Quello che segue è il mio commento alle elezioni del 13-14 aprile 2008 avviato con il precedente “post” e nel quale sono intervenuti Alessandro e Bulfardo, con due interessanti commenti. Aspettavo il secondo turno e il secondo turno è arrivato.
Parto dal dire che non era quello che speravo, ma l’esito delle urne è stato chiaro: Berlusconi e la sua squadra hanno vinto e dispongono di una solida maggioranza.
Il Partito democratico ha perso.
Ma, ha vinto la “destra perché è il paese che è andato a destra” oppure esistono “due paesi reali, due contrapposte visioni della politica e del bene comune”?
E cosa è bene che facciano i vincitori e i perdenti?
Tanti analisti convengono nel diagnosticare una virata destra dell’Italia. Ma siffatta inclinazione del Paese dura da quindici anni; solo che negli ultimi mesi è diventata un precipizio travolgendo persone, gruppi dirigenti, governi nazionali e locali. Dice Ezio Mauro che nello stesso “voto di Roma c’è un dato di destra reale così netto, addirittura biografico, fisico, concreto, che deve far riflettere”.
Ma chi deve far riflettere?
Intanto i vincitori, il governo, Berlusconi che debbono dare "pane di destra" al paese di questo affamato: le ricerche dicono che la stagione di un governo forte sale impetuoso dall’Italia intera, di qualsiasi colore.
Allora, non ci resta che verificare se Berlusconi ha gli attributi oppure no. Faccia come fecero Margaret Thatcher in Gran Bretagna e Ronald Reagan negli USA: un’autentica politica di destra.
C’è da riformare le istituzioni per snellire un Parlamento macchinoso e inefficiente, da predisporre una nuova legge elettorale (magari a doppio turno entro un assetto di tipo semipresidenziale), da riformare la burocrazia che è di tipo ottomano riducendo soprattutto al minimo gli adempimenti per i cittadini (così rediamo felice l’amico Alessandro e non solo lui).
C’è da avviare un federalismo fiscale che preveda la permanenza dei due terzi del gettito sul territorio dove viene generato, secondo la logica del chi fa da sé fa per tre.
C’è da realizzare concretamente le infrastrutture necessarie alla modernizzazione del Paese, senza badare alle eventuali opposizioni localistiche .
C’è da liberalizzare in modo tosto in molti altri campi (e non aspettare un nuovo Bersani o una Lanzillotta peraltro stoppati dalla propria maggioranza), mettere a ferro e fuoco gli immigrati, clandestini e no, come dice
C’è da flessibilizzare il lavoro fino al massimo grado e non accontentarsi del pannicello caldo della Legge Biagi, da lasciare Alitalia al libero mercato senza sconti e paracaduti per i licenziati, da tagliare radicalmente le tasse a partire dai ceti più agiati, come negli USA.
C’è da inserire dosi massicce di privato nella sanità pubblica, da fornire cospicui finanziamenti alle scuole private, parificate e no, aggirando l’articolo 33 della costituzione, da modificare radicalmente o abolire la legge sull’aborto.
C’è da mettere nello scantinato le questioni cosiddette sensibili come le coppie di fatto, il testamento biologico, la modifica di alcune parti della legge 40.
C’è da inserire veramente il principio del merito all’interno delle scuole e di varare un generalizzato numero chiuso per le università.
E potrei continuare.
Questa è destra. E se la destra non fa la destra cosa fa di utile al paese? La solita melmosa poltiglia andreottiana che nulla cambia, nessuno scomoda e mantiene al potere? Non chiedo una destra liberale: mi sembrerebbe troppo. Ma almeno liberista, perbacco!
I risultati elettorali nudi e crudi, cosa dicono? Su questo si è già intrattenuto Bulfardo in modo analitico.
Io mi limito ad osservare che la differenza tra il partito di Veltroni, senza Di Pietro (12.092.998 pari al 33,2%) e quello guidato da Berlusconi e Fini, senza
Allora è pur vero che esistono due paesi reali e quindi due contrapposte visioni della politica e del bene comune, come accade in molte parti dove esiste la democrazia.
Però c'è un però... non è proprio così: quella che si poteva definire l’altra metà dell’Italia ora è evidentemente i due terzi del Paese, se vi si sommano i voti delle Leghe, l’Udc e
Ecco quindi la parte “sinistra” del ragionamento: quello che aspetta al Partito Democratico (il secondo che ha bisogno di riflettere).
A mio parere la strada obbligata è quella che Veltroni ha riassunto nel termine “innovazione”. Innovazione nelle idee, nei programmi, nelle strategie e nelle persone.
Innovazione per evitare il “ripiegamento”. “Una sindrome – per dirla con Stefano Menichini – che chi viene da Botteghe Oscure (ma non solo, direi) conosce bene. Consiste in quello scivolamento all’indietro che fa colorare di rosso le bandiere, alzare i toni dell’opposizione a beneficio delle platee, abbandonare anzitempo le strade difficili che portano a rompere i totem e a infrangere i tabù della sinistra, anche quella cattolica”. Gli ammorbati dalla sindrome non lo dichiarano; magari lamentano “che lungo le strade difficili si rischia di perdersi, di isolarsi, di trovare pochi alleati” e solitamente cercano “molto vicino a sé i voti perduti: la sinistra radicale astensionista, i laici insoddisfatti, la protesta girotondina”.
Tutte analisi per certi versi non sbagliate, ma che rinunziano a far ripartire il PD nella direzione opposta, “cioè verso dove si trova ormai la stragrande maggioranza del paese, dell’elettorato popolare, dei ceti attivi e di quelli marginali”.
Buon lavoro.
Stefano Gentili