giovedì 28 maggio 2020

POST 12 – ALLA RICERCA DELLA PERLA PREZIOSA DELL’AC NELLA FASE DELLO SMARRIMENTO ECCLESIALE

La riscoperta dell’autentica vocazione associativa, le diffidenze ecclesiali, il Vaticano II, il rapporto con la politica e il partito d’ispirazione cristiana

Per 3 trienni ebbi la responsabilità di guidare l’azione cattolica diocesana come presidente: 1977-1980; 1980-1983; 1983-1986. Ammetto che il terzo triennio non avrei voluto farlo, ma le cose presero una piega diversa dalle mie intenzioni. Come già detto, furono anni esaltanti e faticosi. Personalmente ho ricevuto molto di più di quello che sono riuscito a dare: ho incontrato belle persone sia tra i laici che tra i sacerdoti e le religiose. Ed anche se quella che provo a riannodare è la mia storia, per come la ricordo, non posso in questo caso non intrecciarla con alcune delle persone con le quali ho avuto la ventura di viverla.
Il primo triennio si aprì con la III Assemblea diocesana tenuta in seminario a Pitigliano il 15 maggio 1977. Di quell’assise non ricordo nulla, solo che mi trovai eletto nel Consiglio diocesano insieme ad altri 18 membri, che il 18 giugno provvide ad eleggere i responsabili di settore e ad individuare la terna per la scelta del presidente diocesano da sottoporre al Vescovo Giovanni D’Ascenzi. Scelta che il vescovo, tramite il vicario generale Mons. Giglio Mastacchini (gran bella persona), mi comunicò il 1 dicembre di quello stesso anno. Avevo appena compiuto 20 anni: misi le mani nei capelli e i ginocchi mi si piegarono. Nonostante lo shock, bisognava iniziare a lavorare. I collaboratori più stretti scelti nel consiglio diocesano furono, in campo ecclesiastico, gli assistenti don Girolamo Vagaggini (generale), don Giorgio Gubernari (adulti), don Lido Lodolini (giovani), don Mario Amati (ragazzi); sul fronte dei laici, Alido Ronca e Sascia Bergamo vice-presidenti adulti, Roberto Dainelli, Lucio Luzzetti e Michela Dei Bardi vice-presidenti giovani, Antonio Magliulo, Maddalena Ronca e Lorella Dainelli rappresentanti ACR. Nella prima presidenza nominai Valeria Elmi segretaria diocesana.
E così partì l’avventura.
Ovviamente non c’eravamo solo noi del centro diocesano, ma provvidenzialmente anche le associazioni parrocchiali, a quel tempo guidate da ottimi presidenti. Associazioni parrocchiali non più fiorenti come prima del 1969, ma alcune sempre di una certa consistenza, altre tenaci nel non far spegnere il lumignolo fumigante. In un report delle adesioni 1979/80 si comprendeva chiaramente che l’acquisizione dell’Abbazia delle Tre Fontane – prima con la diocesi di Grosseto – ci aveva portato in dote un bel numero di nuovi aderenti, ben 475 su 1182. Rileggendolo anche nelle pagine successive, nelle quali sono riportati nel dettaglio i nomi, parrocchia per parrocchia, di tutte le persone entrate, uscite o passate di settore, rammento quanta attenzione riservavamo alle persone. E chiedevamo ai responsabili parrocchiali di interessarsi di loro: degli usciti per comprendere cosa non era andato, degli entrati per registrare cosa li aveva motivati, di coloro che passavano da un’articolazione all’altra per stare attenti all’evoluzione e alla loro vocazione; ad anche degli altri, naturalmente. I moduli di adesione, per me, non hanno mai rappresentato un adempimento burocratico. Spesso leggevo i nomi e pregavo per loro, per le persone che meglio conoscevo ringraziavo Dio della loro opera e qualche volta mi rifugiavo nella sesta opera di misericordia spirituale.
In questo primo triennio mettemmo non poca carne al fuoco, a parte i campi scuola di cui ho già parlato. Un po’ per mancanza di esperienza e un po’ per una conoscenza superficiale dell’associazione frequentai molto gli appuntamenti nazionali e regionali e spinsi gli altri responsabili a fare altrettanto. Questo ci servì molto e ci aiutò a concentrare l’attenzione nel compito associativo diocesano che ritenevamo più urgente e che ho già citato: scoprire o riscoprire il proprium dell’Azione Cattolica. Infatti, l’esercito dei 707 aderenti era un po’ particolare. Ferma restando la presenza di persone veramente sante e magari il desiderio di molti se non di tutti di diventarlo, dopo una prima fase di conoscenza, ci rendemmo conto che la stragrande maggioranza del corpo associativo non sentiva di vivere un’esperienza vocazionale. Molti anziani rinnovavano il segno di adesione per tradizione, i giovani all’inizio erano pochi e in seguito pescati quasi esclusivamente dai campi scuola. I ragazzi andavano e venivano senza troppo sostare, specie dopo i sacramenti. L’attività formativa soprattutto degli adulti era un po’ datata nella modalità. Raramente veniva avanzata con convinzione la proposta di venire a far parte della nostra compagnia, della quale non si riusciva a intravedere l’originalità e la bellezza.
I preti anziani ci guardavano con gli occhi rivolti al passato, quelli giovani ci vedevano poco. 
Si era già iniziato a dire che il battesimo bastava e avanzava e alle comunità ecclesiali serviva solo essere organizzate attorno ad un parroco efficiente e animate da presenze laicali disponibili. Non serviva altro: niente AC, niente laicato associato.
Purtroppo questa autentica cretinata in seguito si è addirittura rafforzata e ancora oggi è viva e vegeta. Dico la verità: quella debolezza non ci impensieriva; anzi, ci dava la possibilità di comprendere che poco del bene e del Regno dipendeva da noi. Ci spettava solo far dimorare in noi la potenza di Cristo, come aveva detto Paolo, l’apostolo: “quando sono debole, è allora che sono forte”.
Naturalmente dovevamo fare la nostra parte e ci impegnammo ad attivare scuole associative, incontri zonali, tre giorni parrocchiali, singoli incontri dedicati alla specificità dell’Azione Cattolica, alla sua vocazione. Ed anche a veicolare il Concilio Vaticano II, il suo spirito, i suoi documenti ad iniziare da quelli che ridisegnavano la chiesa e indicavano un nuovo modo di rapportarsi col mondo. Provammo a far nostra ed a trasmettere la novità della scelta religiosa, che i vertici nazionali dell’AC e quelli della Conferenza episcopale italiana avevano fatto, spinti dal grande Paolo VI. Ed anche questa impresa fu difficile specie tra gli adulti, storicamente abituati ad un’associazione ancora molto geddiana e quindi propensa in certi momenti a trasformarsi in comitato civico. E che facciamo, ci dicevano, ci ritiriamo in convento? Abbandoniamo il partito d’ispirazione cristiana? Lasciamo spazio ai laicisti ed ai comunisti?
Per la verità alcuni adulti (pochi) accolsero con senso di liberazione la nuova linea, che piaceva soprattutto ai giovani: una Chiesa e un’AC libere da tutte le compromissioni mondane.
Quest’ultima novità, propria dell’associazione dal 1969, anche a seguito delle decisioni prese dalla I Assemblea Nazionale del 1971, definiva con chiarezza i confini che l’Azione Cattolica e i suoi primi responsabili dovevano avere ben chiari nei rapporti specialmente col mondo della politica. Ne fa fede una lettera riservata che il presidente nazionale Mario Agnes inviò ai presidenti diocesani d’Italia il 5 maggio 1979 (un mese prima delle elezioni politiche del 3 giugno) nella quale si diceva: “gli aderenti candidati a cariche politiche ed amministrative lascino eventuali incarichi associativi a qualunque livello essi si riferiscano, ferma restando la loro appartenenza all’Associazione in qualità di soci”.
Per me fu la conferma di quello che avevamo pensato e fatto sin dall’inizio della nostra esperienza, che del resto ci era già stato segnalato. L’AC era un’associazione ecclesiale a tal punto unita alla Chiesa locale e al suo Vescovo che, nel nuovo quadro post-conciliare, non poteva essere di parte in sede politico-partitica. Personalmente, nei lunghi 9 anni di presidente, per scelta, non ho mai avuto relazioni politiche con la Democrazia Cristiana, né con gli altri partiti politici. Fatti salvi i rapporti di amicizia e istituzionali che anzi erano doverosi, simpatici e quasi sempre sereni. Come AC diocesana definimmo i nostri compiti associativi con maggior dettaglio in un documento del 2 febbraio 1982 dal titolo: “L’Azione Cattolica: specificità, ruoli e responsabilità nell’ambito ecclesiale, sociale e della politica”.
Un bel manualetto, che varrebbe la pena rileggere.

mercoledì 27 maggio 2020

POST 4 – IL PRIMO INCONTRO CON L’AC POST-CONCILIARE

Tempi forti, grazie a belle persone

La giovinezza inizia con sulle spalle la Presidenza diocesana dell’Azione Cattolica, nella quale fui letteralmente scaraventato da quell’imprudente di don Giorgio Gubernari nel 1977. Esperienza che durerà per 9 esaltanti anni (con tanti amici che sarebbe lungo elencare), tre dei quali anche come Consigliere nazionale della stessa associazione in un periodo piuttosto turbolento ma di grande spessore.
Era il decennio di fuoco 1976-1986, tra la presidenza di Mario Agnes e quella di Alberto Monticone, degli assistenti vescovi, Giuseppe Costanzo e Fiorino Tagliaferri, dei responsabili Acr, Dino Boffo (poi anche segretario), Piero Chinellato, Antonio Tombolini, delle giovani Maria Teresa Vaccari, Maria Grazia Tibaldi, Annalisa Aicardi, dei giovani Paolo Nepi, Umberto Folena (anche del Msac), Pasquale Straziota, del fucino Giorgio Tonini, degli adulti Paola Bignardi, Agostino Moscatelli, Marisa Biancardi, Rosy Bindi (prima giovane, poi adulta). Ma ricordo anche Luigi Maffezzoli, don Giuseppe Valensisi del Msac, don Marcello Brunini collaboratore dell’Acr, Ernesto Preziosi.
Tempi forti.

martedì 26 maggio 2020

LA NOSTRA ALTERNATIVA CRISTIANA

Nel 1974 o ’75 quando, insieme ad altri giovani amici, porto il baldacchino durante la processione del Corpus Domini non è ancora iniziata la trasformazione, ma qualcosa sta accadendo.
Sta maturando in alcuni di noi una consapevolezza nuova grazie ad esperienze forti che ci viene data l’opportunità di vivere e che ci pongono dinanzi alla Parola di Gesù e dei Profeti dell’Antico testamento in modo dirompente.
Tutto questo oscillare all'ombra della Parola è fuoco per la nostra paglia di adolescenti, il Vangelo ci appare esplosivo e non oppio dei popoli, come aveva detto il barbuto. Veniamo spinti a vivere l’esperienza del vangelo in modo radicale. L’esperienza dei campi scuola diocesani che facciamo decollare dal 1977 (a Faltona) e dal 1978 a Triana, sta a segnalare la svolta.
E quella è la nostra alternativa personale e comunitaria che si pone quasi come una sfida all'altra alternativa, quella del sessantottismo. È l’alternativa di giovani impegnati nell'annuncio del Vangelo, nella vita di gruppo alla Casa del Giovane, aperta a tutti ma secondo un certo stile, nell'educazione dei ragazzi, in scelte anticonsumistiche e impegni di solidarietà.
Naturalmente siamo giovani e tutti i modi sono buoni per divertirci.
L’azione cattolica si prende 9 anni della mia vita e prende anche quella di altri giovani, adulti e ragazzi. Diamo una bella spinta all’associazione diocesana, grazie alla disponibilità di tanti giovani: facciamo nostra la rivoluzione dell’ACR, il settore giovani inizia a galoppare e macinare iniziative (specie campi-scuola diocesani), nasce il Movimento studenti di AC.
Precisiamo la nostra distinzione dalla politica, soprattutto dalla DC e vi rimaniamo fedeli.
Per me fondamentale è la conoscenza e la sintonia con il segretario nazionale Dino Boffo, che nel 1980 partecipa alla nostra assemblea diocesana, come pure l’esperienza nel consiglio nazionale di AC che mi permette di incontrare tante belle persone e di vivere la principale battaglia del mondo cattolico del periodo: quella tra la scelta religiosa e la scelta sociale.
Nel frattempo partecipo alla vita della Chiesa diocesana, rivoluzionata dal Vescovo Giovanni D’Ascenzi. Quella straordinaria esperienza si chiude a febbraio del 1986 e altri prendono in mano l’associazione.

sabato 23 maggio 2020

DA SAMBA PA TI AL MAESTRO

Il ’68 da noi arriva poco e tardi. Un po' ci rimbalza addosso nella prima metà degli anni ’70, quelli nei quali l’abbigliamento diventa scelta politica. I giovani di sinistra con jeans sdruciti, occhiali da poche lire, camicioni e maglioni fuori taglia, borse a tracolla in cuoio naturale e l’eskimo; i paninari, ossia i giovani di destra, vestono invece i jeans di marca, i Ray-Ban, le Timberland.
Mentre a livello nazionale l’esperienza del centro-sinistra mostra i propri limiti, nascono le regioni e la Giunta provinciale grossetana è in mano al socialista Luciano Giorgi, l’amministrazione comunale di Pitigliano è invece tornata di nuovo in al comunista Luigi Niccolucci, dopo la decennale esperienza del democristiano Giovanni Cini.
Intanto Santana, con Samba Pa Ti, ci conquista e ci spinge ad organizzare piccoli club dove destreggiarsi nei primi balli del mattone; Giuseppe Foschetti è un promettente ciclista, il Morino sceglie ancora la ginestra.
Ed io? Io inizio le scuole superiori, gioco nell’Aurora Pitigliano giovanissimi (nella prima foto immortalati in un prorompente attacco io, Renzo Formiconi e Giuseppe Moretti) e prima squadra, incontro straordinarie persone nella comunità ecclesiale e si accende la prima grande luce della mia vita. Improvvisamente, stupendamente. Le foto di questo periodo sono nel link: https://drive.google.com/drive/u/1/folders/1fuR5O8e-tQuwToLEqvoGXp9Hfk4iIzrR

Post 3 – I movimenti adolescenziali
Le prime turbolenze e l’incontro con il Maestro.
L’adolescenza vera e propria è stata piuttosto movimentata (e non perché nell’anno di passaggio – 1969 – l’uomo era addirittura salito sulla luna) perché ero molto sulla strada e sul motorino, dietro le ragazze e spesso a ballare (per lo più alla Serenella a Manciano), tanto che nel primo anno di Ragioneria (1971/72) ci lasciai le penne. Sentii molto quella bocciatura (allora si diceva così), anche se ostentavo indifferenza. La cosa mi servì e nel 1977 ottenni il diploma in Ragioneria al mitico (si fa per dire: in zona c’era solo quello) Istituto Tecnico Commerciale e per Geometri F. Zuccarelli di Pitigliano con la valutazione di 50/60 e con un legame di amicizia duraturo con i compagni di classe. Ho dunque trascorso gli anni da teenager durante i travagliati ed esaltanti anni ’70, con le loro utopie, i sogni, le illusioni, gli scontri ideologici, le stupidaggini.
Ne sono uscito trasformato grazie alle esperienze fatte con la comunità ecclesiale: campi scuola, esercizi spirituali, esperienze forti, incontri con testimoni della fede e dell’amore; spesso sacerdoti: don Leopoldo, don Lido, don Giorgio, don Icilio, don Fosco, don Angelo; ma anche molti laici, giovani e adulti. Che gioia. Che emozioni forti. Che desiderio di rispondere con l’amore all’Amore.  Forte come in quel periodo la vicinanza divina non ho più avuto occasione di sentirla.
Fu la prima grande luce della mia vita: quella dell’incontro con il Maestro e redentore. Un incontro personale che – per dirla con Papa Francesco – toccò il mio cuore e dette un senso e un indirizzo nuovo alla mia vita.  Di quelle esperienze abbiamo riportato un’eco nella lettera di saluto che, insieme a Rossella, scrivemmo nel 2001, per i 50 anni di ordinazione sacerdotale di don Icilio Rossi.
Praticavo anche il calcio nell’Aurora Pitigliano ed anche se me ne sono dimenticato ancora oggi alcuni dicono che ero niente male. Ma dopo pochi anni appesi gli scarpini al mitico chiodo: dovetti scegliere tra il pallone e le altre attività.

Post 6 – Le scuole superiori
Tempo di partecipazione e lotta dura. Le assemblee studentesche e gli scioperi, tra fascisti e comunisti. La classe.
Quello delle Superiori fu un periodo assai intenso, specie negli anni dal 1975 al 1977.
Era il periodo dei cosiddetti decreti delegati, sei leggi emanate tra il luglio ’73 e il maggio ’74, che segnarono profondamente la scuola italiana istituendo gli organi collegiali, i distretti scolastici, garantendo il diritto di assemblea, la libertà d’insegnamento, le libertà sindacali per tutto il personale della scuola.
La partecipazione entrò a scuola e con essa la politica, quella buona e quella meno.
Per noi i decreti volevano dire assemblee ed in secondo luogo elezioni, conditi da una sorta di sessantottismo giunto a Pitigliano con un certo ritardo.
Da una parte c’erano quelli di sinistra, egemonizzati dall’organizzato PCI, che a tutti i livelli orientava, offriva materiale precotto e collocava giovani, docenti, bidelli (così si chiamavano allora) e genitori nelle liste per le elezioni. Nella scuola di Pitigliano durante il periodo di mia frequentazione tra le teste intellettualmente più rilevanti ricordo Umberto, un po’ più grande di me e Ettore che frequentava la mia stessa classe. Da quest’altra parte c’eravamo noi. Noi chi? L’area cattolica e tutti coloro che si richiamavano al partito politico della Democrazia Cristiana. Ed anche qualcuno un po’ più destro.
Gli scontri assembleari con i due sinistri citati, specie con Ettore, li conducevo io, poi nel ’76 c’era anche Antonio e pochi altri. Ricordo assemblee infuocate con tifi da stadio, da una parte e dall’altra. Non rammento con esattezza gli argomenti su cui ci si infervorava tanto. Ma presumo che fossero più di carattere nazionale e talvolta mondiale, piuttosto che locali. Qualche volta ci si interessava anche dei problemi e delle cose che secondo noi non andavano in istituto. Ma per lo più ci si occupava del mondo.
Inoltre iniziammo a scioperare, scioperare, scioperare; scioperammo anche per qualche fatto che riguardava il lontano Bangladesh. Tanto per dire che ogni occasione era buona.

Di presidi ricordo il professor Alfonso Guida, poi un non-vedente assistito da un giovane obiettore di coscienza, l’avvocato Giovanni Cini e il professore Alberto Conti. (la seconda foto è del 1971 e riconosco da destra a sinistra i professori don Giorgio Gubernari, Claudio Predella, Alberto Conti, Giovanni Stefani, il preside Alfonso Guida con il cappello marrone, il professor Giovanni Cini).
Il primo era proprio un personaggio dell’epoca precedente e, poveretto, dovette molto soffrire: si trovava in una scuola che non riconosceva più e che non lo riconosceva più. Nel cassetto della memoria di tanto in tanto fa capolino il primo sciopero studentesco dell’Istituto Zuccarelli (1972-1973): ho ancora in mente lo svuotarsi delle classi, gli studenti lungo le scale diretti verso l’adiacente campo sportivo (la palestra non era stata ancora costruita). E poi gli slogan anche contro il preside, del tipo, mi pare: “Guida, Guida, vaf…” che, ammetto, mi sembravano di cattivo gusto.

Noi non sempre scioperavamo, per questo alcuni ci gridavano fascisti e rispondevamo a tono con “rossa o nera è sempre dittatura”. Gli slogan fioccavano in quel tempo. Ne ricordo uno, scritto su un muro a Marina di Montalto di Castro nel 1977, l’estate del mio diploma e del tormentone canoro Ti amo di Umberto Tozzi: “cloro al clero, uranio alla Dc, piombo tetraetile all’Msi”.
Insomma, era guerra. Ideale per qualcuno, ideologica per altri. La maggior parte degli studenti comunque si accodava all’una o all’altra parte. La partecipazione alle elezioni per gli organi collegiali scolastici, di distretto e provinciali era altissima, spinta com’era dalle sezioni partitiche, dove di norma venivano compilate le liste. Noi, per quelle d’istituto, eravamo autonomi anche dalla Dc.
Certamente fu un periodo turbolento, con qualche eccesso e c’era anche chi voleva solo fare casino, ma fu un tempo positivo, di partecipazione (anche se abbastanza spinta dall’esterno), di desideri sinceri di cambiamento, specie del mondo. E gli studenti con i quali baccagliavo, sono diventati nel tempo amici.
Bella fu anche l’esperienza che feci con la classe, tanto che non abbiamo mai smesso di ritrovarci a cadenze piuttosto periodiche (la terza foto ritrae buona parte della classe nel 2017, a 40 anni dal diploma), prendendo atto degli inevitabili cambiamenti fisici ma anche sentendoci confortati dal legame che continua ancora ad unirci, anche con qualcuno che è già volato in cielo.

martedì 19 maggio 2020

BOOM. LA PRIMA FANCIULLEZZA

Quando nasco, il 28 luglio 1957, siamo nella fase finale del centrismo degasperiano, è da poco nata la comunità economica europea e l’anno prima la rivolta ungherese era stata repressa dall’armata sovietica. Da appena 5 mesi era nato Carosello, il bacio della buona notte. La Provincia è governata dal socialista Mario Ferri e il comune di Pitigliano guidato dal socialista Placido Seccarecci.
Pitigliano non è certo bella come oggi; gli uomini fanno prevalentemente i campagnoli (come il nonno Tore), o gli artigiani (come Assunto il sellaio), le donne di tutto un po'.
Nasco da due immigrati, Ezio proveniente da Sarnano e Ele da Manciano. Di loro potrei dire tanto, ma voglio solo segnalare la mia mamma che con la quinta elementare mette in piedi un’impresa artigiana che darà lavoro a diverse ragazze tra gli anni ’60 e ’70.
Io cresco e faccio l’equilibrista, il risparmiatore, il cacciatore, il tenebroso, l’artista, festeggio i compleanni a casa, vivo con i miei genitori e gli zii Claudio e Pierino (le foto sono su https://drive.google.com/drive/u/1/folders/1MqW8OTYZAY2o3F7Dm4nB0r-pq7UXBH8s).
Nella prima elementare faccio conoscenza con altri 23 baldanzosi fanciulli e la Maestra Sargentini, rimasta nel mio cuore. Il maestro Manzi alfabetizza l’Italia grazie alla televisione, nata pochi anni prima (1954), viene inaugurato il centro-sinistra, Gianni Morandi canta del ragazzo che ama i Beatles e i Rolling Stones (1966), parte la Beat Generation italiana e fanno la loro comparsa gli Hippies, che con il look un po' straccione vogliono rappresentare l’anti-moda e simboleggiare la libertà. Nel 1966, ricevo la Prima Comunione, festeggiata al ristorante “La Grotta Azzurra” di mio zio Nazareno (detto culone) e quasi tutti i parenti più cari. Gioco, con gli amici di sotto l’arco, nella Cantinella, sotto le ripe, al Prochio e Poggio Strozzoni. E ne facciamo di tutti i colori.
Seguono i primi due post del mio libro, Il bianco di Pitigliano.

post 1 - Boom. Il 28 luglio 1957

Ezio ed Ele.
Quando sono nato (il 28 luglio 1957 a Pitigliano) stava appena decollando il boom economico, ma i ricordi dei nostri vecchi sono più legati al grande freddo del 1956. Sono nato da una famiglia di lavoratori: mio babbo Ezio, industriale boschivo, mia mamma Ele Brinzaglia, artigiana maglierista. Sono ancora parte di me.
post 2 - La prima fanciullezza
Quelle persone e quei luoghi li ho sempre nel cuore.
Della fanciullezza ricordo gli zii Orlanda e Nazareno e la nonna Rosetta (che non era nonna, però mi coccolava tanto), gli amici, i compleanni, alcuni luoghi (la cantinella, il torrente Prochio, via Santa Chiara, le ripe), la famiglia di mia mamma con la nonna Quinta, quella più numerosa di mio babbo (il quarto di otto fratelli) con la nonna Alberinda e il luogo della loro provenienza (Sarnano in provincia di Macerata, nelle Marche). Ricordo un cane di mio zio Claudio (Lia) a cui ero molto affezionato, i compagni di scuola e la maestra Sargentini. (nella foto del pranzo della mia prima comunione, 1966, consumata nella trattoria dei miei zii Orlanda e Nazareno alla Grotta Azzurra di Pitigliano sono presenti, da destra a sinistra: in fondo: Marina, Umberto, la zia Evia sorella di mia mamma, lo zio Claudio Gentili, la zia Enia, la nonna Alberinda, lo zio Ottavio Gentili, io che taglio la torta, la mia mamma Ele, il mio babbo Ezio, una coppia che non ricordo chi fosse; nella seconda fila Rosanna, la zia Orlanda, la nonna Quinta seduta; ancora avanti la moglie di Umberto e sua sorella, mia cugina Linda Gentili, mia cugina Claudia Zacchei, Lello Iannone marito di Rosanna).

martedì 12 maggio 2020

PERCHÉ A 60 ANNI SCRIVO UN LIBRO, “IL BIANCO DI PITIGLIANO”


Perché a 60 anni si fanno queste cose un po’ patetiche con la testa rivolta al passato? Non oso rispondere. Eppure è sorta in me prepotente la voglia di guardarmi indietro, per provare a comprendere se la mia è stata una esistenza random oppure ha meritato almeno la dignità di un indice. Poi perché, giunto in quella zona che gli alpini definiscono dalle altitudini troppo elevate, volevo raccontarmi ai miei figli.
Solo per questo, dapprima brevemente nel 2003 sul mio blog, poi diffusamente dal 22 novembre 2013 al 1 aprile 2017 sul mio profilo Fb, ho scritto 100 post. E lì sono stati inghiottiti dalla quotidiana bulimia di parole. Da un po’ di tempo alcuni amici hanno iniziato a sollecitarmi perché riportassi quei post su carta. Ho resistito, dubitato, poi ho ceduto. Ho sentito l’odore del libro e ho sperato che potesse emanare il mio profumo, quell’accessorio indimenticabile che – per dirla con Coco Chanel – “preannuncia il tuo arrivo e prolunga la tua partenza”.
Ho usato Fb in modo improprio. Laddove bisogna essere fulminei, mi sono dilungato e sono uscite fuori 144 mila parole. Tante. Ma il ritrovamento di lettere, foto, scritti, appunti, bigliettini sepolti in soffitta ha avuto in me lo stesso effetto della madeleine di M. Proust. Straordinariamente si sono riaffacciate sensazioni, situazioni, persone, ansie, speranze, gioie, dolori, difficoltà del passato ed era come se le rivivessi.
Confesso di essermi sforzato di raccontare quelle vicende con onestà intellettuale, ma quello che ho scritto è il mio punto di vista intrecciato con fatti, situazioni, persone che sono transitati nella mia vita. Dopo tutto “la memoria è una cosa complicata: è imparentata con la verità, ma non è la sua gemella” (B. Kingsolver).
100 post non esauriscono la mia vita, né contengono tutte le sue sfumature e increspature. Una parte li ho scritti di getto, un’altra dopo attenta meditazione. Alcuni sono stati brevissimi, altri molto lunghi. Ce n’è per tutti i gusti. La sproporzione tra il numero di post dedicati al mio impegno in Provincia (dal 34 al 96) e tutto il resto, è dovuta al fatto che li ho utilizzati anche per raccontare un pezzo di quello straordinario periodo nel quale mettemmo in campo strategie di sviluppo, progetti originali, ingenti risorse, realizzando tante opere. Sembrerà strano, ma – come dico nel post 92 – la Provincia è entrata dentro di me “perché ho notato le sue straordinarie potenzialità e le ho consegnato tutto il mio tempo” sottraendolo alla famiglia.
Se c’è una cosa che ho notato, è che sono stato quasi sempre chiamato ad impegnarmi in situazioni di emergenza, ecclesiale, sociale, politica, amministrativa. Una specie di testa di cuoio. Come pure, ho intravisto far capolino la Lumachella de la vanagloria di Trilussa – quella “ch’era strisciata sopra un obelisco”, e che “guardò la bava e disse: Già capisco che lascerò un’impronta ne la Storia” – e ho illuso me stesso al punto da immaginarmi decisivo, importante, solenne in tante cose dette e fatte. Me ne scuso. Spero si possa intravedere anche la riconoscenza che nutro verso tutte le persone che ho incontrato, da molte delle quali ho ricevuto affetto, simpatia, esperienza, competenza, rimproveri, punti di vista diversi per vedere e giudicare le cose. Le persone sono come le vetrate, dice Elisabeth Kübler-Ross: alcune hanno brillato solo con il sole, altre hanno rivelato la loro bellezza anche nell’oscurità, perché avevano la luce dentro. Quest’ultime le ho impresse nel cuore.
Naturalmente la vita è molto di più di quanto si possa immaginare o scrivere; è un mistero, quindi non riducibile a definizioni. Però, se dovessi definirla con un aggettivo, userei “sorprendente”. Mi ha sempre preso in contropiede, conducendomi là dove non immaginavo di andare o dove non volevo proprio recarmi.
La sorpresa più grande e quella più bella si sono unite allo stupore: la prima è stata l’incontro con Gesù, la seconda sono stati Rossella, Giovanni, Lucia e Samuele.
Dopo quanto detto il titolo più adatto per questa raccolta di post sarebbe “La vita che sorprende”. E infatti la prima ipotesi è stata quella. Poi ha preso il sopravvento il desiderio di essere un po’ ironici con se stessi e la propria vita: ecco allora che è nato “Il ‘bianco’ di Pitigliano”.
Titolo che non si riferisce al buon vino dei nostri colli, ma alla mia caratteristica somatica, i capelli, brizzolati sin da giovane, poi sempre più bianchi, come pure alla mia identità territoriale: mi sento cittadino del mondo e, nello stesso tempo, radicato nello scoglio di Pitigliano, che continua ad affascinarmi per la struggente bellezza del suo panorama. Del buon vino mi piacerebbe sprigionare i profumi floreale e fruttato che a me piacciono molto.