1993-1995:
DALLA DC AL PPI, AI CRISTIANO-SOCIALI, AL CCD, AL CDU, ….
Il
1994 fu l’anno del finimondo per la DC a livello nazionale. Ricordo alcune
vicende che la riguardarono, a partire dal 1993.
Nel
mese di marzo 1993 Mario Segni si dimise dalla Dc perché a suo parere “il
tentativo di riformare dall'interno questo partito è(ra) senza alcuna
speranza”. A maggio aderirà ad Alleanza democratica e vi confluirà a luglio.
E
a dicembre dell’anno prima, in un turno di elezioni amministrative che
interessava circa un milione di elettori, la Dc era scesa dal 36 al 24% dei
voti. Campanello d’allarme. Anzi, campana.
Il 18 aprile si
svolsero otto referendum, tutti con una netta prevalenza di sì: in particolare
per l'abolizione del finanziamento pubblico dei partiti (90,3%) e per la
modifica della legge elettorale in senso maggioritario (82,7%), sostenuta anche
dalla DC.
Il 12 giugno
"Carta 93", il gruppo di intellettuali cattolici raccolto sin dal 4
ottobre '92 da Maria Eletta Martini, Balboni, Berti, R. Bindi, Cananzi,
D'Andrea, Elia e Monticone e che aveva elaborato un "manifesto per la
rifondazione della politica", si costituì in associazione, con statuto,
organi rappresentativi e nove gruppi di lavoro.
A
metà 1993 la nuova leadership della DC guidata da Martinazzoli tentò la
rifondazione che si espresse anche nel cambio del nome, Partito Popolare
Italiano, proprio per segnare in modo più netto la rottura con il passato.
L’11 settembre
Ermanno Gorrieri lasciò la Dc e dette vita al Movimento cristiano-sociale. Vi
aderirono Pierre Carniti, Paola Gaiotti, Gianni Mattioli, Luciano Guerzoni,
Luigi Viviani, Laura Rozza e altri, sindacalisti ed ex-aclisti.
Il 21-22 novembre in
un importante turno di elezioni amministrative (col sistema maggioritario e
l'elezione diretta del sindaco) che interessava oltre 11 milioni di elettori e
i comuni di Roma, Napoli, Genova, Venezia, Trieste, Palermo ecc., la Dc nei
comuni con oltre 15 mila abitanti ottenne complessivamente l'11,2% dei voti. Turno
che era stato preceduto da quello del 6 giugno (anche a Grosseto: sfida
Valentini-Giunta) ugualmente devastante.
A novembre Clemente
Mastella chiese l'immediata convocazione del Congresso Nazionale e si candidò
alla guida della nuova Dc.
A dicembre la Dc
divenne un formicaio. Il capogruppo alla Camera Gerardo Bianco chiese in una
lettera a Martinazzoli di intensificare la preparazione del processo costitutivo
del nuovo partito, per poi “incontrarci con il filone liberaldemocratico e del
socialismo riformista”. Un centinaio di parlamentari (Lusetti, Ciliberti,
Baccarini, Galbiati, Fronza Crepaz ecc.) chiese in un documento a Martinazzoli
“una presa di posizione per uscire dalla trappola delle contrapposizioni
esasperate”. Altri 40 parlamentari (Fracanzani, Agrusti, Ciaffi, Pinza, ecc.)
presentarono un documento “per un'aggregazione di centro tra laici e
cattolici”.
Il 9 dicembre il
presidente della Fininvest Silvio Berlusconi ipotizzò una sua entrata in
politica, ma ebbe a precisare: “Non ho mai parlato di uno schieramento di cui
dovrebbe far parte il Msi”. L’allora prof. Rocco Buttiglione rilevò che
l'iniziativa sarebbe stata “inopportuna” perché avrebbe creato “delicati
problemi dal punto di vista etico e il sospetto che le sue testate vengano
usate a favore del suo programma politico”.
Il 13 dicembre, con
un'intervista al Messaggero Buttiglione, membro della Direzione della Dc, si
autocandidò alla guida del nascente Partito Popolare. Il 16 dicembre uscì una “Lettera
ai deputati D.C.” di Gerardo Bianco: “Abbiamo dalla nostra parte forti ragioni
ideali e una lunga storia di scelte giuste che hanno salvato il Paese da
pericolose avventure”. Il gruppo che faceva capo a Pierferdinando Casini
insisteva sulla necessità di costruire un “centro moderato”, esprimeva “preoccupazioni
per le difficoltà di convivenza interna registrate” e chiedeva “un vero
dibattito e un chiarimento di linea politica” prima del Congresso Nazionale.
Il 30 dicembre
Casini, Mastella, D'Onofrio e Fausti presentarono il programma politico del
loro gruppo: in una logica inevitabilmente bipolare, ritenevano necessario
collocare il Partito Popolare nel Polo moderato, assieme a Berlusconi e alla
Lega, mentre rispetto ad Alleanza nazionale ritenevano che occorresse mostrare
attenzione per le mutazioni in corso.
I primi
di gennaio del 1994 i neo-centristi avviarono incontri con altri gruppi
politici. Rosa Jervolino disse che ciò era “inammissibile: si comportano come
se fossero già un altro partito che tratta con gli altri partiti”. Il 5 gennaio
Martinazzoli prese atto “serenamente che i neo-centristi si sono accomiatati”.
Il 13 gennaio in una intervista del Popolo a Buttiglione sull'identità e il
futuro del Partito Popolare ebbe a dire: “Il problema di fondo sta nella scelta
strategica del nuovo partito, cioè nell'essere alternativo al Pds. I centristi
da questo traggono però quasi automaticamente una conseguenza sbagliata, quella
di un'alleanza con Lega, Berlusconi e Msi”.
Dimessosi il governo
Ciampi (il 12 gennaio) dopo la mozione di sfiducia delle opposizioni e rimaste
senza esito le successive consultazioni del Capo dello Stato per la soluzione
della crisi, il Presidente Scalfaro sciolse le Camere e fissò le nuove elezioni
generali per il 27 marzo.
Il 18 gennaio in
mattinata vi fu il battesimo ufficiale del partito dei centristi (Centro
cristiano democratico: CCD), che aveva come simbolo una vela e un piccolo scudo
crociato. La dirigenza provvisoria venne affidata a P. Casini, Mastella,
D'Onofrio, O. Fumagalli Carulli.
Nel pomeriggio
all'Istituto Sturzo ebbe luogo la fondazione del nuovo Partito Popolare Italiano,
presenti l'ultimo segretario della Dc Martinazzoli e l'ultimo presidente del Cn
Rosa Jervolino, i presidenti di Camera e Senato Napolitano e Spadolini, i
capigruppo Dc di Camera, Senato e Parlamento Europeo, G. Bianco, G. De Rosa e
M. Forte, dirigenti nazionali ed esponenti del mondo cattolico.
Il giorno successivo
i parlamentari della Dc di Camera e Senato aderirono al Partito Popolare, tranne
22 deputati che confluirono nel CCD, dove P. Casini e Mastella furono nominati coordinatori
nazionali e D'Onofrio presidente del gruppo parlamentare. L'Osservatore Romano
auspicava ancora “la ricomposizione e l'unità”, sulla
linea del messaggio del Papa ai Vescovi italiani, di due settimane prima, nel
quale egli ricordava le responsabilità dei cattolici, che dovevano affrontare
uniti il cambiamento richiesto da quella fase storica.
Il 22 gennaio al
palazzo dei Congressi di Roma si svolse l'Assemblea Costituente del nuovo Partito Popolare Italiano (con
relazioni di Martinazzoli, De Rosa, G. Bianco e Balboni), che confermò la
propria collocazione di centro-sinistra. Dopo il discorso di apertura del
presidente Rosa Jervolino, il segretario Martinazzoli, cui saranno riconfermati
i pieni poteri, annunciava che a maggio si sarebbe tenuto il primo Congresso
Nazionale del Ppi.
Il 26 gennaio Silvio
Berlusconi “scese in campo”. Martinazzoli rilanciò il centro con cattolici,
laici e democratici riformisti. Gianfranco Fini tenne a battesimo (il 22
gennaio) Alleanza Nazionale.
A metà febbraio
Martinazzoli respinse un’alleanza con Berlusconi, da questi ipotizzata mentre
già parlava di un futuro governo con Fini e a fine mese dichiarò che in caso di successo elettorale il nuovo
presidente del Consiglio sarebbe stato Mario Segni.
Il 1 marzo fu presentato
da Martinazzoli, Segni, Amato e La Malfa il programma del “Patto per l'Italia”.
Il 21 Martinazzoli
uscì con un’affermazione che di lì a poco si sarebbe rivelata infausta: “Il
bipolarismo è una finzione mistificatoria, un espediente elettorale che
tradisce il voto nel momento stesso in cui lo si chiede. L'unica soluzione che
garantisca la governabilità è il voto al centro”.
Nelle elezioni
politiche del 27-28 marzo il CCD si schierò con Berlusconi, i Cristiano-sociali
e La Rete con Occhetto; il PPI insieme al Patto Segni, il PRI, l’Unione
Liberaldemocratica avevano appunto fondato il Patto per l’Italia. Il Ppi ottenne
4,3 milioni di voti, pari all'11,1%, cioè 33 seggi alla Camera e 27 al Senato.
Complessivamente la sinistra si fermò al 34%, la destra balzò al 46,4% alla
Camera e al 40,7% al Senato.
Il
PPI dunque fu schiacciato dalla bipolarizzazione del voto tra destra e
sinistra, risultando fortemente penalizzato dall’attrazione suscitata da Forza
Italia di Silvio Berlusconi e, al nord, dalla Lega, sull’elettorato
precedentemente democristiano.
La sconfitta provocò
le immediate dimissioni di Mino Martinazzoli e, dopo molte peripezie, durate
fino a luglio, il 29 di quel mese si giunse all’elezione a segretario - da
parte del Congresso nazionale del partito - di Rocco Buttiglione, esponente
moderato favorevole anche lui a trovare un accordo con Berlusconi. Martinazzoli
commentò: “Era meglio eleggere Berlusconi, piuttosto che un suo sosia...”.
Il 20 novembre 1994,
in un turno di elezioni amministrative con tre milioni di elettori, il Ppi
ottenne il 12,7%. A Brescia grande successo di Martinazzoli (41,1%), che fu
eletto sindaco dopo il ballottaggio.
Il 21 dicembre, dopo
soli sei mesi di vita, cadde il governo Berlusconi per una mozione di sfiducia
presentata due giorni prima da Ppi e Lega. Il 13 gennaio 1995 Scalfaro affidò
il nuovo incarico a Lamberto Dini, che già il giorno 17 poté costituire un
esecutivo composto di soli tecnici, come aveva chiesto il Ppi. Il nuovo governo
passerà alla Camera (25 gennaio) con 302 sì, 270 astenuti e 39 no.
Il 27
gennaio 1995, Buttiglione non partecipò ad un previsto incontro politico con
Bossi, D'Alema e Segni, che pareva dovesse prefigurare la formazione di una
nuova maggioranza, e l'indomani presenzia invece al Congresso del Msi a Fiuggi,
dimostrando di apprezzare lo strappo compiuto da Fini. Vivace fu il dissenso
delle sinistre interne. Il 30 Buttiglione dichiarò: “Dobbiamo correre il
rischio di un'alleanza con An”.
Il 2
febbraio dai capigruppo popolari di Camera e Senato, Andreatta e Mancino, e dal
presidente del Consiglio Nazionale del Ppi, Giovanni Bianchi, venne
formalizzata la candidatura di Romano Prodi alla guida di uno schieramento di
centro-sinistra. L'indomani e il giorno 7 l'iniziativa fu stigmatizzata dalla
Giunta esecutiva e dalla Direzione del partito. Bianchi, Andreatta e Mancino furono
deferiti ai probiviri.
Tra l’8 e l’11 marzo Buttiglione
firmò un accordo elettorale con i leader del Polo in vista delle amministrative
del 23 aprile. Tre giorni dopo, il Consiglio Nazionale del partito approvò, con
102 voti contro 99, un documento che respinse quell'accordo. Il segretario, che
si era impegnato a dimettersi in caso di non approvazione del suo operato, rifiutò
di farlo perché considerava irregolare quella votazione a causa della decisione
del presidente del Cn Giovanni Bianchi di non ammettere al voto tre consiglieri
sospesi dal partito perché indagati dalla magistratura. Ricorsero ai probiviri.
Intanto il Cn fissò al 15 giugno la data del nuovo Congresso.
Il 14 marzo, il
collegio dei probiviri, che prima aveva ordinato a Giovanni Bianchi di
sospendere dal partito i tre consiglieri inquisiti, accolse (con 5 voti a
favore, tre contro e un astenuto) il ricorso di Buttiglione contro la delibera
del Consiglio Nazionale, che venne dichiarata nulla. Buttiglione destituì
Marini da segretario organizzativo e Borgomeo da direttore de Il Popolo.
Il 16 marzo, il
Consiglio Nazionale, presenti 114 membri su 215, elesse all'unanimità Gerardo
Bianco segretario del Ppi, affiancandogli un Comitato formato da Marini,
D'Andrea, Gargani e Pistelli. G. Bianchi fu incaricato di tutelare gli
interessi del partito anche in sede giudiziaria. Buttiglione disse che era
tutto illegale e sospese i 114 consiglieri.
In pratica ormai
esistevano due partiti popolari, quello di Buttiglione, legittimato dalla
delibera dei probiviri, cha a luglio prenderà il nome di CDU (Cristiano
Democratici Uniti) e quello di Bianco, il PPI, confermato dal voto del
Consiglio Nazionale. Del CCD ho già detto.