Tra il 1980 e l’86
vissi proiettato anche a livello nazionale, per frequentazioni e per essere
diventato consigliere nazionale di AC. La battaglia tra la scelta religiosa e
quella sociale e popolare. O con me o contro di me. Oppure no. Il grano e la
zizzania.
Il periodo
tra il 1980 e il 1986 lo vissi anche molto proiettato sul livello nazionale
dell’Azione Cattolica. Fu una gran bella esperienza e conobbi diverse persone innamorate del Signore, legate fortemente
all’Associazione, ma ancor più alla Chiesa. Laici e sacerdoti che misero pezzi
più o meno lunghi della loro vita a totale disposizione degli aderenti
dell’Azione Cattolica, adulti, giovani, ragazzi.
Per le
circostanze ricordate – incontri diocesani con responsabili nazionali, rapporti
epistolari, sostegni formativi, frequentazioni – avevo stretto particolari amicizie, tra gli altri, con Dino Boffo,
Umberto Folena, Annalisa Aicardi. Si diceva di volere una chiesa attenta
alle attese della gente e alle fragilità esistenziali, si cercava di dare fiato
ai movimenti d’ambiente, si vaticinava una chiesa più impegnata nel sociale.
Forse anche grazie all’età, in quanto esponenti della parte più giovane
dell’Azione Cattolica, volevamo dire la nostra e scendere in piazza per
problemi scottanti come la disoccupazione, la pace (ricordo la questione degli
euromissili del 1983), i diritti umani, la P2; ma il resto dei responsabili
nazionali si mostrava molto prudente e, per certi versi, contrario a seguire la
nostra impostazione. Si provava insomma a declinare la scelta religiosa anche
in termini sociali e di vicinanza alle condizioni reali dell’uomo.
Quella fase
personalmente non l’ho mai vissuta in contrapposizione all’altro gruppo presente in AC (Alberto Monticone, Rosy Bindi,
alcuni della Fuci tra cui Tonini, altri dei Laureati), che consideravo composto
da fratelli nella fede e nell’associazione, ma solo come elemento dialettico
per far crescere l’Azione Cattolica. Certo, con loro il rapporto era per così
dire meno caldo. Ma stimavo queste persone e da loro avevo molto da imparare.
Sandro Magister in un’analisi del 1987 sosteneva che
la lotta tra questi due gruppi fosse parte di una battaglia di più ampia
portata. Diceva infatti “che era passata sostanzialmente
inosservata dall’opinione pubblica l’operazione revisionista tentata nella
seconda metà degli anni 70 da un settore della segreteria di Stato vaticana che
faceva capo al sostituto Giovanni Benelli, dalla segreteria della Conferenza
episcopale, ove Luigi Maverna aveva preso il posto dello scomparso Enrico
Bartoletti, e dalla stessa presidenza dell’Azione Cattolica, passata in quel
periodo a Mario Agnes. L’operazione si proponeva di frenare il declino numerico
dell’associazione e di restituirle seguito popolare ripristinandone, in verità
con scarsa riuscita, alcuni stili preconciliari. In particolare esigeva che il
discusso termine scelta religiosa fosse tramutato in scelta pastorale: formula
ritenuta più adatta ad esprimere il ritorno dell’Azione cattolica a una più
stretta dipendenza dai dettami della gerarchia ecclesiastica”.
Continuava il vaticanista: “Ma proprio nel 1980 alla testa dell’Azione cattolica si ha un
avvicendamento che contrasta questa tendenza: ad Agnes succede Alberto Monticone,
professore di storia moderna all’università di Roma, sostenitore inflessibile
della scelta religiosa. Parallelamente, al vertice della Conferenza episcopale
si delinea e si impone un gruppo dirigente di profilo marcatamente conciliare”.
Magister affermava anche che l’obiettivo del gruppo
che si contrapponeva a Monticone, in vista dell’assemblea nazionale del 1986
era quello di conquistare la maggioranza del direttivo dell’associazione e di
aggiudicarsi, di conseguenza, la presidenza dell’organismo. “Il traguardo sembrava a portata di mano
perché, dei 52 consiglieri nazionali dell’Azione Cattolica in carica dal
congresso di tre anni prima, solo poco più della metà erano assegnabili con
sicurezza alla linea di scelta religiosa sostenuta dal presidente. Gli altri,
per quanto privi di un compiuto progetto alternativo, erano invece portatori di
quella spinta revisionista, di stampo sociale e popolare, che abbiamo già visto
all’opera, con scarso esito, nella seconda metà degli anni 70 durante la
presidenza di Mario Agnes”.
Non saprei dire se quell’analisi
fosse valida.
Ricordo
però alcune cose: la trasformazione lessicale avvenne e dal 1977 si cominciò a
parlare di scelta pastorale. Penso
anche che una parte dell’associazione, dopo la presidenza Agnes, avrebbe auspicato
una presidenza Boffo; e forse lo stesso Dino vi puntava. Io ero molto giovane e
quelle grandi battaglie, se mai vi furono realmente, non le percepivo in tutta
la loro drammaticità. Pur essendo maggiormente in sintonia con un certo gruppo
di consiglieri, non sarei mai stato disponibile a rinnegare la scelta
religiosa, magari ponendola a servizio di un’opera di revisione conservatrice. Molto più semplicemente ritenevo, ed altri
con me, che taluni dei fan della scelta religiosa ne dessero una lettura troppo
riduttiva e pertanto inefficace dinanzi al fenomeno sempre più evidente del
secolarismo.
Mi
convinceva peraltro la lettura di quella
scelta sulla linea di una maggiore indipendenza dell’AC rispetto alla politica
democristiana, che lasciasse ai laici una certa autonomia nell’azione
sociale e politica, sostenuta dai monticoniani. Fui colpito quando Alberto
Monticone, nella replica all’assemblea nazionale del 1986, lesse due pagine del
Concilio Vaticano Il: la prima sulla dignità della coscienza morale, la seconda
sull’eccellenza della libertà, entrambe assunte come mediazione tra l’amore
filiale dell’Azione Cattolica per la Chiesa e il suo contemporaneo amore
fraterno verso questo tempo, questo popolo, questo paese. Forse alcuni
rabbrividirono e ne ravvisarono una sfida rivolta addirittura a Giovanni Paolo
II. La pensava così Mario Agnes che sull’Osservatore Romano bollò come
inconcepibile, sconcertante, inammissibile la polemica antipapale e la
pensavano nello stesso modo le cronache di quei simpaticoni di Comunione e
Liberazione che la derubricarono in “il
Concilio tirato in faccia al Papa”. Io non la pensavo così.
Quanto detto finora riguardava le impostazioni ecclesiali e pastorali che tendevano a farsi strada nella Chiesa di quel periodo, ed erano tutte posizioni legittime.
Ma non c’era solo questo. C’erano gli uomini.
Io sono
sempre stato un uomo libero e mi sono trovato a mio agio con altri uomini
liberi. Liberi da costrizioni esterne, ma anche interne come la vanità e il
potere. Per questo non sopportavo, anzi soffrivo, dentro l’AC gli atteggiamenti
di chi – da una parte e dall’altra – pretendeva obbedienza di gruppo
preconcetta e di coloro che dietro discorsi roboanti o mistici nascondevano una
evidente smania di potere. Non sopportavo chi sparlava degli altri. Quanto è
saggio oggi Papa Francesco quando dice: “quelli
che in una comunità fanno chiacchiere sui fratelli, sui membri della comunità,
vogliono uccidere”.
L’affermazione
del Papa mi fa tornare alla mente cosa pensavo allora dinanzi alle polemiche
malevole, alle organizzazioni para-militari degli uni contro gli altri, della
evidente sete di potere di alcuni. Mi faceva venire alla mente quanto mi disse
un autorevolissimo personaggio della nostra Chiesa diocesana quando gli chiesi
consiglio su un mio impegno nazionale (che mi fu chiesto a cavallo tra il 1980
e l’81): “Stai attento, Stefano. A Roma o
ammazzi o ti ammazzano, anche in ambito ecclesiale – ecclesiastico”.
L’espressione era figurata, ma molto chiara.
Questi modi
di fare non facevano per me. Non faranno per me neppure in seguito, ad esempio
in campo politico. Questo stile l’ho sempre pagato in termini di potere. Ma non
ci posso fare nulla, è più forte di me. È nella mia natura, non faccio nessuno
sforzo, non ne ho alcun merito, se è una cosa di cui vantarsi. Debbo, anzi,
dire di guardare con curiosità quanti per raggiungere i fini che si sono
proposti sono disposti ad usare tutti i m
ezzi, anche quelli che
strumentalizzano le persone o addirittura gli mettono i piedi sopra. Dimostrano
indubbiamente carattere.
Per la
verità, non era proprio in questi ultimi termini la situazione dell’associazione
nazionale a metà anni ’80, ma l’aria si
era fatta molto pesante, allora tana libera tutti.
Alcuni di
noi, tra cui il sottoscritto, rientrarono alle proprie basi associative a
vivere la vita di tutti i santi giorni, qualcuno fece scelte di consacrazione radicale,
altri si misero sulla scia della nuova stella episcopale nascente, Camillo
Ruini, dal giugno 1986 segretario della Conferenza episcopale italiana; altri
ancora cercarono fortuna in politica, altri si collocarono nel quotidiano
Avvenire o nella Rai. È la vita, bellezza.