venerdì 9 gennaio 2009

ABOLIRE LE PROVINCE? SI, QUELLE CHE NON FUNZIONANO

Cosa penso della proposta di abolire le province mi chiede Alessandro Bartoli nel precedente post.
Penso che sia sbagliata.
Non perché sono previste dalla carta costituzionale o per particolari nostalgie. Anzi, per dirla tutta, ritengo che nessuna forma istituzionale sia di per sé indispensabile e insostituibile.
Non sto parlando della ‘forma democratica’, ma delle modalità istituzionali attraverso la quale essa può esprimersi. Anche le province rientrano in questo ragionamento.
Ripeto, anche se oggi non va di moda, sono contrario alla loro abolizione. Se poi saranno abolite, pace.

Ammetto che prima di essere stato eletto Presidente della provincia di Grosseto nel 1995, l’Amministrazione provinciale non aveva a che fare con la mia vita, non l’avevo mai incrociata. Anche dopo il 1999, terminata l’esperienza, ho poco avuto a che fare con essa, salvo dal 2001 al 2003 in qualità di vice-sindaco di Pitigliano. Forti sono rimaste le relazioni con le tante persone serie e preparate che ho incontrato in quegli anni e forti si sono mantenuti i ricordi delle cose dette e fatte. Ma come reali incroci con la mia vita di cittadino, praticamente nulla più.
Comprendo quindi il favore popolare che accompagna la proposta di abolizione delle stesse.
Comprendo anche che se l’Ente provinciale non funziona se ne possa fare volentieri a meno.
Ma se funziona può rappresentare un motore di sviluppo e un fattore di convivenza a un livello territoriale più adeguato dei comuni e della regione.
A tal riguardo mi viene in mente l’introduzione che feci sul periodico dell’ente poco prima di lasciare (Impegni, risultati, sogni realizzati ProvinciadiGrosseto Informa n. 5, maggio 1999). Riguardava cose specifiche, ma faceva trasparire una Provincia forse non inutile. Lo riporto pescandolo dalla raccolta dei miei interventi consultabile sul mio sito www.stefanogentili.it dove è possibile reperire nel dettaglio, alla voce ‘Provincia amica’ e alla voce “Biografia”, le cose dette e quelle fatte.

“Singolare coincidenza quella che la nostra Amministrazione ha vissuto tra la fine dell'inverno e l'inizio della primavera.
Il 30 marzo - insieme ai soggetti interessati - abbiamo sottoscritto il Patto Territoriale per lo sviluppo della maremma grossetana.
Il 31 marzo il Consiglio provinciale ha approvato il Bilancio per il 1999.
Sul Patto Territoriale e la sua straordinaria rilevanza per lo sviluppo e l'occupazione della nostra provincia mi sono più volte intrattenuto. Non è il caso quindi di tornarci sopra, se non per dire che è la realizzazione di un sogno. Lo vagheggiavo nel giugno '98 con un editoriale dal titolo ‘I have a dream’: ‘Ho un sogno, prima della conclusione della presente legislatura provinciale. Che entro la bisaccia delle tante cose fatte vi sia qualcosa di concreto e rilevante sul fronte dell'occupazione’.
Sul Bilancio 1999 vorrei segnalare il verbo utilizzato insistentemente: promuovere.
Dopo gli anni degli scrolloni, per rianimare un Ente assopito, disattento e lontano dai reali processi di sviluppo, la Provincia è oggi al centro di tutti i più importanti processi locali siano essi di natura ambientale, territoriale, economica, infrastrutturale, culturale, sociale.
È ora il tempo di muovere l'Ente, seguendo la strada faticosamente tracciata, verso ulteriori traguardi per offrire sempre maggiore concretezza all'idea di ‘Provincia Amica’. A quell'idea che sinteticamente tracciai nella prima Relazione Programmatica (Consiglio provinciale del 25/5/1995): ‘La nostra alleanza si è presentata con un personale rinnovato che ha stipulato un patto sull'idea della Provincia Amica: Ente pensante in grado di governare il territorio nel quadro di regole certe e condivise; motore leggero capace di offrire un decisivo contributo alla questione dello sviluppo e dell'occupazione’.
Le ‘coincidenze’ sono straordinariamente legate da una volontà ed un impegno su cui abbiamo lavorato duramente in questi anni.
Il dinamismo contenuto in entrambi gli strumenti, Patto e Bilancio, ridisegna, infatti, il rapporto tra istituzioni e società. Lo definirei un passo ‘dentro’ ad un nuovo modello di sviluppo.
La Provincia è infatti ‘amica’ non perché fonte passiva di finanziamenti, ma perché accompagna in un quadro di riferimento generale i progetti dei vari soggetti favorendo il loro crescere, costruendo strumenti di attuazione, semplificando la burocrazia.
Non bisogna però pensare che ora sarà tutto più semplice.
La strada del progresso comune comporta un lavoro complesso, costante, di alto livello, fuori da piccoli compromessi di bottega.
La nostra terra, la nostra gente se lo merita”.

Io penso che di un ente così ci sia bisogno.
Capisco che non sempre è così e non so dire neppure a che punto siamo ora nell’ente provinciale di Grosseto.
Allora che fare? Faccio una proposta: aboliamo quelle che non funzionano e sosteniamo quelle che vanno.
Un po’ di geometria variabile farebbe forse bene in un tempo così omologato.
Stefano Gentili

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Mi ritengo un 'sostenitore moderato' della tesi della semplificazione e riordino degli enti territoriali che passa soprattutto per l'idea dell'abolizione delle province (ma anche delle comunità montane).

Non credo tuttavia che la semplice soluzione dell'abolizione delle province, sia la risposta adeguata ad un problema che per essere risolto deve passare prima per una riduzione del frazionamento degli enti e delle competenze territoriali.

La Toscana è fatta di tanti piccoli (alcuni piccolissimi) comuni (con una grande storia e tradizione, certo) che sono da anni in sofferenza per tanti motivi: dove non ci sono problemi economici, ci sono quelli organizzativi o quelli legati al numero ridotto dei dipendenti (per non parlare del blocco delle assunzioni e dell'anzianità di servizio).

Se si pensa poi alla Provincia di Grosseto (tra le più estese ma anche tra le meno popolose in Italia) la sua 'presenza' nei 28 comuni (o anche la percezione della sua presenza nei cittadini dei 28 comuni), è veramente molto bassa.

Mi verrebbe da pensare che, per le sue competenze, se ne potrebbe fare a meno ma me la vorrei tenere stretta se alla sua abolizione poi non segue un accorpamento che coinvolge il comune insieme ad altri, per costruire una identità territoriale congrua, avere un livello adeguato di servizi e poter sperare in una gestione istituzionale che sia un volano di sviluppo e non un controllo della situazione.

Forse le province sono inutili ma è inutile abolire le province se non si accorpano piccoli comune e si creano enti sostenibili economicamente e in grado di rispondere alle esigenze di sviluppo e di servizi dei cittadini.

Semplificazione vuol dire anche rinuncia a tante piccoli feudi politici, tante poltrone e tante finte differenze su cui far leva in tempi elettorali.

Gli amministratori politici locali sono (sarebbero) in grado di spiegare e gestire questo necessario cambiamento ai propri cittadini?

Confesso che anche io al loro posto, avrei delle difficoltà.

Ma qualcuno lo dovrà fare prima poi, e credetemi meglio prima ragionando e progettando, che dopo con l'acqua alla gola, fuori tempo massimo.

Anonimo ha detto...

La testimonianza di Gentili, sicera ed appassionata, dimostra, come al solito, che la differenza la può fare la persona.
Sicuramente una persona preparata e molto motivata può riuscire ad estrarre linfa preziosa e vitale anche da un organismo apparentemente inutile.
Ma il problema rimane.
Non è certamente percorribile la strada della eliminazione della provincia in ragione del suo presunto funzionamento o meno. Chi stabilisce se l' organismo funziona o meno ? in base a quali parametri ? facile immaginare le strumentalizzazioni e gli abusi.
Forse più ragionevole potrebbe essere accompagnare la abolizione delle province con accorpamenti dei comuni più piccoli.
Tutto si può e si dovrebbe fare in questo paese che avrebbe bisogno di riforme organiche e comunque rapide.
Ma la mia sfiducia nei confronti della politica in Italia è tale da immaginare possibile una riforma di siffatta portata in qualsiasi altro paese al mondo meno che nel nostro....
Alessandro Bartoli

Anonimo ha detto...

Quasi tutti riconoscono che nel nostro Paese si soffre di pletoricità istituzionale. Ogni istanza locale, tuttavia, ha un suo senso che tende a dimostrare con il suo grado di funzionamento. Come sia possibile abolire le province che non funzionano facendo salve le altre, francamente mi risulta difficile immaginare. D'altra parte l'idea della selezione funzionale dovrebbe allora valere anche per i comuni, molti comuni, molti più di quanti non si immagini e senz'altro per le Comunità Montane.
Ogni struttura locale che sappia promuovere sviluppo e rendere servizi consolida una sorta di legittimazione, ma oltre alla sovrapposizione e alla confusione istituzionale, quando si superano certe soglie, si determina la rottura dell'equilibrio costi/convenienze/benefici anche se spesso ci si riduce ai luoghi comuni e all'orgoglio territoriale per difendere l' indifendibile. Sbaglio? Se sbaglio, chi ha detto che è inutile la Comunità Montana del Tavoliere delle Puglie? Penso, viceversa, che ci sia bisogno di un'idea chiara e compiuta circa i ruoli e, di conseguenza, gli assetti istituzionali i più afficaci ed efficienti andando senza incertezz ad una loro semplificazione. Mi domando: gli altri Paesi, quelli che funzionano meglio di noi (la Francia, ad esempio), perché non si avvalgono dello stesso nostro armamentario istituzionale? E se è così, perché non facciamo in modo di recuperare il tempo perduto.............anche se so, purtroppo, che la nostra cultura, prescindendo da destra o sinistra, finirà per rendere impossibile ogni cambiamento.
Arsenio Carosi