domenica 20 aprile 2008

Commentiamo il risultato elettorale

Un amico che ha partecipato all’ultimo blog pre-elettorale, un po’ per prendermi per il naso, un po’ sul serio mi ha scritto: “dai provaci ancora Stefano! Un commento sul tuo blog sull' esito delle elezioni .....”. Perché no? Avanti allora miei prodi… dite la vostra che dirò la mia. Stefano Gentili

4 commenti:

Anonimo ha detto...

E' finita come doveva finire. E lo dice uno che - non di centro sinistra - non ha votato per il centro destra di Berlusconi. Io, fedele alla linea fino in fondo, ho votato alla Camera la lista Ferrara - Aborto no grazie - ed al senato per l' UDC.
Certo, l'ho fatto per disperazione, perchè non intendendo portare all' ammasso il cervello a favore di Berlusconi - concetrato di contraddizioni, padre e padrone di questo centro destra - ne a favore del centro sinistra statalista e iper super burocratico.
A mio modo di vedere quello che è successo in questa campagna elettorale è speculare a quanto è successo nella precedente.
La volta scorsa vinse Prodi perchè a perdere fu il centro-destra; in altre parole fù più vittima di se stesso piuttosto che della forza del centro-sinistra. Ora è stata la stessa cosa, a mio giudizio, soprattutto la parte produttiva del paese ha votato per disperazione. Semplicemente non voleva vedere più chi lo ha letteralmente subissato di una valanga di nuove incombenze ed adempienti burocratici.
Questo mi induce a ritenere che tutta la nostra classe politica, salvo delle rarissime eccezioni, non è assolutamente in condzione di governare questo paese che avrebbe bisogno di riforme immediate, drastiche in modo da rimetterlo in moto; pena il suo declino inarrestabile.
Peccato perchè ritengo che , nonostante tutto, ci siano ancora delle grandi potenzialità inespresse, ma che queste siano bloccate da un mancato ricambio della classe dirigente del Paese.
Si perchè il problema non è solo della classe politica in quanto tale ma di una intera classe dirigente (imprenditori, sindacalisti, amministratori pubblici e privati, professionisti) che sembra intenta a mantenere più una rendita di posizione piuttosto che a mettersi in gioco.
Questo e quanto. Almeno per ora.
Alessandro Bartoli

Anonimo ha detto...

I flussi e i voti [i]

Il Pd ha guadagnato voti dalla sinistra radicale. Il “contributo” ha compensato il travaso dalla componente della ex Margherita verso l’Udc, in prevalenza, ma anche verso Forza Italia e l’astensione. In percentuale, il Pd ha ottenuto il 33,2%. Un raffronto disomogeneo si può fare con l’Ulivo che ottenne il 31,3% nel 2006. In termini numerici, 12.092.998 cittadini hanno votato Pd.

L’Udc da un lato ha raccolto i voti dei cattolici che hanno lasciato il Pd e, dall’altro, li ha ceduti soprattutto a Forza Italia, ma anche alla Lega. In voti, ha perso 530 mila elettori, oltre il 20% rispetto al 2006. In percentuale, è scesa al 5,6%, dal 6,8%. I cittadini che hanno votato Udc sono 2.050.319.

Il Pdl ha raggiunto la percentuale del 37,4%, lo 0,2% in meno rispetto al 2006. La lieve flessione corrisponde a circa 73 mila voti. In termini netti, il Pdl non ha assorbito interamente i voti persi per le defezioni della Destra, dei Socialisti e dei liberal di Adornato. In fatti, la Destra ha ottenuto 885 mila voti, in percentuale il 2,4%, ossia l’1,8% in più rispetto al 2006. I Socialisti provenienti da Forza Italia dovrebbero avere conseguito circa 115 mila voti, su un totale di 355.581 (0,975%). In tutto, Socialisti e Destra hanno ridotto di un milione di voti il consenso andato alla coalizione di Berlusconi, nel 2006. La flessione è attribuibile ad Alleanza Nazionale. Di tale milione, il Pdl ha recuperato 930 mila voti da Udc e anche dal Pd (area Margherita). In numeri, 13.628.865 cittadini hanno votato Pdl.

La Lega ha conquistato l’8,3%, rispetto al 4,5%, ottenuto nel 2006 con il Mpa; ha raccolto voti ovunque, nell’area del Centro-Sinistra, di Forza Italia, Alleanza Nazionale, Udc. L’hanno votata 3.024.522 cittadini.

Il Mpa ha riportato l’1,1%, oltre 410.487 voti.

L’Idv ha ottenuto il 4,4%, rispetto al 2,3% del 2006. Ha raccolto voti da spinte diverse, l’anti-politica grillista, i girotondi e Micromega, i ceti medi intellettualizzati della sinistra. L’hanno votata 1.593.675 cittadini.

La Sinistra Arcobaleno ha acquisito il 3,1%, rispetto al 10,2% del 2006. Una disfatta, provocata dalla massiccia migrazione del suo elettorato verso il Pd. L’hanno votata 1.124.418 cittadini. Non è presente in Parlamento.

In totale, i voti di Berlusconi sono 17.063.874 e quelli di Veltroni 13.686.673.

Gli effetti politici
La vittoria di Berlusconi è netta. Il 9% di differenza percentuale e tre milioni e mezzo di voti in più su Veltroni non lasciano dubbi. La loro è l’eloquenza dei fatti. Nella cosiddetta Seconda Repubblica, cioè dal 1994, mai il divario è stato così ampio.

Le motivazioni sono più interessanti. La scelta di far correre il Pd da solo è stata coraggiosa, anche se in parte ridimensionata dall’accorpamento dei radicali e dall’alleanza con Di Pietro. Veltroni non ha demonizzato il suo antagonista e ha tenuto un profilo civile. Ha contribuito a rasserenare gli animi con una polemica espressa da fisiologiche puntualizzazioni dialettiche.

Smarrito l’iniziale coraggio, probabilmente per l’irrazionale pressione dell’istinto di sopravvivenza, il Pd ha, poi, perso due volte il contatto con la realtà. La prima, quando ha celebrato Prodi come statista che merita la riconoscenza del Paese e, nello stesso tempo, ha denunciato l’incapacità dell’Unione di governare il Paese, per l’insanabile conflitto programmatico fra le sue componenti. La contraddizione è auto-evidente. Uno statista, prima di tutto, sa amalgamare i partiti che lo sostengono, altrimenti è soltanto un patetico re travicello.

La seconda, perché non ha saputo intercettare il profondo sentiment del popolo italiano che chiede sicurezza economica contro la crisi che riduce i consumi, impoverisce lavoratori e pensionati, mette a rischio le imprese con il calo di competitività e produttività e la dipendenza energetica dall’estero, vuole limitare i flussi d’immigrazione, chiede le infrastrutture, esige di chiudere decorosamente la vertenza di Alitalia e di ridurre un prelievo fiscale da rapina; inoltre chiede sicurezza civile contro la corruzione che inquina l’economia, il sociale, la politica, la cultura, le istituzioni statuali e l’amministrazione della giustizia, contro la micro-delinquenza, il crimine organizzato, gli spacciatori che imperversano nelle periferie, vuole la certezza della pena e l’attribuzione a chi ne ha diritto delle case popolari occupate dai clandestini.

Il politologo Feltrin[ii] osserva, infine, che il “nuovo” Pd ha perso voti al centro e li ha ripresi a sinistra, ricomponendo elettoralmente la frattura della Bolognina e rischiando di assomigliare al partito comunista delle origini. Non alimenta, perciò, la speranza di un futuro materialmente migliore.

Obiettivamente diverso è l’approccio post-elettorale di Berlusconi che annuncia l’esistenza di una cordata d’imprenditori italiani per rilanciare Malpensa e risolvere entro un mese la crisi di Alitalia; promette l’abolizione dell’Ici, il bonus bebé, la soluzione della spazzatura campana, il ponte sullo Stretto, la detassazione di straordinari e premi di produzione, l’aumento a 1.000 euro delle pensioni minime, il contenimento dei prezzi, la lotta alla criminalità organizzata cominciando dalle estorsioni, il dimezzamento dei parlamentari, dei consiglieri regionali e comunali, la graduale eliminazione delle province e, in linea con il progressivo miglioramento dei conti statali, l’abolizione delle imposte su donazioni, successioni, nonché del bollo per auto e per moto, l’introduzione del quoziente familiare.

E’ un imbonitore? Non credo, anzi riconosco che sa suscitare bisogni primordiali e speranze da appagare. Del resto non costa niente metterlo alla prova, peraltro necessaria per governo e opposizione mentre mettono a punto e perseguono i loro obiettivi.

Il ruolo dei cattolici
Qui mi aggancio al contributo di Garelli.
Premetto, però, che il dato più sorprendente è la sconfitta del relativismo etico. Capisaldi di questa visione antropologica sono la destrutturazione della famiglia, l’annichilimento dei concetti e dei termini di madre e padre, la pervasiva deregulation in campo bioetico, l’ideologia del “gender” che nega la differenza biologica tra i sessi, l’eutanasia, persino un anticlericalismo d’annata. La sinistra arcobaleno, i socialisti di Boselli e l’area del Pd più contigua al radicalismo pannelliano sono gli irriducibili alfieri di questi obiettivi. Il voto popolare li ha “espulsi” dal Parlamento o ne ha fortemente ridotto il peso. La loro forza d’urto si è frantumata, ma la partita non è finita e credo che, nella più sofisticata forma di uno scaltro cinismo, l’area più a sinistra del Pd ritornerà alla carica; ma, almeno in questa legislatura, pagherà la sua obiettiva debolezza.

Ho anche impressione che non tutti gli esponenti cattolici del Pd abbiano afferrato la realtà, per loro specificamente nuova, forgiata dall’esito elettorale. La fuoriuscita di molti elettori cattolici dal Pd, per l’approdo nell’Udc, nel Pdl e nell’astensione, non solo ridimensiona la rappresentatività popolare del gruppo dirigente cattolico presente nel Pd, ma minaccia di trasformarlo in una nomenclatura senza popolo, se il partito non inverte la rotta.

L’Udc è stata politicamente sconfitta dal confronto elettorale. La conquista di tre senatori è irrilevante per le ambizioni che ne hanno ispirato la corsa solitaria e la sua rappresentanza parlamentare non è determinante. A mio parere, l’apporto di Pezzotta ha permesso la confluenza dei cattolici emigrati dal Pd, ma non ha totalmente assorbito l’esodo dei suoi tradizionali elettori cattolici verso Forza Italia e la Lega. Probabilmente la nomenclatura Udc non ha percepito la mutazione genetica del proprio elettorato. Il dato può accentuare nell’Udc, forse più che in ogni altra forza politica, l’indeterminazione di una identità cattolica “sospesa” fra le opzioni bio-etiche e quelle sociali.

Il Pdl impallidirà i connotati identitari della sua area cattolica che, invece di unificare organicamente le due dimensioni dell’esistenza umana, valorizzerà le questioni bio-etiche o quelle sociali, probabilmente secondo le convenienze del momento e perciò amputerà la realtà antropologica integrale, originante il suo impegno politico.

Io credo che non abbia molto senso parlare oggi di centro politico. Per questo demitizzo l’unità o il pluralismo dei cattolici. Entrambi non sono dogmi, né fini, ma sono soltanto mezzi. La loro validità è solo funzionale. Più propriamente sono strumenti utilizzabili per l’esercizio dell’azione politica. Ogni strumento è utile in determinate circostanze storiche. In alcune situazioni l’unità può essere più utile, il pluralismo può esserlo in altre. L’uno e l’altra sono un’opportunità adattabile alla realtà storica del qui e ora.

Oggi l’unità ha senso se ha per fondamento la concezione antropologica basata sulla unità di anima e corpo, o se si vuole di spirito e materia. La consapevolezza di questa unità può generare una cultura in grado di esprimere compiutamente la soggettività spirituale e corporale di ogni essere umano; in altri termini e secondo l’insegnamento di Giovanni Paolo II, ciò accade, se la cultura umana è capace sia di spiritualizzare la materia, cioè di subordinare l’elemento materiale alle sue forze spirituali, sia di materializzare lo spirito, cioè di incarnare ciò che è spirituale.

Su questo presupposto, l’unità dei cattolici non è un centro politico, ma gioca un ruolo centrale nella dialettica politica come segno d’incontro, di dialogo, di equilibrio, di unità e di coesione del popolo italiano mentre realizza il suo comune destino. Può contribuire a orientare la storia umana verso il futuro, qui e ora.

Un grande processo di formazione è necessario per il mondo cattolico, ovunque i suoi frammenti siano politicamente collocati, se vuole praticare la nuova evangelizzazione nel suo terreno, ossia nella dimensione sociale. La missione implica la capacità di amalgamare l’elaborazione teoretica e la mediazione culturale. La precondizione è l’uso dell’unico strumento esistente per l’evangelizzazione nel campo economico e socio-politico: la dottrina sociale. Qui, il ritardo di chierici e laici è impressionante. I preti, per lo più, non la conoscono e hanno dunque bisogno di interiorizzare questa dimensione teologica essenziale per la credibile autonomia della formazione alla politica, prima di proporla ai laici che li seguono. Nonostante ciò, a volte, invece si schierano e sostituiscono strumentalmente la fede con la politica.

I laici sono in più grave ritardo, ma possono sempre surrogare con autonomi percorsi formativi l’inerzia dei loro carissimi sacerdoti.

Ovviamente la testimonianza politica dell’ispirazione cristiana non è un obbligo giuridico e, perciò, è meglio non evocarla, se poi si snatura con l’ambiguità o il timore della reticenza. Qui non è un problema di leader. I leader potenziali ci sono e sono tali se la loro investitura non cala dall’alto, ma proviene dal basso, saldata dalla tensione e dal confronto partecipativo sui bisogni e le attese reali della gente. Bisogna cambiare radicalmente il costume organizzativo della vita politica. In questione sono le motivazioni profonde di un impegno finalizzato all’edificazione della civiltà umana.

Bulfardo Romualdi

[i] I dati si riferiscono alla Camera dei Deputati.

[ii] Avvenire del 16 aprile 2008, pag.3.

Anonimo ha detto...

Nemo potest duobus dominis servire...ma d'altronde qui sine peccato est vestrum, primus lapidem mittat..
Il Governo Prodi vrebbe dovuto fare quello per cui era stato votato ...

Paolo Stefanini da Follonica

giuseppe ha detto...

Io non penso che gli italiani abbiano votato per disperazione, penso piuttosto che molti italiani, nella loro semplicità, non abbiano capito, perchè non chiaro,il messaggio nuovo che portava il PD e siano stati attratti dal modo modo eloquente con cui il candidato premier del PDL ed i suoi alleati portavano il loro messaggio, che era molto semplice: l'attuale governo ci ha portato in una brutta situazione io posso salvarvi, io ho la possibilità di far uscire l'Italia da questa situazione, la mia maggioranza è coesa e quindi attuerà il programma elettorale. Chiaramente ha avuto gioco facile, il governo Prodi non ha brillato per coesione ma piuttosto ha mostrato i suoi limiti nella grande frammentarietà (dall'UDEUR di Mastella a Rifondazione di Bertinotti). Questo ha pesato moltissimo sull'elettorato e io penso che fino a quando non ci sarà un partito coeso che non scenda a compromessi con nessuno, neppure al suo interno, sarà molto difficile riuscire ad andare al governo, specie se dall'altra parte abbiamo come avversario l'on. Berlusconi; penso anche che il PD si sia messo sulla strada giusta, l'importante è che adesso non si perda per strada.
Giuseppe Pizzati