martedì 17 febbraio 2015

INTERVENTO AL XVII CONGRESSO PROVINCIALE
DELLA DEMOCRAZIA CRISTIANA 
3-4/2/1990
STEFANO GENTILI


“Carneade, chi era costui?” si chiedeva ieri mattina l’articolista de “La Nazione”: trentenne rampante, al di fuori del ristretto novero degli addetti ai lavori, legato al mondo cattolico; persona che gode della discreta simpatia delle gerarchie ecclesiastiche, agnello sacrificale, segnale di rinnovamento.
Considerazioni queste, in parte vere e in parte false. Ma voglio segnalare che nella mia persona c’è molto di più: e il “dì più” consiste in una cosa estremamente semplice: nell’essere un amico democratico cristiano.
Un amico della periferia - troppo spesso bistrattata anche al nostro interno - che considera il partito non un fine e neppure l’ombelico del mondo, ma un semplice “strumento”.
Amico che è preoccupato perché vede nel nostro partito, così come viene gestito, uno strumento che emette solo note stonate.
Un amico che, fino ai ieri come elettore e militante di base, oggi come candidato (e di queste ringrazio gli amici della sinistra, forse eccessivamente temerari), da lunedì di nuovo come elettore e militante di base, vuol comunque dire la sua, e coglie l’occasione della tribuna congressuale per proporre una “griglia di riflessioni” ad alta voce.

La situazione del Paese
Gli anni ‘80 consegnano al nuovo decennio un’Italia in chiaro-scuro. Complessivamente siamo diventati più ricchi ma siamo ancora immaturi. Soprattutto - ci ricorda il Rapporto Censis ‘89— siamo una società pervasa in suoi ampi strati da “un’ombra di malinconia” e che vede accanto a zone luminose zone scure dove la tradizionale carenza non ha saputo trasformarsi ancora in abbondanza o dove si è manifestata addirittura una nuova indigenza.

Il nostro elettorato
E’ dal 1979 che si è aperto un evidente “ciclo di smobilitazione” in cui i due maggiori partiti, privati di un nemico credibile in buona salute, perdono alternativamente (se si eccettuano le elezioni dell’effetto Berlinguer per il PCI e i consensi recuperati dalla DC dopo la cura De Mita).
Gli effetti della smobilitazione sono poi evidenti nel tributo che la DC paga all’astensione; la qual cosa evoca l’immagine di una “erosione continua, di uno sgretolamento”.
Spesso dimentichiamo che, nell’apparente staticità dell’elettorato, da un’elezione ad all’altra 1 cittadino su 3 cambia voto. I nostri elettori - anche quelli cattolici - hanno mutato la loro logica di fondo del rapporto: non è più voto di appartenenza ma “voto di opinione”. Molta parte del nostro elettorato ha trovato motivazioni diverse da quelle tradizionali per votare DC; è per questo motivo un elettorato più maturo ma anche più esposto a incertezza, mutabilità, reversibilità. E di questo nella relazione del Segretarie Andrei non v’è stata la minima consapevolezza!

Il mondo cattolico
Il mondo cattolico chiede sempre maggiore limpidezza sulla “questione morale”, da recuperare nei comportamenti della classe politica, nella riforma delle regole ormai invecchiate, nell’attenzione da rivolgere verso nuove questioni quali l’ecologia, la bioetica e nei riguardi di tutte le forme di povertà del nostro tempo.
La stessa “unità politica dei cattolici”, a mio parere, sta mutando di segno, essendo sempre meno “unità partitica” e sempre più unità sulle questioni di fondo della nostra epoca, soprattutto per aggredire quelle che sono state autorevolmente chiamate le strutture di peccato.

Caro Andrei, i cattolici sono da tempo vaccinati per non lasciarsi abbindolare dalle citazioni di Sacra Scrittura usate come paravento per coprire il “vuoto progettuale”. Sono, anzi, stufi e indispettiti del fatto che si parli di loro ritualmente nelle sedi ufficiali e demagogicamente in campagna elettorale.
Provo un senso di fastidio per le citazioni bibliche inserite in discorsi politici, ma se proprio se ne desidera una, proporrei l’apertura dei profeta Isaia: “Mi ripugnano le vostre celebrazioni: per me sono un peso e non riesco più a sopportarle. Anche se fate preghiere che durano a lungo, io non le ascolto, perché le vostre mani sono piene di sangue. Lavatevi, purificatevi; basta con i vostri crimini. E’ ora di smetterla di fare il male, imparate a fare il bene, cercate la giustizia, aiutate gli oppressi, proteggete gli orfani e difendete le vedove” (Is. 1,14-1).
Anche il consenso cattolico sta per “sdoganarsi” nei riguardi della “costituente” ipotizzata dal PCI, in misura maggiore di quanto è già accaduto per il PSI. E questo perché la questione del voto non è più posta in termini di passaggio da una appartenenza ad un’altra, ma di semplice trasferimento in questa fase politica sulla base di obiettivi programmatici laicamente accettati.

La stessa questione comunista ci riguarda da vicino, sia perché è un fatto di rilevanza storica che può sbloccare il sistema liberandolo dal peso degli oligarcati politici, economici e culturali, sia perché apre per noi una stagione che può essere di competizione e collaborazione tutta nuova.

L’evoluzione del sistema politico
Occorre prendere coscienza che si è definitivamente concluso il ciclo politico iniziato nel 1948 e caratterizzato da alleanze basata su formule politiche. Si è aperta una “fase nuova” caratterizzata da alleanze da costruire “sulla comune volontà di raggiungere obiettivi essenziali per lo sviluppo dei Paese”. Più, infatti, prendono spazio all’interno del dibattito politico le questioni progettuali e programmatiche, tanto più le divisioni che una volta erano tra “famiglie politiche”, tra partiti, aree culturali, diverranno “intrafamiliari”, interne agli stessi partiti, alle aree culturali.

E’ quindi probabile che il vecchio sistema politico italiano, spinto dalla società civile, possa incamminarsi su strade diverse rispetto a quelle finora sperimentate. Il cui approdo potrà anche essere la coalizione di “tutto il nuovo” contro ‘tutto il vecchio”, di tutti coloro che, per esempio, intendono la democrazia come regola di vita e ideale contro chi vede la democrazia come un fastidioso vincolo
se non proprio da rimuovere, comunque da vanificare (e chi ha organizzato questo Congresso si è messo dalla parte del vecchio, visto il tempo veramente ridicolo destinato ai dibattito!).
La coalizione di coloro che ritengono necessario aprire una rinnovata stagione dei diritti dell’uomo, contro chi considera questi ultimi secondari rispetto alla produzione, al profitto, alla ricerca scientifica, alla stessa legislazione.

La nostra risposta
Risposte corrette, sollecitazioni positive alla realtà sociale caratterizzata da ombre e luci rese opache dalla nostalgia di senso; risposte alla rinnovata sensibilità del mondo cattolico, all’affascinante sfida lanciata dal PCI e ad uno scenario politico ed elettorale in mutamento… non possono certo giungere da un “partito moderato, sclerotico, ciecamente pragmatico”,
Da un partito “burocratico” come è sembrato quello emerso dalla relazione di Andrei.

Provengono solo da una forza in grado di elaborare quella che potrebbe essere chiamata una politica alta e popolare”, una politica progettuale.
Lo stesso nuovo ciclo di sviluppo che si è aperto è nei suoi caratteri assai complesso e non può essere, quindi, affrontato con una pura gestione dell’esistente, affidandosi a dinamiche spontanee che rischierebbero, oggi, di essere distorcenti.
Un partito adempie al suo ruolo se sa essere lungimirante, se riesce a costruire e interpretare non solo la società di oggi, ma anche quella di domani.

Ecco perché, a mio parere, dobbiamo non tanto continuare le interminabili mediazioni, ma creare nella politica quella divisione tra “vecchio e nuovo” che tra la gente esiste.
Anche se nella politica la mediazione è determinante, la politica non è mediazione! Non le mediazioni, né il silenzio oggi fanno per noi, ma la proposta e l’iniziativa che rendano decifrabile tra la gente l’idea democratico - cristiana: ecco cosa ci serve!

Discriminante e, allora, non negoziabile, diventa la divisione  - anche al nostro interno - tra chi ha voglia di cambiare, voglia di trasparenza, di far vincere la politica dei valori e chi, invece, piega ogni scelta al tentativo di garantirsi tranquillità nella gestione del potere, nella conservazione dei propri consensi.
Nel nostro partito, invece, così come viene gestito, tutto sembra giocarsi su chi dovrà ricoprire la presidenza della Banca X, sedersi in Consiglio Regionale, guidare la Camera di Commercio e via dicendo.
Determinante è invece per noi la valorizzazione dei movimenti civili e imperativo morale ascoltare e accogliere la gente, rendere il cittadino arbitro, lottare contro tutte le mafie, in sostanza mettere al centro del discorso politico la “questione morale”.

Dobbiamo essere capaci, in nome della solidarietà, in nome di quel terzo di persone escluso dal benessere, di porre in atto una critica seria e approfondita anche alla cosiddetta modernità neocapitalista con i suoi guasti, le sue strafottenze, la sua indifferenza di fronte alla liberazione integrale e plenaria dell’uomo.

E poi necessario farsi carico a livello nazionale, ma anche per quello che ci riguarda, degli obiettivi elusi: del fisco, del Sud, della scuola, dello stato sociale. Obiettivi, soprattutto questi ultimi con degli evidenti riflessi nostrani: penso, ad esempio, che il partito avrebbe dovuto occuparsi seriamente da tempo dei problemi sanitari della Usl dell’Albegna, dei problemi occupazionali dell’Amiata, dello sviluppo economico della provincia.

Occorre anche fare modernizzazione competitiva per restare in Europa e, per quel che ci riguarda come provincia, per restare in Italia, denunciando e contribuendo ad eliminare tante nicchie di immobilismo e di bassa efficienza presenti anche ai nostri livelli. Dare al nostro sistema viario reti di trasporto efficienti è quanto di minimo si possa fare.
Ma c’è anche forte attesa perché la politica si occupi delle cose che hanno e danno senso nella vita sul piano della qualità umana, della convivenza collettiva.

Necessita allora:
garantire la sicurezza della convivenza collettiva contro ogni attacco della delinquenza organizzata, ma sempre nel rispetto dello Stato di diritto;
provvedere ad una politica dell’ambiente che non sia pura conservazione ma tenda piuttosto a ridisegnarne la funzione secondo le esigenze dell’uomo di oggi e di domani;
sviluppare una politica dei nostri paesi e della città che assicuri che vi siano spazi di vivibilità umana e civile;
migliorare i servizi sociali in efficienza e qualità umana offrendo crescenti spazi al volontariato;
tutelare i cittadini come consumatori, come utenti di beni e servizi, anzi spingerli a partecipare alla tutela dei loro diritti;
vigilare e regolare le concentrazioni economiche quando travalicano il loro ruolo sino ad interferire con l’informazione ai cittadini, con i diritti dei consumatori, con il ruolo della politica.
Direi, infine, che parimenti impellente risulta prestare attenzione e sostenere il bisogno di spiritualità che sta emergendo dalle ceneri del materialismo burocratico dell’Est, ma anche nel cuore dei nostri giovani troppo stretti dal materialismo consumista dell’Occidente.
Tutto questo, insieme a molto altro - che altri amici della “sinistra” hanno segnalato e in seguito puntualizzeranno - accanto alla individuazione delle soluzioni e degli strumenti è, o meglio, dovrebbe essere la nostra “LINEA POLITICA”.

I nostri alleati
Ma “con chi” risolvere questi problemi, ovvero quale politica delle alleanze portare avanti?
Dice frequentemente un mio amico: “come posso suonare un notturno con un flauto fatto di vecchie grondaie”.
Cioè, sono strette le brache della vecchia politica, c’è poco da suonare su questo vecchio spartito. C’è poco da aspettarsi dalle vecchie mentalità e dai modi arcaici di ipotizzare alleanze, presenti anche al nostro interno e filo conduttore della relazione dei Segretario uscente.
Voglio dire che è morto e sepolto il tempo delle politiche di “schieramento”, degli steccati manichei che precludono il dialogo, dove le ragioni della maggioranza talvolta impediscono di vedere i reali problemi della gente.
Ma la soluzione non sta nelle ambigue forme di “convergenze programmatiche” che in sostanza sono la copertura della vecchia politica di schieramento.

Mi sembra di poter intravedere, pur nelle contraddizioni che marcano l’attuale situazione di forte transizione politica, un orizzonte più disteso nei quale vi potrà essere la possibilità di collaborare con tutti coloro che saranno realmente intenzionati a far emergere il “nuovo”, inteso in modo non integralista né manicheo.
Penso che sia, allora, necessaria - rifacendomi a Sturzo - la riscoperta di un “sano municipalismo”, nel quale le alleanze si costituiscono sui reali bisogni della gente e si fanno con chi si mette dalla parte del nuovo.

Ad una linea politica nel quale le alleanze non dipendono dagli ordini romani e neppure dalla rigida strategia dei Comitati e delle Federazioni Provinciali che, spesso solo per interessi personali o dì gruppo, imbracano e impacchettano i destini delle diverse zone della provincia e dei singoli comuni.
Ben altro dovrebbe essere il ruolo del livello provinciale del partito, ben altro il suo spazio di raccordo, da realizzare in un modo di intendere i rapporti centro-periferia inseriti in una dinamica circolare e non piramidale e nel quale siano le realtà locali e zonali, con i loro problemi e le loro istanze, a diventare centro del processo.

E non mi sì venga a dire che questo non è avere una linea politica, perché chi pensa così ha una visione ancorata al vecchio e pretende di guardare in avanti con la testa rivolta all’indietro.
Ripeto, infatti, se qualcuno si ostinasse a fare orecchi da mercante, che il “ciclo politico” iniziato nel 1948 e caratterizzato da alleanze basate su formule politiche si è definitivamente concluso.
E una “linea politica nuova” non consiste nell’aprire le porte agli uni e precluderle agli altri, nell’ipotizzare schieramenti precostituiti, caso mai, su questioni astratte e di poco conto per la gente dei nostri centri o, peggio ancora, per esclusive ambizioni di potere.
Una “linea politica” che si muove verso la fine del millennio e che prende atto di quanto è avvenuto a livello interno e internazionale e che voglia rappresentare la speranza per giovani indifferenti alle alchimie politiche e disgustati dalla gestione chiusa del potere, può solo consistere, a mio modo di vedere, “nella difesa dei valori fondamentali della persona e della libera convivenza sociale, nell’inseguimento dell’equità e della giustizia” e nella conseguente individuazione dei problemi, degli obiettivi e nella indicazione delle linee di soluzione e negli strumenti per tradurli in azione.
Sono le idee e le azioni concrete che debbono ‘riprendere il primato’ all’interno del partito e nel rapporto con gli altri partiti e la gente.
E’ la “politica dei diritti dell’uomo, della democrazia come regola di vita, della costituzione realizzata” la nostra linea politica.

Una particolare attenzione alla ‘costituente’ proposta dal PCI
E’ chiaro, allora, - proprio nella prospettiva del nuovo che avanza - una particolare attenzione dovrà essere rivolta alla costituente proposta dal PCI. E questo, sia chiaro, non per strizzare strumentalmente l’occhio al PCI, contro altri partiti!
Mi sembra però assurdo non porsi sulla strada di un franco e fecondo reciproco rapporto, vista la radice autenticamente popolare che ci contraddistingue entrambi.
In una impostazione diversa, sia anche questo estremamente chiaro, rispetto a quella scelta dal Segretario Andrei che segue una logica appartenente al vecchio: oggi si presenta con una insistita e anacronistica requisitoria contro il comunismo e i comunisti e ieri aveva cercato, con gli stessi, dei puri rapporti di potere.

Di fronte a quello che sta accadendo dire “avevamo ed abbiamo avuto ragione in tutti questi anni” non basta più, anche se di questa nostra lungimiranza ne siamo chiaramente orgogliosi.
La crisi, oggi, non è solo del comunismo; non gode infatti neppure buona salute il modello socialdemocratico e una certa visione del cattolicesimo sociale.
Ma anche soffermandoci esclusivamente sulla crisi del comunismo, dobbiamo chiaramente riconoscere che non è indifferente rispetto ai nuovi scenari possibili.

Il nostro nuovo impegno sarà, dunque, quello di concorrere ad influenzare una evoluzione che valga a rendere più matura e forte la nostra democrazia.
Dobbiamo allora operare, rispettosi del travaglio che moltissimi comunisti stanno vivendo, perché nella nuova forza che si andrà costituendo non prevalgano le suggestioni radical-libertarie e populiste, ma prenda il sopravvento quello che chiamerei lo “spirito di Godesberg” basato sull’etica cristiana, sull’umanesimo. Perché giunga a superamento la pretesa di avere una risposta ideologica a tutto, come pure venga superato definitivamente il concetto di egemonia affidato ad una classe, ad un partito, ad un’ideologia che voleva rappresentare la chiave per aprire le porte della storia.

Consentire la riuscita di questo processo vorrebbe dire non avere più timore della conclamata ‘alternativa’, che è l’igiene della democrazia; e significherebbe favorire una competizione alta tra il riformismo forte di sinistra e quello altrettanto radicale ed equilibrato dei democratici cristiani.
Ma dovrebbe anche favorire, secondo questo nuovo contesto, collaborazione e accordi ai vari livelli con la “cosa” che uscirà dalla costituente, sempre però giustificati dalla “politica alta e popolare” e non da brutali questioni di potere. Anche perché è vero che Occhetto punta all’alternativa alla DC, ma non per motivi ideologici, quindi non eterni; la sua è una valutazione politica negativa su questa DC, così come viene gestita: è, insomma, una posizione reversibile.

Un partito profondamente rinnovato
Per realizzare l’ambizioso obiettivo della costruzione di una “politica nuova” abbiamo bisogno di un partito profondamente rinnovato.
Rinnovato nei metodi di selezione della classe dirigente, nell’idealità e nella cultura di quest’ultima, nella sua capacità di leggere il nuovo e di governare il cambiamento.
E rinnovato anche nella ‘forma partito’ ormai giunta al capolinea, incapace come è di farsi carico dei ‘mondi vitali’ e di essere un utile strumento della partecipazione della società civile alla costruzione del proprio futuro.

E’ chiaro però che anche sulla strada del cambiamento del modo di organizzarsi del partito, occorre intanto porre in essere alcune piccole evidenti modifiche all’andazzo corrente.
Il partito deve, a mio parere:
  finalmente convincersi, a tutti i livelli, della vitale necessità di “un’opera di formazione culturale” a vantaggio dei dirigenti, degli iscritti e dei suoi amministratori
  far funzionare i ‘dipartimenti’ affidandoli a persone capaci, disponibili, responsabili, la cui azione possa essere quotidianamente sottoposta al controllo di tutto il partito;
  istituire ‘organismi politici comprensoriali’ collegati alle realtà sovra comunali: se l’esperimento a suo tempo tentato fosse stato portato avanti con coraggio e costanza, forse avremmo evitato incomprensioni e assenze nella formazione dei comitati di gestione delle UU.SS.LL., negli organismi delle Comunità Montane; o comunque avremmo tutti meglio compreso certi passaggi e conclusioni;
  nelle sezioni, infine, far ‘rispettare le scadenze’ e favorire equilibrati ricambi nei rinnovi dei direttivi e dei Segretari.

Queste ultime sono minimali riflessioni da misurare e confrontare con altre esperienze e sensibilità, con coloro che da tempo sono attivi militanti e responsabili della direzione del partito. Non vogliono certo avere la pretesa della verità e di rappresentare il toccasana per Democrazia Cristiana.
Più sommessamente le affido al contributo degli amici come esigenza anche per tanti giovani di nutrire la politica di un speranza nuova che possa ampliare gli spazi di partecipazione e di libertà della nostra democrazia con gli ideali e l’ispirazione propri della Democrazia Cristiana.
E la carenza maggiore della relazione dell’ amico Andrei mi è proprio sembrata l’incapacità di tracciare “scenari di speranza”.
Se il partito è solo un dato burocratico, se nella maggior parte delle sezioni si è voluto  scientemente impedire il dibattito, se quello che conta nella DC sono ancora i ‘signori delle tessere’, … sapete dirmi dove trovare motivi di speranza per impegnarsi nel partito!

Considerazioni conclusive
Gli amici della “sinistra” interna hanno chiesto la mia disponibilità ed io ho ritenuto mio dovere non sottrarmi alla candidatura, per spirito di servizio.
E’ una “candidatura piena” e in questo senso chiedo i vostri consensi sulle linee tracciate in precedenza, limitate nell’esposizione per ovvi motivi di tempo.
Parimenti totale è la mia disponibilità a ritirare la candidatura alla segreteria provinciale, ove questo volesse significare, nel dialogo congressuale, l’apertura di uno spazio “effettivamente” unitario, capace di rendere il partito più “libero e forte”.
Non siamo però interessati a ruoli aggiuntivi, a tentativi d’ impaludamento, a sussurri falsamente unitari.
L’unità interna, a mio parere, si ottiene solo dividendo il nuovo dal vecchio in un orizzonte di chiarezza.
Il resto è “palude” e non ci interessa.

Stefano Gentili
























Grosseto, 3 febbraio 1990

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