C’eravamo lasciati nell’ultimo intervento ricordando che il “rivoluzionario” cambio di prospettiva attuato dalla Gaudium et spes - cioè la condizione storica della famiglia umana diviene aspetto indispensabile per la missione della chiesa – nel documento conciliare si concentra su due espressioni: “Il Signore è il fine della storia” e “I segni dei tempi”.
Analizziamo
la prima espressione.
Affermare
che “il Signore è il fine della storia”
(GS 45) vale a dire che la vicenda dell’intera famiglia umana ha una precisa
destinazione: si trova in cammino verso l’adempimento del progetto eterno di
Dio e di questo adempimento la chiesa si pone a servizio.
Il
disegno divino - vero disegno di salvezza - è la trasformazione della famiglia umana in famiglia di Dio (GS 40),
che avverrà perfettamente solo l’ultimo giorno.
Ma
ciò segna anche il compito e la direzione del cammino della famiglia umana; e
quindi segna anche il compito della chiesa: essere “lievito e quasi anima” della storia umana (GS 40). La Lumen Gentium
parla in questo senso preciso della chiesa come “sacramento” (LG 48) e cioè
come segno visibile ed efficace della presenza di Dio nella storia umana. Così
facendo la chiesa non fa altro che continuare nel tempo la missione stessa di
Cristo.
La
stessa vita della famiglia umana considerato come un tutt’uno, nel suo continuo
svolgersi, è dunque di diretto interesse per la missione soprannaturale della
chiesa, ed è anche l’oggetto specifico della riflessione teologica: oggetto
legittimo e doveroso, quindi, anche per un solenne documento di un concilio
ecumenico.
Il
traguardo della storia - la famiglia umana trasformata in famiglia di Dio
- è allora una comunità legata dal vincolo perfetto della carità. Di qui nasce
l’attenzione della GS al tema sociale in genere: l’uomo non può trovare la sua
piena realizzazione se non nel dono sincero di sé (GS 24).
Questa
logica di convivenza deve concretizzarsi
in tutte le forme e le strutture di relazione: dalla famiglia, agli stati,
alle etnie, all’umanità intera. E’ questa la radice di ogni impegno della
chiesa nel sociale: impegno che non ha mai fine, data l’umana imperfezione e il
continuo fluire della storia, che crea situazioni e strutture sempre nuove.
Impegno
che per il vangelo e per la chiesa ha un nome biblico preciso: l’impegno per la pace.
Impegno
che, su basi rigorosamente bibliche, si specifica in due direzioni:
** l’impegno
contro ogni stato di cose oppressivo, contro ogni forma di dominio o di
prevaricazione del potente sul debole;
** l’impegno
per una fraternità universale, e quindi per una solidarietà o
corresponsabilità per l’altro, indipendentemente dalla sua cittadinanza o razza
o cultura.
Può
essere anche interessante notare due cose, rammentate dal teologo Enrico
Chiavacci.
→ In tutti i testi di
apologetica e di teologia fondamentale
della prima metà del novecento il tema del “regno” è sempre riferito
alla chiesa: la chiesa è il luogo ideale dei salvati.
In
GS il regno è destinato all’umanità intera: il trionfo finale spetta alla famiglia umana, non alla chiesa; la chiesa è solo serva di questo progetto
divino. Così il temine “regno” riacquista tutta la valenza sociale, ben
evidente nei profeti e nei vangeli.
→ Nella citata concezione di
pace troviamo la visione del mondo e dell’umanità propria di Tommaso, per il
quale il vero bene comune, a cui tende tutto il creato, è Dio.
Dunque,
inserirsi attivamente nella società in
cui la Provvidenza
ci ha posto è inserirsi nel disegno cosmico di Dio. Questa idea cosmologica
della via verso la salvezza si era persa negli ultimi secoli, ma ritorna con
GS. Solo che al posto di una visione statica del cosmo subentra una visione
dinamica, cioè la visione della storia dell’umanità che cerca il suo cammino di
salvezza, e tende verso il suo traguardo non solo come singola anima, ma anche
come famiglia umana.
Pertanto,
oggi un cristiano che si limitasse a guardare la storia o a subirla, senza
sentire il dovere di esserne attore, non sarebbe neppure nel cammino della
propria salvezza individuale.
Stefano
Gentili