Avevano deciso mesi prima di darmi un calcio nel sedere
Non avevo particolari entrature nel partito egemone grossetano, il PDS, poi DS, anche se avevo avuto buoni rapporti con Palmiero Ferretti, sostituito nel 1998 dall’ingraiano-dalemiano Fabio Capitani, ma amici che mi informavano sì. Seppi, già dal settembre 1998, che il nuovo gruppo dirigente insediatosi nel gennaio, lavorava alacremente per darmi un calcio nel sedere, alla ricerca di “equilibri più avanzati” (ma de che) con Rifondazione Comunista. Anche se farisaicamente riconfermavano “la scelta strategica dell’Ulivo”, di cui Rifondazione non faceva parte. Il Dna della doppiezza non li ha mai abbandonati. Ma nessuno si fece avanti con me, magari per motivare l’inversione di rotta. Dopo tutto, il no a Rifondazione nel secondo turno del 1995 lo detti in piena sintonia con il segretario dei DS di allora e degli altri componenti la coalizione. E gli stracci volavano non con me, ma tra diessini e rifondaioli grossetani.
Ne ebbi un primo chiaro segnale nelle fucilate retoriche di Barbetti,
di cui ho già parlato, come pure un’indiretta conferma nei componenti il comitato politico dei DS, dopo gli Stati Generali dei primi di dicembre del 1998 (vedere Il Tirreno del 5.12.1998). A parte alcune donne e qualche altro, il resto mi considerava un avversario. È strano, ma è così e sarebbe interessante sapere il perché. La terza indicazione provenne, il 25 gennaio 1999, dalla mia nomina a Commissario straordinario del Parco della Maremma, un luogo dove ritenevano potessi solo fallire, inimicarmi ancor più i rosso-verdi rifondaioli e dove ero stato spedito – per dirla con Luciano Salvatore – “a meditare sui miei errori”. Pubblicamente, in verità, dicevano altre cose, parlavano bene, specie dopo la storica firma del Patto Territoriale per lo sviluppo della Maremma grossetana. Lodavano la nostra azione, cercando di accaparrarsene il merito, pur non avendo fatto nulla per aiutarci (a parte, in alcuni casi, l’azione istituzionale di Tattarini e Ginanneschi). Ma avevano già deciso la defenestrazione.
Pur essendo a conoscenza di tutto questo, provai a prendere al volo l’idea delle primarie che vagheggiava nell’aria e nei quotidiani. Così potevamo vedere se il popolo del centro-sinistra mi rifiutava e preferiva altri candidati, come, ad esempio l’avvocato Giuseppe Andreini gettato sull’arena anche con poco garbo o Lio Scheggi, di cui si vociferava, ma anche Lamberto Ciani o qualche giovane promettente dei DS.
Queste mie riflessioni le consegnai a Giancarlo Capecchi in un’intervista che mi fece il 22 febbraio 1999, rintracciabile ne La Nazione del giorno successivo.
Le riporto per dire con trasparenza quale era il mio pensiero di allora.
“C. – Gentili, allora è un candidato di bandiera? Ma quale candidato di bandiera. Attualmente sono il presidente di un’amministrazione sorretta da una maggioranza composta da Ds, Ppi, socialisti e Pri.
C. – Ma l’ha riproposta il Ppi? E li ringrazio per la stima. Credo che il ragionamento del Ppi (di cui faccio parte) sia elementare: giudizio sul lavoro svolto dalla provincia positivo, i risultati sono sotto gli occhi di tutti, perché quindi cambiare o addirittura azzerare?
C. – Si, ma la prossima alleanza di centrosinistra dovrebbe essere più larga e non tutti sembrano pensarla allo stesso modo, anche tra i vecchi alleati. È vero. Ed allora si faccia chiarezza. La nostra esperienza ha rappresentato un autentico cambiamento. Ora qualcuno sembra volerlo archiviare. Perché? Se è questo che si vuole lo si dica chiaramente e si propongano candidature alternative.
C. – Ma lei si è autocandidato? No. A commento di una considerazione fatta dal sindaco Brozzi che si augurava di avere in futuro la stessa collaborazione avuta finora, ho risposto che l’unica via sicura era quella di avere per il futuro amministratori con la stessa sensibilità.
C. – Ma accetta la candidatura? Si, ma non a tutte le condizioni.
C. – Cioè a quali? Che si privilegi il bene comune a quello personale o di parte. Si continui quindi sulla via della moralizzazione, dell’innovazione, si rispetti l’istituzione posizionandola correttamente tra forze politiche e cittadini. Che si lavori con dedizione ai problemi della nostra gente, a valorizzare le risorse del territorio e si presti attenzione a tutte le aree della provincia.
C. – Onestamente presidente, è soddisfatto del suo lavoro? Di me stesso non lo sono mai, ma del lavoro svolto in questa legislatura dalla provincia direi di sì. Il programma elettorale del ‘95 è stato ampiamente realizzato, anzi, siamo andati ben oltre.
C. – E cosa vuol ricordare? Una Piano Territoriale capace di coniugare tutela e sviluppo, la grande prospettiva del Distretto Rurale d’Europa, le opportunità di sviluppo e lavoro legate al Patto Territoriale, il cambiamento introdotto nella Formazione Professionale. Poi la delicata azione sul Dimensionamento scolastico, le opere realizzate per l’edilizia scolastica, il recupero dei beni culturali, gli interventi sulla viabilità, il decollo dell’aeroporto, il risanamento della Rama. E, poi, all’interno dell’ente, la scelta della comunicazione e della trasparenza come nuovi spazi di democrazia. Tutto per mantenere fede all’impegno di organizzare una Provincia amica.
C. – Tutto bene allora? No, sarebbe sciocco pensarlo. Abbiamo commesso errori e la soluzione di alcuni problemi è ancora aperta. Il contributo leale e disinteressato che può venire da alcuni nuovi amici potrebbe essere, proprio per questo, utile.
C. – E delle primarie, presidente, cosa pensa? Che sono un’iniziativa di straordinaria importanza. Se ben fatte, dotate di opportune garanzie e controlli, veramente aperte ai cittadini e non solo preda dei soliti noti. Se la coalizione avrà il coraggio e l’intelligenza di metterle in piedi, offrirà ai cittadini un segnale di straordinaria rilevanza.
C. – E lei si sottoporrà al rischio delle primarie? Certamente, competition is competition”.
Indovinate un po’ se il convitato di pietra organizzò le primarie?
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