienza nella legalità, la prospettiva dell’integrazione interculturale e il primato del bene comune. Dall’altra si fa strada la politica della sicurezza al posto dell’accoglienza, il modello del multiculturalismo, invece che l’interculturalità, lo spirito di contrapposizione invece che di unità nazionale”.
L’analisi è seria, magari difficile per i più, ma io penso che in questo tempo tutti dobbiamo fare lo sforzo di ‘pensare andando in profondità’: quindi invito i frequentatori del mio blog ad approfondire i termini “comunitarismo”, “multiculturalismo”, “intercultura” e coglierne le differenze.
Per concludere, usando un linguaggio giornalisticamente più piano, ricorro di nuovo a quei taoisti di Famiglia Cristiana: “Alle difficoltà reali si risponde con proposte adeguate, come s’è fatto col maestro di sostegno. In Italia non abbiamo più classi speciali per portatori di handicap, ci sono scuole dove sordi e muti stanno insieme a chi parla e sente. La mozione approvata dal Parlamento fa scivolare pericolosamente la scuola verso la segregazione e la discriminazione. Si dice ‘classi ponte’, ma si legge ‘classi ghetto’.
Negli anni Sessanta, quando bambini napoletani, calabresi o siciliani andavano a scuola a Novara, nessuno s’è sognato di metterli in una ‘classe differenziale’ perché imparassero italiano, usi e tradizioni del Nord, né di far loro dei test d’ingresso. Perché ora ci pensa il novarese Cota?”
Già.
Stefano Gentili
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