lunedì 25 marzo 2013

“NELLA CHIESA DEL TEMPO ULTIMO SI IMPORRÀ IL MODO DI VIVERE DI SAN FRANCESCO”



Aligi, un caro amico, due giorni fa mi faceva notare un curioso periodo contenuto nel calendario di Frate Indovino di quest’anno, al mese di marzo.
In fondo alla pagina di questo mese, all’interno del riquadro ‘Hanno detto di lui’, è riportata la seguente frase attribuita a Benedetto XVI: “Nella Chiesa del tempo ultimo si imporrà il modo di vivere di san Francesco che, in qualità di ‘simplex’ e ‘illitteratus’, sapeva di Dio più cose di tutti i dotti del suo tempo, perché egli lo amava di più”.
Chiesa dell’ultimo tempo…Francesco… Un brivido è transitato per la schiena…

Calma e gesso.
Intanto il testo non è di Benedetto XVI, ma di Joseph Ratzinger e risale al suo periodo giovanile (‘anni 50), quando fece la tesi di abilitazione all’insegnamento su San Bonaventura.
E probabilmente riporta il punto di vista del francescano Bonaventura da Bagnoregio (magari condiviso dal futuro pontefice).

Inoltre il “tempo ultimo” – per dirla con Ugo Sartorio - non è il tempo che verrà, un futuro indefinito che un giorno, chissà quando, ci sarà dato da vivere.
Il tempo ultimo è quello inuagurato da Gesù Cristo ed è il presente attraversato dall’«oggi» di Dio, da una possibilità sempre nuova di schierarsi dalla parte del Vangelo e delle sue Beatitudini.

Certo, però, che meditare questa frase poco dopo l'elezione a Vescovo di Roma di un pontefice che parla di povertà e di poveri e si chiama Francesco...fa una certa impressione.

Stefano Gentili

martedì 19 marzo 2013

FRANCESCO nella Messa di inizio Pontificato: «Non dobbiamo aver paura della bontà»



Cari fratelli e sorelle!

Ringrazio il Signore di poter celebrare questa Santa Messa di inizio del ministero petrino nella solennità di San Giuseppe, sposo della Vergine Maria e patrono della Chiesa universale:
è una coincidenza molto ricca di significato, ed è anche l’onomastico del mio venerato Predecessore: gli siamo vicini con la preghiera, piena di affetto e di riconoscenza.

Con affetto saluto i Fratelli Cardinali e Vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i religiosi e le religiose e tutti i fedeli laici. Ringrazio per la loro presenza i Rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali, come pure i rappresentanti della comunità ebraica e di altre comunità religiose. Rivolgo il mio cordiale saluto ai Capi di Stato e di Governo, alle Delegazioni ufficiali di tanti Paesi del mondo e al Corpo Diplomatico.

Abbiamo ascoltato nel Vangelo che «Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’Angelo del Signore e prese con sé la sua sposa» (Mt 1,24). In queste parole è già racchiusa la missione che Dio affida a Giuseppe, quella di essere custos, custode. Custode di chi? Di Maria e di Gesù; ma è una custodia che si estende poi alla Chiesa, come ha sottolineato il beato Giovanni Paolo II: «San Giuseppe, come ebbe amorevole cura di Maria e si dedicò con gioioso impegno all’educazione di Gesù Cristo, così custodisce e protegge il suo mistico corpo, la Chiesa, di cui la Vergine Santa è figura e modello» (Esort. ap. Redemptoris Custos, 1).

Come esercita Giuseppe questa custodia? Con discrezione, con umiltà, nel silenzio, ma con una presenza costante e una fedeltà totale, anche quando non comprende. Dal matrimonio con Maria fino all’episodio di Gesù dodicenne nel Tempio di Gerusalemme, accompagna con premura e con amore ogni momento. E’ accanto a Maria sua sposa nei momenti sereni e in quelli difficili della vita, nel viaggio a Betlemme per il censimento e nelle ore trepidanti e gioiose del parto; nel momento drammatico della fuga in Egitto e nella ricerca affannosa del figlio al Tempio; e poi nella quotidianità della casa di Nazaret, nel laboratorio dove ha insegnato il mestiere a Gesù.

Come vive Giuseppe la sua vocazione di custode di Maria, di Gesù, della Chiesa? Nella costante attenzione a Dio, aperto ai suoi segni, disponibile al suo progetto, non tanto al proprio; ed è quello che Dio chiede a Davide, come abbiamo ascoltato nella prima Lettura: Dio non desidera una casa costruita dall’uomo, ma desidera la fedeltà alla sua Parola, al suo disegno; ed è Dio stesso che costruisce la casa, ma di pietre vive segnate dal suo Spirito. E Giuseppe è “custode”, perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge.

In lui cari amici, vediamo come si risponde alla vocazione di Dio, con disponibilità, con prontezza, ma vediamo anche qual è il centro della vocazione cristiana: Cristo! Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato! La vocazione del custodire, però, non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. E’ il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo.

E’ il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. E’ l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, poi come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. E’ il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti. Siate custodi dei doni di Dio!

E quando l’uomo viene meno a questa responsabilità, quando non ci prendiamo cura del creato e dei fratelli, allora trova spazio la distruzione e il cuore inaridisce. In ogni epoca della storia, purtroppo, ci sono degli “Erode” che tramano disegni di morte, distruggono e deturpano il volto dell’uomo e della donna.

Vorrei chiedere, per favore, a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo “custodi” della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo!
Ma per “custodire” dobbiamo anche avere cura di noi stessi! Ricordiamo che l’odio, l’invidia, la superbia sporcano la vita! Custodire vuol dire allora vigilare sui nostri sentimenti, sul nostro cuore, perché è da lì che escono le intenzioni buone e cattive: quelle che costruiscono e quelle che distruggono! Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza!

E qui aggiungo, allora, un’ulteriore annotazione: il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza. Nei Vangeli, san Giuseppe appare come un uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, di amore. Non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza!

Oggi, insieme con la festa di san Giuseppe, celebriamo l’inizio del ministero del nuovo Vescovo di Roma, Successore di Pietro, che comporta anche un potere. Certo, Gesù Cristo ha dato un potere a Pietro, ma di quale potere si tratta? Alla triplice domanda di Gesù a Pietro sull’amore, segue il triplice invito: pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle. Non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio e che anche il Papa per esercitare il potere deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce; deve guardare al servizio umile, concreto, ricco di fede, di san Giuseppe e come lui aprire le braccia per custodire tutto il Popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli, quelli che Matteo descrive nel giudizio finale sulla carità: chi ha fame, sete, è straniero, nudo, malato, in carcere (cfr Mt 25,31-46). Solo chi serve con amore sa custodire!

Nella seconda Lettura, san Paolo parla di Abramo, il quale «credette, saldo nella speranza contro ogni speranza» (Rm 4,18). Saldo nella speranza, contro ogni speranza! Anche oggi davanti a tanti tratti di cielo grigio, abbiamo bisogno di vedere la luce della speranza e di dare noi stessi speranza.

Custodire il creato, ogni uomo ed ogni donna, con uno sguardo di tenerezza e amore, è aprire l’orizzonte della speranza, è aprire uno squarcio di luce in mezzo a tante nubi, è portare il calore della speranza! E per il credente, per noi cristiani, come Abramo, come san Giuseppe, la speranza che portiamo ha l’orizzonte di Dio che ci è stato aperto in Cristo, è fondata sulla roccia che è Dio.

Custodire Gesù con Maria, custodire l’intera creazione, custodire ogni persona, specie la più povera, custodire noi stessi: ecco un servizio che il Vescovo di Roma è chiamato a compiere, ma a cui tutti siamo chiamati per far risplendere la stella della speranza: Custodiamo con amore ciò che Dio ci ha donato!

Chiedo l’intercessione della Vergine Maria, di san Giuseppe, dei santi Pietro e Paolo, di san Francesco, affinché lo Spirito Santo accompagni il mio ministero, e a voi tutti dico: pregate per me! Amen.

Papa Francesco


I neretti sono miei.
Stefano Gentili

giovedì 14 marzo 2013

FRANCESCO I


«Annuntio vobis gaudium magnum:
habemus Papam!
Eminentissimum ac reverendissimum dominum,
dominum JEORGIUM MARIUM
Sanctæ Romanæ Ecclesiæ Cardinalem BERGOGLIO,
qui sibi nomen imposuit FRANCISCUM»

Wow!
Stefano Gentili

martedì 12 marzo 2013

…QUI SIBI NOMEN IMPOSUIT “FRANCESCO I”


…il quale si è imposto il nome di  Francesco I.
Ecco l’annuncio che attendo dal Conclave che eleggerà il 266 Pontefice.
Perché possa accadere una cosa simile  è necessario che i cardinali stiano “dal tetto della Cappella Sistina in su”, come ebbe a dire una volta il cardinal Dionigi Tettamanzi, e non al di sotto del tetto o negli scantinati.
Vieni, Santo Spirito manda a noi dal cielo un raggio della tua luce.
Stefano Gentili

venerdì 8 marzo 2013

GIOVANNI D’ASCENZI: AGIVA COME UN UOMO DI PENSIERO E PENSAVA COME UN UOMO DI AZIONE



Toscana Oggi Confronto mi ha chiesto un ricordo del Vecovo Giovanni D’Ascenzi, recentemente defunto.
Riporto il testo dell’intervista, fatta da Giovanni Gentili, e apparsa questa settimana sulle pagine del nostro settimanale diocesano (con qualche piccolissima variante che, probabilmente, non è entrata nello spazio del giornale) e titolata IL PENSIERO UNITO AL FARE.

Abbiamo chiesto una intervista di ricordo del Vescovo Giovanni D’Ascenzi a Stefano Gentili, di fatto uno dei laici che vi operò a più stretto contatto, in ragione della sua nomina a presidente diocesano dell’Azione Cattolica avvenuta nel 1976 e durata per tutto il periodo della sua permanenza in diocesi.

Stefano, che ricordo porti con te del Vecovo Giovanni D’Ascenzi?
Lo ricordo con un affetto ancora molto vivo. Fu Vescovo illuminato della nostra diocesi nel delicato e strategico periodo 1975-1983. Ricordo il suo ingresso il 21 dicembre 1975, in un pomeriggio piuttosto freddo e le sue prime parole sopra un palco in Piazza della Repubblica. E ricordo la sua uscita verso la diocesi di Arezzo, una mattina con appena una piccola valigia di indumenti personali, accompagnato da me e pochi altri. I saluti ufficiali (mi sembra di ricordare piuttosto freddi) li aveva ricevuti in precedenza. Eppure, nessuno come lui aveva tentato di modificare radicalmente il modo di evangelizzare della nostra Chiesa diocesana. E fu grazie a lui, alla sua intelligenza, che ci si consolidò come diocesi.

In che senso consolidò la diocesi?
In quel periodo si pose fine alle amministrazioni apostoliche, iniziate dopo la morte del Vescovo Luigi Pirelli nel 1964, e la nostra terra ebbe di nuovo un Vescovo tutto per sé. Grazie a ciò la diocesi prese consistenza territoriale - dopo aver lasciato sul campo le parrocchie di Alberese e Rispescia (11.02.1976) - dapprima, con l’inclusione delle parrocchie di S. Fiora, Bagnolo e Bagnore (28.10.1977), poi con l’aggiunta dell’Abbazia delle Tre Fontane (10.06.1981) - e specie con quest’ultima operazione - assunse una fisionomia definitiva che successivi scossoni non sono stati in grado di modificare.

Hai detto che il Vescovo D’Ascenzi cercò di modificare profondamente il modo di evangelizzare. Spiegati meglio.
Rispetto alla situazione ecclesiale piuttosto stagnate e in declino che si trovò dinanzi, Monsignor D’Ascenzi dette la sveglia e provocò una forte scossa tellurica.
Specie attraverso i Convegni di Palidoro (ma anche quelli successivi di Triana, Pitigliano, Orbetello) l’azione della nostra Chiesa fu messa a ferro e a fuoco, nel senso che tutta la sua pastorale fu sottoposta ad un vaglio molto accurato e furono individuati i passi idonei a produrre il cambiamento. Interessante sarebbe rileggere quei documenti che prevedevano una nuova mentalità, soprattutto nel clero, che in larga parte si trovò impreparato.
Si parlava di passare dalla sacramentalizzazione alla evangelizzazione, vivere una liturgia rinnovata e carica di significati, prestare attenzione al primo annuncio e ad una catechesi adeguata ai tempi (vi fu il varo del direttorio catechistico e l’organizzazione di Corsi biblici: lo ricordo uno a Triana con il famoso biblista fiorentino, Valerio Mannucci), di individuare una specifica terapia per la evangelizzazione della popolazione di campagna, allora ancora numerosa, di spingere la Chiesa a dialogare e confrontarsi con il mondo moderno alla luce della propria visione dell’uomo, dare il giusto spazio ai laici, visti in primo luogo come trasformatori del mondo. Di far passare l’idea che la dottrina sociale cristiana era parte essenziale dell’evangelizzazione (quanti momenti formativi vi furono!), creare spazi e luoghi per una elaborazione culturale di ispirazione cristiana (nel 1981 nacque il settimanale diocesano ‘Confronto’ e decollarono i Centri culturali Fortezza Orsini di Pitigliano, Tre Fontane di Orbetello e Silvio Piccolomini di Triana).
Poi di rianimare l’attività delle parrocchie e favorire l’avvio della pastorale d’ambiente, specie nel campo del lavoro e della scuola e in tal senso riorganizzare la collocazione degli stessi sacerdoti. Di valorizzare il carisma dei religiosi e delle religiose e affermare la centralità della diocesanità, piuttosto assente in quel periodo.

E i laici furono coinvolti?
Non poche di quelle azioni prevedevano il coinvolgimento diretto dei laici e delle loro organizzazioni, Azione Cattolica in primis, ma anche di categoria (maestri, insegnanti, universitari, medici, lavoratori) sia nella fase della testimonianza che in quella della elaborazione pastorale: videro la luce i primi Consigli Pastorali Diocesani, composti da molti laici, anche di provenienza, per così dire, extra-moenia. Il primo del 1977 era articolato in 20 sacerdoti, 6 suore e 27 laici, oltre al Vescovo. Per allora fu una vera rivoluzione. Ricordo non pochi volti spaesati e altri piacevolmente sorpresi. E poi, la Triana.

Cioè, vuoi dire i campi scuola diocesani.
Si, il Vescovo D’Ascenzi riuscì ad ottenere, credo in comodato d’uso, il suggestivo Castello di Triana, dove l’Azione Cattolica iniziò nel 1978 ad organizzare i campi scuola diocesani.
E quelle esperienze furono fondamentali per la fede di molti ragazzi e giovani: da quell’anno alla metà degli anni ’90 sono transitati alla Triana una media di 250 ragazzi all’anno.
Lì maturarono decisioni e impegni che condussero un bel gruppo di giovani, oggi adulti, ad acquisire perlomeno una forma mentis conciliare ed a trasferirla nei gruppi parrocchiali, allora di una certa consistenza numerica. Presero corpo vocazioni alla vita laicale adulta e trovarono spazio quelle di speciale consacrazione, come quella della segretaria diocesana del movimento studenti di azione cattolica, Franca Lacchini, poi diventata monaca di clausura.

Ho sentito dire che alcuni lo ricordano più come un vescovo politico, non nel senso partitico, ma molto orientato sul sociale. C’è del vero?
Intendiamoci, Giovanni D’Ascenzi fu in primo luogo un pastore connotato da una forte spiritualità, ma lo fu seguendo i doni che la provvidenza gli aveva concesso.
E lui, un po’ per la sua precedente esperienza nel mondo rurale (assistente ecclesiastico nazionale della Coltivatori Diretti) giunta sino al livello internazionale, un po’ per i dettami conciliari, voleva una chiesa diocesana più intraprendete, aperta al mondo, non chiusa in sacrestia e in azioni di culto sempre meno vissute.
Anche a noi giovani di azione cattolica, che pure ci trattava come figli, più volte ci rimproverò chiamandoci “quelli della chitarra”, per segnalare il rischio che la nostra fede si curvasse pericolosamente in atteggiamenti esclusivamente intimistici, allora piuttosto di moda in campo ecclesiale.
Tanto per dire della sua sensibilità, ricordo un episodio apparentemente curioso: durante la predicazione a Triana degli esercizi spirituali ai giovani, nel poco tempo libero che aveva, lo rammento con in mano con un testo di Luigi Sturzo. Sacerdote si, ma che sacerdote!

In concreto quali azioni intraprese?
Nel settembre del 1977 favorì addirittura la costituzione del Comitato Permanente per la promozione socio-culturale della montagna amiatina, alla luce della perdurante crisi economica e occupazionale di quella zona.  Nel marzo 1979 una serie di interessanti conversazioni sull’occupazione giovanile, l’Europa e di natura religiosa videro la presenza di relatori d’eccezione, come Giuseppe De Rita, Cesare Dall’Oglio, Mario I. Castellano, Pietro Pavan.

Tutte cose che ai più interni all’ambiente ecclesiastico, a iniziare dalla grande maggioranza dei sacerdoti, apparvero eccentriche nel senso di marginali, periferiche, bizzarre, rispetto al cuore dell’evangelizzazione. Ma tu pensa!
In realtà, riuscì ad aprire canali comunicativi con molte persone allora considerate extra-ecclesiam, anzi alcune contra-ecclesiam e lo fece interessandosi della vita reale della gente organizzando, tra l’altro, corsi per la viticoltura, l’agricoltura, l’arte del ferro e del legno, del restauro murario. Era un modo per riaffermare la centralità del lavoro per la dignità della persona ed un segnale alla sua Chiesa di prestarvi le dovute attenzioni. E poi chissà quanto questo suo interessamento ha favorito ripensamenti, avvicinamenti, quanto meno dubbi, nel campo della fede e della stessa chiesa.

Alcuni ricordano ancora un grande convegno di laici cattolici impegnati nel socio-politico. Che ricordi hai?
Ho il ricordo della fatica di dattiloscrivere gli opuscoli che si consegnarono e delle telefonate del Vescovo sin dalle 6,00 della mattina. Era molto mattiniero. Penso si alzasse alle 4,00.
Questo primo incontro di laici cattolici (corredato da due opuscoli dai titoli significativi: “Per una presenza attiva ed efficace della nostra Chiesa nella società” e “Missione dei laici nella Chiesa e nella società”) ebbe luce nel marzo 1982. In quella occasione  il Vescovo – dopo avere enucleato una serie di problemi della nostra zona (invecchiamento, disoccupazione-emigrazione giovanile, denatalità, distacco tra sociale e politico) – ricordava: “mio dovere è denunciare i problemi e suscitare la vostra sensibilità all’impegno serio per risolverli con spirito di servizio per amore della giustizia”. Ed invitava i laici cristiani a “conoscere bene, e perciò studiare, lo squilibrio e le distorsioni presenti nel nostro territorio, ricercarne le cause vere e profonde, così da proporre rimedi efficaci”, ad “acquisire una conoscenza adeguata della Dottrina sociale della Chiesa” ed a “lavorare uniti per una presenza efficace”.

E i cattolici impegnati seguirono quelle indicazioni?
Direi proprio di no, purtroppo.
Però, la nostra Chiesa si apriva al mondo, al sociale, alle professioni, spingeva per la creazione di cooperative giovanili, dialogava e sfidava il mondo della politica sia nella parte più istituzionale, allora egemonizzata da personale comunista e socialista, che in quello partitico con l’allora naturale riferimento alla DC sempre più in fase declinante.
Con in mano la dottrina sociale cristiana – presentata in diversi corsi o giornate di riflessione e aggiornamento - la Chiesa diocesana, specie nel suo vertice - appariva all’avanguardia anche rispetto a chi aveva fatto fino allora del progresso e dell’uguaglianza il proprio vessillo.

Qualcun altro lo rammenta come uomo del fare.
Si è vero, era un uomo che faceva, realizzava anche strutture o le restaurava. Ma tutte a servizio della comunità ecclesiale o civile, delle parrocchie, dei giovani. Basti ricordare a Pitigliano il restauro della Chiesa di San Rocco, il complesso restauro della Cattedrale improvvisamente crollata nel 1977, della canonica attigua, della Casa del Giovane, la creazione dell’Oratorio del Getsemani, il pressoché totale recupero del Cassero del Palazzo e delle altre strutture della Fortezza Orsini, il restauro dei ruderi di San Francesco. Poi il recupero e la sistemazione integrale del Castello della Triana, la ristrutturazione della casa canonica di Porto Ercole, l’acquisizione della Villa di Valentano a servizio del Seminario diocesano, il progetto (e la posa della prima pietra) della nuova Chiesa e delle opere parrocchiali del quartiere di Neghelli ad Orbetello, la ricostruzione della Chiesa di Poggioferro.
E, sia chiaro, tutte queste strutture le voleva ad opera d’arte, perché mons. D’Ascenzi aveva anche una spiccata sensibilità per il bello e il ben fatto. Alcune volte lo ricordo (e altre lo immagino) mentre rimbrottava e consigliava architetti, muratori, falegnami, fabbri perché facessero opere le più belle possibili e a prezzi contenuti o anche gratis.

Del rapporto tra Vescovo e sacerdoti cosa ricordi?
Da parte del Vescovo, per quello che potei notare, oltre all’affetto paterno di cui non posso dubitare, vi fu attenzione alle loro esigenze personali (con importanti momenti formativi) e logistiche (sistemazione di strutture parrocchiali fatiscenti), ma anche molta franchezza e potestà decisionale. Non pochi furono gli spostamenti di sede di parroci per il bene della diocesi e delle singole parrocchie. Nei documenti di Palidoro si parlava anche di un argomento delicato come quello della perequazione economica tra sacerdoti.
Azioni che ad alcuni piacquero, ma che ad altri rimasero sullo stomaco. Ma si sa, chi governa decide, chi decide sceglie, chi sceglie talora scontenta.

Insomma che bilancio faresti?
Non sono in grado di fare un bilancio, perché per molti tratti è misterioso: cosa ne so io, ad esempio, l’effetto che nel cuore delle persone hanno avuto le tante sue bellissime prediche, le sue opere di carità, i consigli e gli aiuti che elargiva. Il suo modo di porsi si muoveva tra atteggiamenti cordiali e raffinati e altri piuttosto ruvidi e schietti. Se doveva dirti che una cosa non andava bene, non lo mandava a dire e l’affetto lo dimostrava più con i fatti che con le parole.
Di lui si può dire che “agiva come un uomo di pensiero e pensava come un uomo di azione”.
Di quel frangente posso solo ricordare che l’entusiasmo fu tanto specie dai parte dei laici e della gente comune, la sorpresa per la sua azione fu enorme e le resistenze lo furono altrettanto. Non mi sorpresero quelle esterne, mi colpirono quelle interne.

Rimpianti?
No, il rimpianto non è contemplato nel vocabolario cristiano.
Io e Rossella gli abbiamo voluto molto bene e abbiamo collaborato con lui con gioia e imparando molto nel campo della fede, credo che anche lui ci abbia voluto bene: ci ha lasciato in dono, a me un rosario, a Rossella una Madonna con bambino.
Anche allora, noi giovani di Azione Cattolica, per bocca di Rossella, in un incontro di congedo al Santuario del Cerreto (nel maggio 1983) lo salutammo con le parole di Giobbe: “Così piacque al Signore, così è avvenuto: sia benedetto il nome del Signore”.
Con le stesse parole accogliemmo il suo successore.

Stefano Gentili

mercoledì 6 marzo 2013

QUEI CATTOLICI CHE STANNO CON GRILLO: IN ASCESA GLI ELETTORI CHE VANNO IN PARROCCHIA E A MESSA E VOTANO IL MOVIMENTO 5 STELLE



A completamento dei precedenti post sul voto presunto dei cattolici, inserisco un articolo tratto da Famiglia Cristiana del 5 marzo che riporta un sondaggio Ipsos.

"Anche i cattolici sono sempre più attratti dal Movimento Cinque Stelle. È quanto emerge da un'indagine Ipsos che ha mappato il voto dei cattolici recatisi alle urne il 24-25 febbraio.
È sospendente notare come ai grillini sia andato il 19,9% dei consensi di chi dice di frequentare la messa ogni domenica. Pdl e Pd sono i primi partiti col 24% dei voti; ma la formazione di Bersani fa registrare un calo di dieci punti rispetto a dicembre 2012, mentre l'emorragia che ha colpito il partito di Berlusconi e' più lenta ma costante nel tempo se si considera che dal settembre 2011 ha perso l'11% dei voti dei praticanti.
Ed è impressionante la progressione di Grillo tra l’elettorato cattolico: a settembre del 2010 raccoglieva solo il 2,3% dei consensi, valore salito al 10% a dicembre del 2012 e poi raddoppiato, appunto il 19.9%, al momento delle consultazioni.
Tutto sommato, rispetto al risultato generale, va bene per Scelta Civica di Monti che racimola l'11,8% dei voti dei cattolici 'assidui'. Udc e Fli rimangono invece al palo: solo il 3,3%, qui il travaso di preferenze verso la lista del premier è stato evidente.

Nel complesso le formazioni di centrodestra raccolgono il 34,5%, quelle di centro sinistra il 26,8%, il centro il 15,1%. È comunque preoccupante come quasi il 30% di chi contattato da Ipsos abbia deciso di non andare al seggio elettorale, e questo perché, evidentemente, non c'era alcuna lista in grado di rappresentarlo.

C'è da aggiungere che se sommiamo i cattolici impegnati, ovvero coloro che partecipano in modo assiduo alla vita delle parrocchie, e gli assidui, ovvero chi va tutte le settimane a messa, si arriva a una consistente fetta dell'elettorato di tutti i partiti.
E per la precisione al 29% di chi si è espresso a favore del Pd, al 35% di chi ha dato la propria preferenza a Berlusconi. Si piazza bene il Movimento Cinque Stelle col 25%. Ma la 'palma d'oro' va a Monti, che raccoglie il 44%.
Il politologo Alberto Gambino, professore di diritto Civile all'Università Europea di Roma, aggiunge che "oramai i cattolici votano come tutti gli altri segmenti di elettori". E visto che la campagna elettorale, aggiungiamo noi, è stata caratterizzata per nulla dai temi etici e principalmente da quelli economici, evidentemente queste sono le priorità anche per i cattolici.
Gambino rimarca il fatto che "i cattolici che sono andati alle urne hanno individuato in Grillo una possibilità per uscire dallo stallo della politica. E Grillo se davvero vuole essere un elemento di novità deve rispondere alle richieste di confrontarsi sui programmi che arrivano dai partiti", soprattutto dal centrosinistra, formazione di maggioranza alla Camera".

Così è, se vi pare.
Stefano Gentili