La Gaudium et spes (d’ora innanzi GS) non è un documento secondario o esortativo del Concilio Vaticano II, ma una “costituzione” e cioè un documento dottrinale di primaria importanza.
Non
entro nel merito della discussione circa la qualifica di “pastorale” della GS.
E’ comunque massimamente importante riflettere sulla “nota” al titolo del
documento:
“La Costituzione Pastorale ‘Sulla
Chiesa nel mondo contemporaneo’ consta di due parti, ma è un tutto unitario. La
Costituzione è detta ‘Pastorale’ perché, basata sui principi dottrinali, intende
esporre l’atteggiamento della Chiesa verso il mondo e gli uomini d’oggi. Non
manca dunque né l’intento pastorale nella prima parte, né l’intento dottrinale
nella seconda. Nella prima parte la Chiesa sviluppa la sua dottrina sull’uomo,
sul mondo nel quale l’uomo inserito e sul suo rapporto con queste realtà .
Nella seconda considera più da vicino i diversi aspetti della vita odierna e
della società umana, e precisamente in particolare le questioni e i problemi
che ai nostri tempi sembrano più urgenti in questo campo. Per cui in questa
seconda parte la materia, soggetta ai principi dottrinali, consta di elementi
non solo immutabili, ma anche contingenti. Perciò la Costituzione dev’essere
interpretata secondo le norme generali dell’interpretazione teologica, e ciò
tenendo conto, soprattutto nella sua seconda parte, delle mutevoli circostanze
con le quali sono connessi, per loro natura, gli argomenti di cui si tratta” (nota 1).
A
questa nota va opportunamente aggiunto quanto scritto al n. 91 della GS: “Volutamente, dinanzi alla immensa varietà delle situazioni e delle
forme di civiltà, questa presentazione non ha, in numerosi punti, che un
carattere del tutto generale: anzi, quantunque venga presentata una dottrina
già comune nella chiesa, siccome non raramente si tratta di realtà soggette a
continua evoluzione, la proposizione della dottrina dovrà essere continuata e
ampliata”.
E’
forse la prima volta che viene promulgata una costituzione con la coscienza della sua non definitività e, d’altronde,
indicando le norme generali della sua corretta interpretazione, se ne garantisce il valore di riferimento
autoritativo: esigendo sempre nuovi approfondimenti, a partire dalla realtà
storica e dall’esperienza pastorale della chiesa.
E
siccome la dottrina non è una serie di enunciati astratti e la pastorale una
serie di accorgimenti tattici, l’aspetto pastorale della GS - per dirla con
M.D. Chenu - non è “un pio opportunismo di
circostanza: è la chiesa in atto, luogo teologico della parola di Dio, nella
comunità gerarchica”.
Si capisce allora perché la costituzione dogmatica Lumen Gentium e la
costituzione pastorale GS si integrino in modo essenziale; anzi, si può subito
dire che perché si dispieghino tutte le potenzialità insite nella GS, deve
realizzarsi la Lumen Gentium.
La
G.S. si occupa di argomenti che mai prima un concilio ecumenico aveva trattato,
perché troppo terreni.
La
tradizione dei precedenti concili era quella di occuparsi del dogma, dei
sacramenti, della disciplina della chiesa. La GS nella seconda parte si occupa invece di
famiglia e sessualità, cultura e culture, economia mondiale e lavoro, politica
e stato, pace e fraternità nella famiglia umana.
Si
tratta di una vera e propria novità teologica e come tale fu percepita dal
concilio, tanto che vi fu una dura opposizione al vedere inclusi in una
costituzione di un concilio ecumenico temi come quelli della seconda parte.
Dinanzi ad una prima stesura del testo fu infatti subito proposto di relegare
tutta la parte sociale in una sere di “annessi”, che avrebbero così costituito
un’appendice non strettamente teologica e avrebbero depurato il testo da
elementi non confacenti alla dignità magisteriale di un concilio. La battaglia
fu durissima e l’idea degli annessi fu probabilmente respinta solo grazie ad un
intervento indiretto di Paolo VI con l’Enciclica Ecclesiam suam.
Ma
per ben comprendere la GS,
bisogna aver presente un aspetto fondamentale, che annoto con le parole del
teologo Chiavacci. “A partire da circa il XVI secolo ogni tematica di tipo sociale
sparisce dalla riflessione teologica: né in morale né in dogmatica -qualunque
testo si scelga- appare un solo capitolo sul sociale, sulla pace, sulla
convivenza umana in genere. Tali argomenti, ben presenti sia nella prima che
nella seconda Scolastica (per esempio in Tommaso e Suarez), vengono relegati
nella filosofia morale e in particolare nel suo ultimo capitolo dedicato alla
morale sociale. Quando chi scrive cominciò a insegnare morale sociale, nel 1961,
lo fece nei corsi filosofici per studenti che non avevano neppure iniziato
lo studio della teologia. La missione
della Chiesa, e la teologia conseguente, fra il XVI secolo e il concilio viene
concepita essenzialmente come salvezza delle singole anime attraverso
l’evangelizzazione e la sacramentalizzazione. La condizione storica concreta della famiglia umana non è rilevante per la
missione specifica della chiesa; non è dunque parte della teologia: sono
questioni appartenenti all’area della natura e non del soprannaturale, e devono
quindi essere affrontate dalla filosofia. Se con le prime encicliche sociali -e
segnatamente con la
Immortale Dei (1885) e la Rerum novarum (1891)- la chiesa si preoccupa
direttamente di realtà sociali (lo stato e l’economia), ciò è per spirito di
carità verso coloro che soffrono o che sono traviati dalla fede. Tanto è vero
che i contenuti di tali encicliche non trovano posto nei manuali di morale fino
agli anni ‘50, e anche allora in modo marginale”.
Con
la G.S. ci
troviamo dinanzi ad una specie di rivoluzione
teologica rispetto alla teologia degli ultimi tre - quattro secoli. Cambia
radicalmente la prospettiva, il modo cioè di intendere la condizione storica concreta della famiglia umana, che diventa elemento non solo rilevante ma
indispensabile perché la Chiesa possa esplicitare la propria missione.
E
il ragionamento si concentra attorno a due espressioni.
“Il
Signore è il fine della storia”.
“I
segni dei tempi”.
Le
analizzeremo prossimamente.
Stefano
Gentili
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