martedì 7 ottobre 2008

A COSA SERVE LA “MAESTRA UNICA”?

Elogiato il "calamaio" mi accingo ad analizzare le misure del governo sulla scuola provando a dare per scontate alcune cose.
A) Che non è vero che ci vogliono riportare al piccolo mondo antico col solo motivo di raccattare consenso tra gli adulti e gli anziani: quelli, insomma, del “come si stava meglio quando si stava peggio”.
B) Che non vi sia la tremontizzazione della scuola: nel senso di adottare misure per far cassa o, in quelle più ideologiche, per “togliere la scuola dalle grinfie del ‘68”.

Prendo allora in esame il provvedimento più strutturale dell’azione governativa: il ritorno al maestro unico nella scuola primaria.
A dire il vero bisognerebbe parlare di “maestra unica”, perché il 99% del corpo insegnante di queste scuole è femminile.
Francamente non riesco a trovare valide ragioni pedagogiche e didattiche che giustifichino la nuova soluzione. Fanno ovviamente sorridere quelle del tipo: “anche io ho avuto una sola maestra”.

Se non erro si ipotizza che l’insegnante unico possa migliorare la qualità dell’apprendimento. E come? Sarà forse vero il contrario: è più competente e capace di favorire l’apprendimento dei bambini l’insegnante che ha un’area più ristretta da insegnare.

Si dice, poi, che il bambino ha bisogno di un unico punto di riferimento educativo forte. E quando mai? Allora, anche in famiglia dovremmo ipotizzare soluzioni monoeducative: come fa il piccolo tra il babbo, la mamma, il fratello, la sorella, la nonna, la badante, la baby-sitter? Fa, fa!
Come fa a casa, fa a scuola. Mio figlio che ha frequentato le prime due classi elementari, ha scelto autonomamente la sua maestra punto di riferimento. E le altre hanno rappresentato altrettanti riferimenti importanti e autorevoli.

Si dice, inoltre, che tre insegnanti sono troppi per una classe, lasciando intendere che sono impegnati in una classe sola; ma non è così.
Si dice che il rapporto insegnati-alunni sia eccessivo (e talvolta è vero, ma si può riequilibrare in tanti modi) e si presentano confronti con altri stati. Ma in quel computo ci si dimentica di dire che sono compresi anche gli insegnanti di sostegno, perché a suo tempo è stata fatta una scelta di civiltà: l’integrazione nelle classi di tutti degli alunni con disabilità e problemi gravi.

In verità le nostre scuole dell’infanzia ed elementari sono tra le prime al mondo; le difficoltà vengono nella secondaria e nell’università. E cosa si fa? Si interviene a gamba tesa sulla prima.
Se siamo a livelli così alti nel confronto internazionale (a differenza degli altri gradi di scuola) non dipende dal caso, ma da scelte coraggiose e lungimiranti come quella di avere optato per più presenze all’interno della classe.
La qual cosa ha permesso di individualizzare l’insegnamento, personalizzare l’apprendimento, la pratica dei gruppi cooperativi, il rinnovamento della didattica (che appunto negli altri gradi di scuola non si è realizzato).

Oggi, poi, le classi sono sempre più “colorate” di bambini provenienti da altri contesti culturali e la scuola primaria è all’opera per farsi luogo di esperienze di accoglienza e di convivenza civile. E come farà, allora, la maestra unica a far fronte all’immane compito?
No, no. Non capisco, non trovo un barlume di razionalità pedagogica nella proposta.

Forse ho ciccato nella premessa: si può trattare solo di risparmio economico (si parla di 9 miliardi) condito con una buona dose di furore ideologico. Così facendo, temo, che non saranno distrutte solo le utopie della sinistra e i fantasmi del ’68, ma la stessa riforma Moratti (vedi ad esempio l’équipe pedagogica), che non mi era del tutto dispiaciuta.
“Ci vorrà qualche anno prima che si vedano i risultati della riforma” ha detto il ministro Maria Stella Gelmini.
Meno male, dico io.
Stefano Gentili

Nessun commento: