Anche se il termine classe è paleozoico e l’altro, dirigente, andrebbe precisato in una società complessa e pluricentrica, è troppo ovvio riconoscerne la strategica rilevanza.
In una recente indagine
Il primo dato riscontrato è stato quello di una netta distanza tra società e classe dirigente. Clientelismo e mancanza di criteri di reclutamento basati sul merito, autoreferenzialità (cioè girare intorno al proprio ombellico), scarsa attenzione alla formazione, mancanza di strutture adatte a formare competenze apicali, gerontocrazia e mancanza di ricambio generazionale sono i mali che affliggono la nostra classe dirigente.
Se non mi sono distratto troppo (e confesso di essermi distratto) anche la nostra situazione non è per nulla rosea.
C’è un eccesso di stazionarietà che produce una palese scleroticità: persone che ricoprono incarichi per anni e anni (anzi decenni e decenni), spesso nello stesso ruolo o al massimo transitando da una poltrona all’altra. Persone occupate per lo più a mantenere (la propria posizione s’intende!) che a innovare: qualche modesto risultato lo portano a casa (e vorrei pure vedere!), ma nulla di veramente innovativo e strategico. Sono persone (non tutte, grazie a Dio) scelte più per il criterio della fedeltà che per il merito: ovviamente dopo tanto occupare si fanno anche qualche competenza (grazie al cavolo).
Quando seguo i quotidiani e le emittenti locali continuo a vedere persone che ricoprivano incarichi quando io ero Presidente della provincia (anzi da prima) che ancora ricoprono incarichi, occupano poltrone con bende e prebende. Vedo in qualche caso addirittura salutare con un certo qual entusiasmo ritorni di questo o di quella: per carità, brave persone, ma trapassate remote!
Non è andata bene sino ad oggi, ed è questo, secondo me, il peccato più grave che i vari governanti/governatori hanno commesso negli ultimi trenta anni: hanno fatto tappo contro qualsiasi reale possibilità di ricambio, estirpando alla radice tutto quello che cresceva intorno a loro. Il vero dramma è che il “popolo bue”, di fatto, in larga parte ha assecondato questo stato di cose.
Oggi è addirittura devastante.
Con la società così trasformata e tuttora in movimento continuare nella vecchia maniera sarebbe di una gravità inaudita. Bloccare gli emergenti (che ci sono) e le giovani leve che si affacciano (o sono da tempo alla finestra) nei vari mondi della politica, dell’economia, della cultura, delle associazioni (eccetera, eccetera) vorrebbe dire rassegnarsi al declino.
Vorrebbe dire considerare l’innovazione un rischio, la fantasia qualcosa da cui stare alla larga, il desiderio di cambiamento una specie di sovvertimento (dell’equilibrio della casta e di chi finora c’ha scastagnato).
Non potremmo disegnare il futuro che meritano le nuove generazioni, staremmo con la testa costantemente rivolta al passato e le nostre zone deperiranno, non per carenza di infrastrutture (che pure servono, ma sulle quali si fa solo retorica, stanca retorica, bla-bla), ma per carenza di inventiva, fantasia, speranza.
Servono persone nuove, naturalmente con meno esperienza di chi l’esperienza se l’è fatta alle nostre spalle (ari-grazie al cavolo!), ma con la volontà di essere protagonisti del loro futuro e di quello dei loro concittadini.
Si, lo so, la conosco la solita scusa tradotta in domanda: ma ci sono queste persone, nuove, preparate, socialmente aperte? E perché... quegli egoistoni che da 30, 20, 15 anni (qualcuno anche di più) sono sulla cresta dell’onda ...com’erano quando hanno iniziato? Forse più smaliziati, ma non più preparati.
E, poi, perché non le abbiamo aiutate a prepararsi?
Detto questo, ammetto che il problema esiste.
E allora? Allora “damose da fà”. Tutti, nessuno escluso e “tiriamoci indietro” (dai posti che occupiamo da troppo tempo) altrimenti per legge fisica non si produce spazio.
Chi ha più esperienza svolga la funzione di talentscout: scopritore di quelle (libere) persone che possono assolvere egregiamente alla funzione di dirigenti (forti e umili) e di leader (nel vasto mondo sociale), spesso decisivi anche quest’ultimi per strategie di stimolo, sostegno, coesione.
Ci sono, ci sono!
Credetemi, il problema del nostro sviluppo (sociale, culturale, economico) è qui, non nelle strade, autostrade, controstrade. Lo dicevo...e lo ridico.
Pace e bene.
Stefano Gentili