Riprendo l’infuocato argomento sulla presenza dei simboli religiosi - e, quindi, del crocifisso - nei luoghi pubblici di una democrazia, ad una certa distanza dalle più arroventate polemiche. Quando posso, faccio così.
E subito chiarisco che, secondo me, la cosa …dipende…da che dipende. Da che punto guardi il mondo tutto dipende….
Può apparire buffo che canticchi il ritornello di una canzone di Jarabe De Palo.
Ma a seconda della prospettiva dalla quale guardi l’argomento la risposta può anche diversificarsi. Magari, anche no. Ma è più probabile di si.
Allora, da quale prospettiva prenderlo.
A livello di fede? A livello di forma o di sostanza? A livello di tradizione storico-culturale? A livello di identità etnica? A livello di opportunità socio-politica? A livello di società democratica e pluralista?
Senza perdermi in troppi preamboli dico che la prospettiva utile da dibattere sia quella valida per tutti, quindi quella della società democratica e pluralista nella quale viviamo.
E, andando subito al sodo, mi appare evidente che nei luoghi pubblici di una società democratica - cioè in quegli spazi dello stato e degli altri enti o organismi pubblici dove, per esercitare diritti e doveri, le persone (o certe categorie di persone) debbono in talune circostanze obbligatoriamente recarsi (aule scolastiche, tribunali, uffici amministrativi, assemblee elettive, ecc.) – sarebbe bene che non vi fossero simboli religiosi, quindi che non vi fosse neppure il crocifisso cattolico.
Or vero, vi sarebbe un’altra possibilità.
Affinché il luogo pubblico sia luogo di tutti e non della maggioranza, quindi senza privilegi, né discriminazioni per nessuno (neppure di uno solo, poiché la democrazia liberale si giudica da come tutela le minoranze), vi sono due opzioni: o si rinuncia a qualsiasi simbolo o si ammettono tutti i simboli.
E’ dinanzi agli occhi che la presenza di una pluralità di simboli rischierebbe di sfiorare il ridicolo. Pensiamo ad una parete con affissi: un crocifisso (cattolico), una croce (protestante), una croce a tre braccia (ortodossa), una stella di Davide, una mezzaluna islamica, la ruota della legge buddhista, il tao taoista e del confucianesimo, il torii shiontoista, un triangolo massonico, un cartello dell’unione atei con scritto “Dio non c’è”. No comment.
La conclusione - la ripeto: sarebbe bene che nei luoghi pubblici non vi fossero simboli religiosi - mi appare così ragionevole da essere veramente elementare.
Non sono, però, così sprovveduto da non comprendere il coacervo di emozioni che la “questione crocifisso” evoca sia in chi lo ama che in chi non lo sopporta, in chi lo vuole difendere e in chi solo utilizzare, in chi lo tollera e in chi neppure lo nota.
E comprendo anche obiezioni di tipo identitario, di storia, di cultura.
Ma a queste obiezioni si può facilmente obiettare e rispondere che la non presenza del crocifisso cattolico negli spazi pubblici non attenta minimamente all’identità, alla storia e alla cultura del nostro Paese.
Che vede, peraltro, la presenza di crocifissi e di altra simbologia religiosa cattolica in vie e piazze delle nostre città, paesi, borgate, nelle nostre chiese, nelle opere d’arte, sulle cime dei monti, sui fondali dei mari.
Non penso sia il caso che mi dilunghi troppo in questo post.
Ma se si innesta un dibattito, magari serrato, sono disposto proseguire e, nel dialogare, a continuare a dire la mia su crocifisso e identità, crocifisso e fede, crocifisso e storia europea, crocifisso e storia italiana, crocifisso simbolo universale, ad analizzare le spassose e gravi parole del ricorso del governo italiano contro la nota richiesta della
Oppure a riprendere le profonde parole di Natalia Ginzburg e Miguel De Unamuno e confrontarle con le tante parole superficiali e odiose pronunciate i giorni successivi alla sentenza della Corte europea.
Anche perché, parlando di forma e di sostanza, per come la s’intende nel linguaggio comune, mi domando cosa avrebbe fatto l’ebreo Gesù inchiodato e affisso alle pareti delle scuole in virtù di regi decreti del 1924 e del 1928 quando, con le infami leggi razziali del 1938, dalle scuole furono scacciati gli ebrei e lui lo lasciarono lì?
Certamente se ne sarebbe andato.
Stefano Gentili
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