venerdì 4 dicembre 2009

IL PARADOSSO TRA GASPARE (SPATUZZA) E PIETRO (DI BETSAIDA)

Questa mattina ho seguito la diretta Sky della deposizione del pentito di mafia Gaspare Spatuzza al processo Dell'Utri.

Lo rammento non per entrare nel merito delle questioni sollevate, sia pure nella loro apparente enormità.


Ne parlo perché Gaspare «u tignusu» (senza capelli), l’ex imbianchino di Brancaccio, l’assassino di don Pino Puglisi e del piccolo Giuseppe Di Matteo e di molti altri innocenti per conto della mafia è da qualche tempo entrato nell’occhio del ciclone vestendo i panni dell’ortodossia del pentimento: il desiderio di pagare le colpe attraverso un percorso di redenzione.

Spatuzza studia teologia, dal 2005 ha instaurato consolidati rapporti di confidenza con vari cappellani delle carceri, dice di non aver mai rimosso lo sguardo dolce di don Pino Puglisi che sorrideva ai suoi assassini, ha chiesto al vescovo de L’Aquila la possibilità di avvicinarsi al sacramento cattolico della riconciliazione.

Per l’appunto questa sera durante la recita del Vespro il salterio mi pone dinanzi una breve lettura dell’apostolo Pietro di Betsaida, pescatore a Cafarnao.

“Davanti al Signore un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno solo. Il Signore non ritarda nell'adempire la sua promessa, come certuni credono; ma usa pazienza verso di voi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi.” (2 Pt 3, 8b-9)

Anche Spatuzza e quelli che si sono macchiati di sangue innocente come lui?

Sembra un paradosso, cioè una conclusione che appare inaccettabile perché sfida un'opinione comune. Ma il Dio cristiano è appunto paradossale.

Rimango trasecolato e lo dico.


Stefano Gentili

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