Il primo ricordo nitido che ho di Don Giorgio Gubernari risale al giugno 1972 quando, dopo la mia bocciatura al primo ragioneria, venne dalla mia mamma per convincerla a farmi andare al campo scuola di Carbonin.
Apparentemente
banale, fu forse l’evento-svolta della mia adolescenza, che mi fece lasciare
una vita disordinata e incamminare sulla strada del Maestro. Ecco chi è stato
don Giorgio per me: l’artefice umano della inversione di rotta. Per questo l’ho
sempre tenuto stretto al mio cuore.
Nato a Sorano il
4 aprile 1929, ordinato in Cattedrale il 18 luglio 1954 dal Vescovo Pierluigi
Vanni, nello stesso anno diviene parroco di S. Maria Assunta in Pitigliano e
vice-rettore del Seminario. Vi rimarrà sino al 1965, quando passerà alla Cattedrale
dei Santi Pietro e Paolo e vi resterà sino al 1977. Assistente di Azione
Cattolica diocesana (dal 1970 al 1977) e regionale (dal 1973 al 1979), in
seguito guida le parrocchie di Scansano (1977-1987), dell’Immacolata al Valle di
Porto Santo Stefano (1987-1999), poi Montebuono, Castell’Ottieri, Elmo, dove
concluderà la sua fatica pastorale nel 2014.
“Don Giò”, come lo chiamavamo tutti noi del gruppo giovanile, ci ha avviati ad una fede consapevole annunciandoci Gesù, che lui quasi sempre chiamava “il Cristo”, catalizzando la nostra esuberanza verso impegni e attività di fede, approfondimento, solidarietà.La maggior parte di noi giovani gli siamo stati strettamente legati dal 1972 al 1977. I più grandi sin da prima e sempre grazie all’Azione cattolica, da lui amata profondamente. Per questo decisiva fu la vita di gruppo alla Casa del Giovane, vivacizzata da esperienze spirituali al Monte Argentario, Collevalenza, Assisi, Vitorchiano e dilatata alla splendida cornice dei campi scuola di Campitello, Carbonin, Soraga, Passo della Mendola. Lì noi ci siamo formati, abbiamo definito l’opzione fondamentale e maturato le scelte di vita.
Nel 1972 don Giorgio aveva 43 anni e un bagaglio ricco di molte esperienze. Ma lui era molto più giovane perché i giovani sono sempre stati la sua passione, la priorità pastorale della sua attività di sacerdote. Quel periodo appena post-conciliare invogliava a prendere strade nuove. Lui le intraprese specie con noi, anzi da prima. Per questo nacque la Casa del Giovane a Pitigliano e il gruppo giovanile. Anzi i gruppi, in quanto li promosse ovunque possibile in diocesi, tramite l’Azione cattolica, che del gruppo aveva fatto il principale strumento di evangelizzazione giovanile.
L’esperienza
del Gruppo la vivemmo appieno nella sua parte spirituale e liturgica e in
quella pratica e realizzativa, considerate entrambe come un unicum formativo.
Per la prima, ricordiamo (uso il plurale perché ne ho parlato con Rossella) l’educazione alla preghiera, personale e comunitaria. Ci diceva di recarci singolarmente nell’ultima panca della Cattedrale e stare lì in silenzio, facendo decantare la spinta ad andar via dei primi 10-15 minuti, per poi rimanere a tu per Tu con il Signore. Preghiera essenziale per le nostre persone ma anche per il gruppo, tanto che don Lido in seguito conierà il noto slogan: “se il gruppo vuole stare in piedi deve mettersi in ginocchio”.
Centrale
per la parte comunitaria era la Messa di gruppo. Messa particolare perché si
rifaceva alla Messa dei Giovani, nata nel 1966 e giunta a noi con la sua forza evocativa. C’era
stato il Concilio Vaticano II e con esso la spinta ad una maggiore
partecipazione del popolo. Come diceva il gesuita Pedro Arrupe: “Nei giovani c’è molto
dinamismo e soprattutto molta sincerità. Ci appaiono talvolta ostili alla
religione ma sono soltanto insofferenti dei formalismi e delle esteriorizzazioni
della fede”. La sua frase era lo slogan di copertina dell’album discografico
della messa beat del 1966. E noi optammo
per soluzioni non formali, anche se ritualmente rispettose. Particolare era la
scelta dei luoghi, si potrebbe dire quasi sempre diversi da quelli
tradizionali, come le catacombe della Cattedrale, in campagna su altari
improvvisati o in montagna circondati dalla neve.
Talvolta
partecipavamo attivamente all’omelia con piccoli interventi personali, che don
Giorgio aveva in precedenza visionato e alle preghiere dei fedeli lasciate alla
spontaneità del momento. L’elevazione era sempre accompagnata da un arpeggio di
chitarra o di pianola.
I canti facevano proprio per noi ed avevano lo stile giovanile del periodo. Qualche tradizionalista ebbe brividini, ma noi ci trovammo infervorati da Gen Rosso (nato dietro la spinta di Chiara Lubich) e Marcello Giombini, autore di colonne sonore di western all’italiana che si cimentò in canzoni a sfondo religioso con sonorità beat. Da questi e altri pescammo canti per la messa e canzoni per il gruppo: Quando cammino per il mondo, Dio si è fatto come noi, Scusa Signore, Io ti offro, Una guerra d’amore, I cieli parlano, Tu m’hai creato, Quando busserò, Svegliamo le nostre chitarre, Una voce mi diceva, Camminerò tra la gente, Esiste tanta gente, Ti cantano i cieli, Ecco quel che abbiamo, Il Signore è la luce, Siamo arrivati. Da cantautori americani anche: Di che colore è la pelle di Dio.
Attenzione.
Quelle canzoni moderne contenevano grandi messaggi. La guerra in Vietnam, la
segregazione razziale, l’ateismo militante, gli scontri tra fronti ideologici contrapposti erano in voga
e le parole di quelle canzoni sembravano essere la nostra risposta cristiana: una guerra d’amore
combatteremo in nome Tuo / i cieli parlano del mio Signore / sei un padre, sei
un fratello, sei un amico / tu m’hai creato e mi vuoi bene, e mi conosci bene /
amami come si può amare un fiore, amami o Signore / quando busserò alla tua
porta avrò fatto tanta strada avrò amato tanta gente, avrò amici da ritrovare e
nemici per cui pregare, o mio Signore / una voce mi diceva Dio non c’è non lo
cercare, ma io guardavo tra le stelle e sentivo quella voce farsi sempre più
lontana / Di che colore è la pelle di Dio. Rossa, gialla, bruna, bianca perché,
lui ci vede uguali davanti a sé/. Tanto per citarne alcune.
Faceva
parte del nostro parterre la più bella canzone contro la stupidità umana e la guerra,
Auschwitz; anche Dio è morto e alcune canzoni di Fabrizio de André, come 'Si chiamava Gesù' del 1967, dove lo stesso autore dichiarava in copertina: "tutti coloro che pretendono di fare rivoluzioni devono guardare all'insegnamento di Cristo, lui ha combattuto per una libertà integrale piena di perdono". 'Spiritual', dove dà voce allo sconcerto e all'incertezza dell'uomo che si rivolge a Dio, dicendogli "Oh Dio del cielo, se mi vorrai amare, scendi dalle stelle, vienimi a cercare". Ma anche 'La buona novella', specie con i brani 'Maria nella bottega di un falegname', 'Ave Maria' e 'Il Testamento di Tito', una rilettura dei 10 comandamenti dal punto di vista del buon ladrone. Poi Adriano Celentano col suo album del 1972, 'I mali del secolo', ricco di canzoni impegnante. 'Un albero di trenta piani', dove riprende il tema dell'ecologia già affrontato nel 'Ragazzo della via Gluck' e attacca la speculazione edilizia e l'inquinamento. 'Forse eri meglio di lei', sulla crisi di coppia. 'La siringhetta', quando ancora pubblicamente della droga non parlava quasi nessuno. 'L'ultimo degli uccelli', contro la caccia. 'Disse', dove addirittura si immedesima in Dio che invita gli uomini a non occuparsi solo di accumulare ricchezze. Ricordo tutto questo per dire che anche la musica del periodo ci offriva spinte a modificare i nostri comportamenti e rivoluzionare l'andazzo corrente. E noi conoscemmo queste canzoni grazie a don Giorgio (e don Lido) e alla sua raccolta di dischi.
Sul fronte pratico e realizzativo, come non ricordare la preparazione e realizzazione di recital (sulla pace, sulla passione, morte e resurrezione di Gesù Cristo, di cui possediamo un cd tratto dalle cassette dell’epoca), iniziative ricreative (concorsi mascherine, pasquette, gite, partite scapoli-ammogliati, carnevale), presepi artistici, marce della fede, raccolte della carta, giornalini, esercizi spirituali, campi scuola, incontri diocesani e regionali. Tutto questo ci fece sperimentare la bellezza (e la fatica) dell’amicizia, della confidenza e condivisione. Nel gruppo vi furono anche degli screzi, ma non poche future coppie di sposi sono decollate da quella via di rullaggio e i legami tra amici sono rimasti saldi per sempre.
La sua casa
canonica, provvidenzialmente ubicata tra la Cattedrale e la casa del giovane, è
stata per anni un porto di mare, soprattutto per i giovani che avevano deciso
di impegnarsi nel gruppo e nell’azione cattolica. Lo studio zeppo di libri e di
dischi per noi è stato il punto di dialogo e decisione di tante strategie e
iniziative, sino al drammatico crollo dell’ultima navata della Cattedrale del
luglio 1977, quando per un pelo noi due (io e don Giorgio, lì per preparare i
campi scuola di Faltona) non ci lasciamo le penne. Un pelo vuol dire 5-7
secondi.
Felice della sua scelta sacerdotale, lo ricordo quasi sempre sorridente e anche quando parlava di questioni serie o addirittura gravi i suoi occhi facevano balenare le vie d’uscita e la speranza di ricominciare. Certo, era capacciolo e pertanto non sempre facile da smuovere da convinzioni o decisione maturate, ma quando emergeva qualche frizione con uno “strullo” strappava il sorriso, scioglieva il ghiaccio e offriva l’opportunità di una revisione, di un ripensamento. Bravo pedagogo sapeva usare lo scherzo anche per entrare in relazione e mantenere i rapporti; non a caso per la festa dell’epifania si premurava di porgere gli auguri a tutte le ragazze del gruppo con un disarmante “Auguri befane!”.
Lui mi ha voluto tanto bene, come ne ha voluto a tutti i giovani. Un po’ da incosciente mi propose al Vescovo per fare il presidente diocesano di AC nel 1977 a 21 anni e quasi svenni, tanto mi sentivo inadeguato. Ma lui questa caratteristica l’aveva: ti teneva con sé come una leonessa con i suoi cuccioli, poi ad un certo punto ti spingeva in campo aperto.
Quando nel 1977
il vescovo Giovanni D’Ascenzi, nel quadro di un ampio disegno di ricollocazione
dei sacerdoti, lo inviò a Scansano lui ne soffrì, ma non ebbe la minima
esitazione a dire: obbedisco. E vi si recò con generosità, anche perché sapeva
di trovare una comunità ecclesiale matura e un nutrito e qualificato gruppo di
giovani di azione cattolica. Rammento che insieme a Stefano Renzi andammo a imbiancargli
parte della canonica e lo ricordo, tra l’altro, perché feci conoscenza della
pericolosità degli scalei, precipitando scosciato per terra.
Fedele al Concilio ha puntato molto sulla valorizzazione del laicato. Recupero dal diario di Monica Renzi due suoi interventi fatti al campo per responsabili di Triana dell’agosto 1979. Campo intitolato a Cristo redentore dell’uomo (era da poco uscita la prima enciclica di Giovanni Paolo II) e articolato nel modo seguente: L’ecclesiologia del Concilio Vaticano II (don Lucio Mattei). Per una teologia del laicato (don Giorgio Gubernari). La spiritualità dei laici (don Giorgio Gubernari). L’AC: singolare forma di ministerialità laicale (Maria Teresa Vaccari, vice-presidente nazionale settore giovani di AC). Statuto e regolamento (Maria Teresa Vaccari). Il responsabile di Azione Cattolica (Maria Teresa Vaccari). Approfondimento: La Redemptor hominis (don Lido Lodolini). Lo ricordo per dire quale fosse allora il focus della nostra formazione associativa, della quale don Giò era uno dei principali protagonisti.
Grazie al suo dinamismo come assistente, spinse l’Azione Cattolica diocesana ad aprirsi all’esterno, specie alle esperienze regionali e nazionali, dalle quali reclutava persone da portare in diocesi a fare incontri di spiritualità e formazione. Come non ricordare, ad esempio, Giuseppina Gestri e Neda Dringoli? Con quest’ultima intraprenderà uno stupendo percorso di formazione regionale degli adulti, specie tramite le villeggiature estive.
Il mio ricordo è personale e per nulla esaustivo della ricca personalità di don Giorgio Gubernari e del suo ministero sacerdotale. Tante altre sfaccettature andrebbero analizzate e azioni messe a fuoco. Certo, non posso tacere l’altra sua grande passione pastorale, i pellegrinaggi a Lourdes, Fatima, Terra Santa. Ha percorso migliaia di chilometri conducendo persone in queste località speciali e chissà quante conversioni e ripensamenti ha favorito. Li organizzava con gioia perché, diceva, “lì mi sembra di essere in paradiso”.
Verso
il quale sarà certamente decollato alle 7,30 dell’8 gennaio 2018.
Don Giorgo Gubernari |
18 luglio 1954 Cattedrale di Pitigliano. Ordinazione di don Giorgio |
Fine anni '60. Don Giorgio ai campi scuola sul Pordoi |
Seconda metà anni 60. Don Giorgio e don Fosco insieme a giovanotti di Pitigliano |
Primi anni '70. Don Giorgio dice messa in campagna. Di spalle Mariella Mancini |
1976 Pasquetta. Don Giorgio circondato da alcuni giovani del Gruppo di Pitigliano |
Fine anni '70. Don Giorgio presenta il recital del Gruppo giovani di Scansano |
Metà anni 80. Don Giorgio e il Vescovo Eugenio Binini da Papa Giovanni Paolo II |
1990. Don Giorgio in Egitto |
Anni 2000. Don Giorgio celebra messa sulle dolomiti durante le Settimane per adulti |
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