sabato 23 gennaio 2021

POST 25 – LA TERZA FASE DELLA FORMAZIONE E IL PREZIOSO INCONTRO CON TINA ANSELMI

Volevamo fare un balzo in avanti e ampliarci all’intera provincia, ma i traumatici eventi nazionali travolsero tutto. L’emozionante incontro con la partigiana Tina Anselmi e la nascita a Grosseto, il 25 maggio 1994, del Centro Politico Ildebrando da Soana. Centro nato e morto

Il 1993 fu l’anno della SFISP dedicata ai formatori.

Organizzammo la Scuola lungo un percorso rigoroso fatto di 8 incontri, uno ogni 15 giorni, introdotti dalla lettura e il commento di don Enzo Baccioli, arciprete di Sorano (che ricordo con tanto affetto) di brani della Sacra Scrittura e del magistero sociale della Chiesa e conclusi dall’adorazione eucaristica. Momenti che volevano significare, nella laicità degli argomenti trattati, l’origine cristica (mi si passi il termine) di quel nostro riflettere, studiare e poi operare. Gli demmo questo taglio perché tutti gli iscritti avevano una chiara appartenenza cristiana.

Le tematiche furono trattate dal sottoscritto, da don Sandro Lusini, don Pietro Natali, Antonio Magliulo, Padre Vincenzo D’Ascenzi, don Enzo Di Francesco, Lapo Pistelli, Bulfardo Romualdi.

Le relazioni erano organizzate in 4 interventi di 15 minuti, intervallati da 5 minuti di riflessione e di annotazione su una scheda dei contenuti fondamentali, i concetti-novità, le fonti; poi le eventuali integrazioni, i chiarimenti, le osservazioni e l’attualizzazione. Al termine seguiva un ampio dibattito tra tutti i presenti. I relatori furono tutti di ottimo livello e, da qualche parte del mio archivio, dovrei avere i testi dei loro interventi sbobinati.

A quei momenti rigorosi di formazione parteciparono circa 15 persone e tutte ne furono edificate. Un piccolo gruppo, ma anche gli apostoli erano 12.

 

Ad agosto del 1993 – mentre in Italia stavano accadendo cose eclatanti ed altre sarebbero avvenute da lì a poco ed io (insieme ad alcuni amici) avevo iniziato ad impegnarmi direttamente in campo partitico – ci ritrovammo a Borgo Carige per riflettere sulle future azioni della scuola.

La riflessione si mosse su un duplice livello: quello di continuare la formazione dei formatori e – cosa che ci interessava più di tutte – iniziare a sperimentare interventi formativi a livello di base (parrocchia, gruppi, associazioni, realtà civile). Ma per i formatori quale ulteriore livello di approfondimento scegliere? E sempre con persone di alto livello? Eravamo in grado di proseguire su quella linea? In secondo luogo, in una lettera di quel periodo, il vescovo diocesano aveva detto che le scuole di formazione politica dovevano svolgere un’azione permanente col duplice scopo di animare il popolo cristiano e far emergere vocazioni sociali. E che quel percorso politico andava fatto oltreché con i fratelli nella fede anche con quelli di altre fedi. Ci domandavamo pertanto se fosse il caso di tentare l’organizzazione di percorsi di formazione politica, per così dire, laici, volti ad una educazione civica post-moderna. Senza partire subito dall’ispirazione religiosa, come invece avevamo fatto in precedenza (e l’atto istitutivo della scuola lasciava aperte entrambe le possibilità).

Le questioni non si sciolsero immediatamente, poi la situazione subì accelerazioni fortissime. In Italia stava accadendo il finimondo (crollo dei partiti della prima repubblica, nascita della gioiosa macchina da guerra occhettiana, discesa in campo del cavaliere di Arcore, cattolici del PPI sballottati, voto cattolico in libera uscita…) e da noi la guida della diocesi passò da Eugenio Binini a Giacomo Babini, due sensibilità piuttosto diverse: estroverso e aperto al nuovo, il primo; introverso e timoroso delle novità, il secondo.

Per noi fu difficile continuare a reperire persone qualificate e in diversi di coloro che avevano preso parte alla scuola per formatori nacque forte un desiderio più che altro volto alla concretizzazione delle cose acquisite, dell’insegnamento sociale cristiano e all’aggregazione di nuovi amici. Così infatti avvenne e quando le forze si direzionano in una parte, ti trovi sguarnito dall’altra.

 

Nonostante ciò tra l’agosto 1993 e il maggio 1994 i singoli membri dell’ufficio organizzarono incontri e presero parte ad iniziative sociali da altri organizzate. Trentaquattro attività non furono poche. E Padre Vincenzo D’Ascenzi (che ricordo con emozione e stima), in quel periodo inviato a Orbetello, volle replicare nel quadro della più ampia attività pastorale parrocchiale gli argomenti trattati nella Scuola diocesana. Si potrebbe dire che la terza fase partì, ma di lì a poco sarà travolta dagli eventi e dalla scarsissima sensibilità sociale dei cattolici della nostra diocesi, salvo lodevoli eccezioni. Scorrendo il bollettino delle attività, è possibile notare come le azioni dei responsabili della scuola – sempre rimasta autonoma da tutti – iniziarono inesorabilmente ad intrecciarsi con l’attività partitica provinciale: la fase terminale della DC, il balbettante inizio del PPI, la nascita del Polo della democrazia e della solidarietà. Inoltre, è possibile anche registrare gli incontri che porteranno alla nascita (sulla carta) del Centro Politico Ildebrando da Soana, struttura di riflessione, di elaborazione progettuale cristianamente ispirata, di dialogo con tutti, nata tra le tre diocesi della provincia di Grosseto.

L’avventura decollò il 12 ottobre 1993 a Grosseto e atterrò (dopo 9 incontri) il 25 maggio 1994 sempre a Grosseto, in Chiasso degli Zuavi 6, con la presentazione ufficiale (per leggere l’atto costitutivo andare su questo link: https://docs.google.com/document/d/19_Ura_LpN0UdL_31TNqSnQR9qbsm10Bn/edit ).

 

Il finimondo nazionale intanto era sfociato con le elezioni del 27 marzo 1994, seguite allo scandalo suscitato dall’inchiesta mani pulite: Silvio Berlusconi (quello della Pamela, Bobby, J.R., Bim Bum Bam, Drive in) con il partito da lui fondato in pochi mesi, era riuscito ad inglobare estese sacche di voto cattolico, tanto da far parlare di nuova Dc. La lega Nord aveva intercettato anch’essa vaste praterie dei cattoliconi del nord-est. Il PPI era sballottato tra Martinazzoli, Buttiglione e, in seguito, Bianco, quando nascerà anche il CDU del defenestrato Buttiglione. Insomma, un casino.

Tutto questo ebbe anche in noi risonanze fortissime, che in seguito ci condurranno a tentare l’esperienza politica e amministrativa sulla linea di profonde innovazioni.

 

Come scuola ci portarono anche ad organizzare un altro incontro di notevole livello.

Il 29 ottobre 1994 alle ore 16 nella sala convegni della parrocchia di Neghelli avemmo l’onore di avere tra noi Tina Anselmi che invitammo a svolgere una riflessione su L’attuale situazione politica italiana tra l’apparenza e la sostanza. Dirigente sindacale (dal 1945 al ’55), poi ministro del lavoro nel 3° governo Andreotti (prima donna nella storia italiana ad essere titolare di un dicastero) e della sanità nel 4° e 5° Andreotti, presidente nel 1980 della delicatissima (e rischiosissima) Commissione d’inchiesta sulla Loggia massonica coperta Propaganda 2 (P 2), ci sembrava proprio la persona adatta a descrivere i tratti portanti e le linee sottotraccia della politica italiana. E lo fece di par suo, con delicatezza e decisione, per la soddisfazione di tutti i presenti.

Anche in questo caso ebbi la fortuna di accompagnarla a Firenze e lungo la strada trafficata e piovosa di quel pomeriggio la bombardai di domande: sui politici attuali, sui personaggi democristiani del passato, su Aldo Moro e… Giulio Andreotti.

Il solo fatto di averla contattata, portata a Orbetello, aver potuto colloquiare con lei che, durante la Resistenza aveva fatto la staffetta partigiana, mi riempì di profonda gioia.

 

Avevo anche pensato di organizzare un incontro della Scuola con Walter Veltroni, dal 1992 direttore de L’Unità, che stava usando parole nuove nella sinistra italiana e – tra l’altro – aveva anche iniziato a veicolare i vangeli con il suo giornale. Lo proposi al vescovo Babini che, prima con una circonlocuzione, poi direttamente, mi invitò a desistere.

E, uso ad obbedir tacendo, non detti seguito a quell’iniziativa.

Anche perché per me si avvicinava, a mia insaputa, il ciclone politico-amministrativo.


29 ottobre 1994. incontro con Tina Anselmi; al tavolo Stefano Gentili e Mauro Schiano

Antonio Magliulo (1962) è professore ordinario di Storia del pensiero economico presso la Facoltà di Economia dell'Università degli Studi Internazionali di Roma, dove insegna anche Political Economy of Italy



mercoledì 20 gennaio 2021

POST 24 – GLI INCONTRI FORMATIVI CON ROBERTO ZACCARIA E PAOLO GIUNTELLA

Il pluralismo e la democrazia nell’informazione ci preoccupavano molto, come il futuro del cattolicesimo democratico. Ci chiedemmo onestamente se avevamo ragione noi oppure i vari Socci, Fontolan, Il Sabato, che denunciavano una corrosione protestante del cattolicesimo politico

L’anno successivo, insieme agli amici della prima ora, redigemmo per la SFISP una batteria d’incontri (da tenere tra metà ’91 e metà ’92), per i quali predisponemmo anche delle dispense di approfondimento. Scegliemmo temi che allora ci sembravano attuali, innovativi o comunque stimolanti.

Partecipazione popolare e diritti dei cittadini negli statuti delle autonomie locali (a seguito della riforma delle autonomie locali prodotta dalla legge 142 del 1990).

Quali riforme per sbloccare la democrazia. Il nodo della riforma elettorale (era il tempo di Mariotto Segni, della sua idea di introdurre in Italia la legge elettorale maggioritaria al posto della proporzionale e del travolgente referendum del 1991 sulla preferenza unica).

Pluralismo e democrazia nell’informazione. Il 6 agosto del 1990 era stata approvata la cosiddetta legge Mammì, legge detta polaroid, che seguiva un periodo nel quale si era costituito una sorta di monopolio della televisione privata da parte della Fininvest, al di fuori della legge, cioè contro il divieto di interconnessione, che aveva portato ai famosi tre decreti Berlusconi firmati da Craxi tra il 1984 e il 1985, finalizzati a contrastare gli interventi della magistratura tesi ad impedirne la diffusione su scala nazionale.

Le grandi sfide etiche del nostro tempo (dalla sfida ecologica a quella bioetica allo sviluppo solidale erano questioni che ci apparivano allora come tremendamente attuali).

Il futuro del cattolicesimo democratico. La Dc era in decomposizione, tra i gruppi cattolici c’era Comunione e Liberazione e il suo braccio finanziario e operativo della Compagnia delle opere, che si muoveva come una vera e propria lobby, una rete ramificata che si sviluppava al nord e al sud e giungeva ai banchi del Parlamento e del governo, tutta stretta attorno al proprio Parsifal, Roberto Formigoni. Erano interessanti e ottenevano molto successo (e vi ricordo alcuni cari amici), ma erano caratterizzati da una visione chiusa, autosufficiente, protesa a fronteggiare il mondo. Non erano i soli; i movimenti di quel periodo lo erano praticamente tutti.

Insistendo marcatamente sull’identità e sulla purezza della propria esperienza, fornivano ai propri adepti il fuoco sacro dell’appartenenza e l’ardore missionario della conquista. Ma potevano rappresentare qualcosa di utile per il futuro del cattolicesimo politico?

 

Noi, l’Azione Cattolica, e quelli che si richiamavano al cattolicesimo democratico sembravamo più tiepidi (ma dentro ardeva il fuoco): parlavamo di scelta religiosa, di cordiale dialogo col mondo, di apertura alle ragioni altrui per provare a trovare sintesi ulteriori.

Di fronte a tutte queste opzioni – laicamente – ci ponemmo il quesito se, quel tipo di cattolicesimo che ci aveva catturati, fosse ancora attuale e potesse dire parole, magari miti, che sapevano di futuro. Oppure avessero ragione Socci, Fontolan, Il Sabato, L’Avvenire di Gian Guido Folloni, che denunciavano una corrosione protestante del cattolicesimo politico provocata da quei “cattolici intellettuali – fra i discendenti del gruppo di Cronache Sociali – che dal 1974 va sotto la definizione cattolici democratici”.

 

Per trattare gli argomenti previsti pensammo, ancora una volta, a persone particolarmente qualificate. Per il primo argomento invitammo Giovanni Moro, segretario generale di Cittadinanza Attiva. Per il secondo tentammo di contattare Rosy Bindi. Per il tema sull’informazione invitammo Roberto Zaccaria, docente universitario di diritto costituzionale e diritto dell’informazione. Per le grandi sfide etiche avevamo pensato ad un referente della Caritas Italiana. Per il quinto tema invitammo il giornalista Paolo Giuntella, fondatore della Rosa Bianca, associazione cattolica il cui nome si ispirava a quello di giovani cattolici e protestanti oppositori del nazismo.

Giovanni Moro non si rese disponibile, Rosy Bindi fu difficile contattarla e con la Caritas non quagliammo. Riuscimmo a traghettare Roberto Zaccaria e Paolo Giuntella.

 

Il primo partecipò all’iniziativa che si tenne a Pitigliano nella Sala Petruccioli, sul pluralismo e la democrazia nell’informazione, e fu seguita da circa una cinquantina di persone. Interessante anche se piuttosto tecnico.

Paolo Giuntella (che avevamo incontrato più volte ai convegni estivi di Brentonico) venne con una parte della sua famiglia e la sua familiare a Scansano. Era un poeta ma la sua analisi fu molto precisa. Era anche radicale, nel senso di chi va alla radice dei problemi e delle soluzioni, per questo sembrava un po’ utopico. A noi piacque molto. Se non ricordo male, sul futuro del cattolicesimo democratico si dimostrò abbastanza perplesso. L’incontro si concluse con una escursione cibaria da Maria alla Capitana di Montiano. Ottimo pomeriggio!

Paolo Giuntella


venerdì 15 gennaio 2021

POST 23 – LA FORMAZIONE ALL’IMPEGNO POLITICO E SOCIALE IN DIOCESI: LEOLUCA ORLANDO E PADRE SORGE

Eravamo quattro amici al bar quando facemmo decollare la SFISP (Scuola di formazione all’impegno sociale e politico), che partì ufficialmente il 1 gennaio 1990. Dalla fase preparatoria all’avvio vero e proprio

Proprio nel tentativo di offrire una piccola nostra risposta alla crisi culturale che investiva anche le periferie e per sensibilizzare, specie (ma non solo), il mondo cattolico nostrano (che mondo non era mai stato), dopo una serie di incontri preparatori avviammo l’esperienza della Scuola di Formazione all’Impegno Sociale e Politico (d’ora innanzi SFISP) che si collocava nel quadro delle attività degli uffici della Chiesa diocesana. Agivamo in piena autonomia, come si conviene ai cristiani laici, assumendoci totalmente la responsabilità delle scelte relative alle tematiche da trattare, alle persone da invitare, alle modalità organizzative da porre in essere. Il Vescovo Eugenio Binini ci incoraggiava e noi lo tenevamo costantemente informato sulle idee e le iniziative.

 

La SFISP partì ufficialmente il 1 gennaio 1990 con sede presso il Centro Studi Politici e Sociali collocato nella Fortezza Orsini di Pitigliano al numero 19.

Il centro studi doveva servire come punto di riferimento bibliografico per approfondire le questioni più rilevanti. Vi portai molto materiale che nel tempo avevo selezionato, diversi miei libri di studio, altri ne acquistammo. Ma, purtroppo, debbo ammettere che fu un fallimento: vi stazionavo quasi sempre solo io e raramente qualcuno si affacciò col desiderio di studiare, approfondire, dibattere. Molti anni dopo fu spostato con tutto il materiale alla casa del giovane sempre di Pitigliano e lì è giaciuto fino a metà 2020, quando è stato proprio sepolto.

 

La SFISP, si diceva nell’atto d’indizione, “sullo stile della Agorà, si propone l’obiettivo di rappresentare uno spazio di libero dibattito e ricerca sui grandi temi del nostro tempo e vuole essere un luogo dove – nel confronto pluralista – ci si abilita ad un atteggiamento critico nei confronti della realtà, in grado di cogliere le dinamiche dell’attuale fase storica, per giudicarle e inserirvisi attivamente e orientando anche la trasformazione delle strutture sociali”.

L’intento della SFISP oltrepassava “il piano ideologico e quello contingente dei programmi dell’una e dell’altra forza sociale e politica, collocandosi a monte, sul piano della coscienza personale e sociale, in costante confronto con i valori fondamentali dell’uomo, illuminati dalla visione cristiana della vita. Ciò nel sommo rispetto della libera coscienza di ciascuno, della laicità della politica e del legittimo pluralismo delle opzioni possibili”.

La SFISP, si aggiungeva, “non vuole essere un corso di cultura civile e politica rivolta a un pubblico di curiosi, ma – proprio perché scuola – intende contribuire alla preparazione morale e professionale, all’impegno e alla ricerca nei diversi ambiti della realtà sociale e politica”.

“Eticità e competenza, democrazia e cittadinanza, partecipazione e solidarietà sono le idee guida della scuola”, che “è aperta a tutti, credenti e non credenti, giovani e adulti” ed “è un’esperienza nella quale lo stile dell’amicizia e della convivialità deve essere l’elemento preminente e trainante”.

Cosicché, “contaminandosi reciprocamente negli aspetti nobili delle diverse culture e dei molteplici ideali e stili di vita, le donne e gli uomini di questa nostra terra sappiano costruire una città dell’uomo veramente a misura d’uomo”.

Con la precisazione finale che “la partecipazione alla scuola non assicura benemerenze o percorsi privilegiati in nessun campo”.

 

Mi sono dilungato per far comprendere lo stile di quell’esperienza, che da alcuni sarà snobbata, da altri avversata, da un piccolo gruppo apprezzata e fortemente sentita. Ma anche per far comprendere che fu un ufficio di curia un po’ sui generis. Per la sua autonomia e la storia dei suoi primi componenti era collocato sulla soglia tra chiesa e mondo. Non tutto dentro, né tutto fuori. Ancora oggi a me sembra la collocazione corretta del laico cristiano adulto.

 

Ripensando a quell’esperienza, ricordo alcune fasi. Una preparatoria, poi l’avvio vero e proprio, quindi una più adeguata strutturazione. La fase preparatoria è tutta nel 1989. In quell’anno promuovemmo una serie di piccoli incontri, anche nella casa del seminario di Valentano, proprio per verificare la fattibilità di un’esperienza per la formazione all’impegno politico. Fu durante quei colloqui che intravedemmo le tre linee sulle quali muoversi: una rivolta al grande pubblico, su temi attuali e con protagonisti rilevanti della vita sociale, politica ed ecclesiale italiana; una seconda, tesa a formare i formatori, un gruppo di persone disponibili a fare un percorso rigoroso di approfondimento storico-culturale. Per poi avviare un terzo periodo, quello della diffusione capillare dell’attività di formazione all’impegno socio-politico, attraverso le parrocchie o le vicarie, i gruppi e le associazioni disponibili.

 

L’avvio si ebbe nel 1990 e partì col botto.

Riuscimmo a portare a Pitigliano la persona politica più in vista del momento, il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando. Ricordo le lettere e le telefonate con i suoi collaboratori; sembrava difficilissimo riuscire ad averlo, ma improvvisamente una telefonata comunicò la sua disponibilità. E rammento anche la trepidazione per la sua accoglienza, la sala Ildebrando di Pitigliano prima visitata dalla Digos, la preparazione del cibo per poi farlo rifocillare riservatamente e in sicurezza presso l’episcopio (a cui lavorarono mia moglie e mia suocera), il ritardo con cui giunse (perché, dissero gli autisti, non si erano resi conto della strada), l’uscita dall’auto preceduto e seguito da personale di scorta con mitragliette, quindi il suo importante intervento in una sala stracolma di persone venute anche da oltre diocesi.

Demmo all’incontro il titolo: “Per una politica rinnovata”, perché era quello che tutti desideravamo: una politica nuova fatta da persone nuove e Orlando allora rappresentava una speranza. Lo guardavamo con trepidazione muoversi sulla lama del rasoio, consapevoli che stava rischiando l’osso del collo. Tutto qui. Senza nessuna personale adesione alla sua persona o alla sua rete, come invece tendeva a far credere un articoletto de Il Tirreno che mi indicava come un suo fedelissimo. Ma, come è noto, i giornalisti talvolta semplificano e talaltra fanno confusione, altre volte sono puntuali e precisi.

 

L’altro appuntamento di grande rilievo si svolse nel giugno 1990 ad Orbetello con Padre Bartolomeo Sorge che ci intrattenne sulla situazione attuale del paese e della chiesa italiana, indicando alcune prospettive per la traversata. Tema caro anche a Orlando, che pochi mesi prima, ci aveva invitati ad uscire dalla cultura della tenda e ad equipaggiarsi per quella della traversata.

Anche in P. Sorge intravedevamo una mente lucidissima e sapiente, adatta proprio per quel tempo di sbandamento e drammatica transizione (anche se alcuni beati non se ne erano neppure accorti, della transizione e del dramma. E del treno che stava arrivando). Ero andato a prenderlo a Roma insieme a Bruno Piccolotti e ve lo ricondussi la mattina seguente, dopo aver dormito da don Lido. L’incontro con Padre Sorge fu molto stimolante, ma confesso che ancor più significativa fu la chiacchierata che liberamente facemmo in macchina sulla Chiesa e alcuni suoi uomini, sulla politica e i suoi protagonisti, sullo stesso Orlando.

I 4 amici al bar: Aligi Corazzini, Stefano Gentili, Paolo Vignoli, Bruno Piccolotti

1990. Leoluca Orlando accolto da Stefano Gentili In Fortezza Orsini 
Leoluca e il vescovo Eugenio Binini


1990. Padre Bartolomeo Sorge a Orbetello tra Stefano Gentili e il vescovo Eugenio Binini



giovedì 14 gennaio 2021

POST 22 – LA FORMAZIONE IN CENTOCITTÀ

L’attività formativa per me è sempre stata centrale, anche in campo socio-politico. L’intuizione della spinta al rinnovamento della politica da parte delle periferie: le cento città

Eravamo, dunque, alla fine degli anni ’80-inizio anni ’90. Si era chiusa la prima grande parentesi della mia vita: avevo poco oltre i 30 anni, ero sposato e da poco padre di due figli. Insegnavo alle superiori e avevo da pochi anni terminato la lunga esperienza di presidente dell’Azione Cattolica diocesana.

Si stava aprendo la seconda fase, dedicata quasi esclusivamente all’impegno sociale e politico.

 

Ma come detto, la formazione era un pallino fisso nella mente e per questo incrociai il Centro Toscano di Documentazione Politica, fondato da Lapo Pistelli nel 1987, che si occupava appunto di formazione politica e amministrativa e produceva riviste di approfondimento quali Schede, Schedapunto e Centocittà. Rinnovare la politica partendo dal concreto delle città, dalla vita reale delle persone vista con la lente dell’azione amministrativa. Ecco perché la formazione riguardava anche questioni di carattere generale, ma molto era incentrata sull’attività amministrativa (urbanistica, scuola, ambiente e via dicendo). E alle spalle di Centocittà esisteva l’intuizione della spinta propulsiva delle periferie, laddove si tentava di praticare tutti i giorni il rinnovamento dei contenuti e degli stili politici.

 

Ebbi modo di partecipare alla elaborazione di alcuni numeri del giornale Centocittà insieme a persone interessanti e desiderose di modificare le cose esistenti, specie nella DC nella quale, più o meno nauseati (per le vicende degli ultimi anni) prevalentemente continuavamo a militare. Nonostante io ed alcuni altri ne vedevamo l’evidente inarrestabile declino, specie dopo la caduta del muro di Berlino e l’iniziale aprirsi dei tombini delle fogne corruttive.

Talune persone che facevano parte di Centocittà raggiungeranno poi posti di responsabilità e rilievo a livello nazionale: Dario Franceschini, Giorgio Tonini, Stefano Ceccanti, Enrico Letta, Angelino Alfano. Oltre a Lapo Pistelli.

 

Mettendo la testa nel mio archivio ho ripescato due articoli che scrissi su Centocittà (I valori possono essere un macigno e Che ci fa Ogino con la pillola?) ed ho notato una cosa buffa. Il primo intervento (dell’autunno 1991) era posto sotto la rubrica, Cattolici democratici al bivio; oggi ho ricevuto il periodico Supplemento d’anima (n. 103 del 30 settembre 2014): il secondo articolo reca il titolo, Cattolici al bivio. Sono trascorsi 33 anni, non sembriamo più democratici e siamo sempre al bivio. Mamma mia. (Questo scrivevo nel momento della redazione di questo post). Oggi, oggi (2021) vedo alcuni che si pongono la stessa domanda. Va bene il nostro sacro principio del non appagamento, ma quando è troppo è troppo.











domenica 10 gennaio 2021

RI-FORMARE LA DE-FORMAZIONE

Siamo dunque alla fine degli anni ‘80 – primi anni ’90. Anni caotici ed esaltanti perché c’è la caduta del Muro di Berlino, la fine di un’epoca, l’ultima fase delle forze politiche tradizionali e lo scoperchiamento del tombino di tangentopoli

La crisi politica che sta investendo come un treno in corsa il sistema politico italiano è soprattutto figlia di una profonda crisi culturale. Siamo, infatti, ai titoli finali dei meravigliosi anni ’80 della Milano da bere, del potere per il potere, del via a un nuovo credo economico e di televisioni che dipingono nuovi mondi dalle tinte attraenti che hanno a che fare con la Pamela, Bobby, J.R., Bim Bum Bam, Drive in.

Ci troviamo anche in presenza di cattolici incapaci di interpretare e governare il nuovo. In me continuamente ronza un documento della CEI rivolto ai cattolici italiani del 1981, che in un passaggio dice: “C’è innanzi tutto da assicurare presenza. L’assenteismo, il rifiuto nel privato, la delega in bianco non sono leciti a nessuno, ma per i cristiani sono peccato di omissione”. Uno di periferia come me, cosa può fare?

In quel periodo si chiude la prima fase della mia vita e se ne apre un’altra, dedicata quasi esclusivamente all’impegno sociale e politico. Naturalmente la vita è un continuum e il bagaglio acquisito, con i suoi contenuti e le sue sensibilità, rimane.

Una delle cose rimaste è la centralità della formazione in tutti settori della vita. Anche in campo sociale e politico.

È questo il motivo che mi permette di incrociare il Centro Toscano di Documentazione Politica, fondato dal giovane ed esuberante Lapo Pistelli nel 1987. Ci si incontra a Firenze e dintorni, per elaborare idee capaci di innovare soprattutto la politica partendo dal concreto delle città. L’intuizione è proprio questa: il rinnovamento dei contenuti e degli stili politici può arrivare solo dalle periferie, le cento città. “Centocittà” è infatti il titolo della rivista principale.

Inoltre, insieme ad altri amici (Bruno Piccolotti, Luigi Corazzini, Paolo Vignoli in primis), avviamo l’esperienza di formazione all’impegno sociale e politico in collegamento con la Chiesa diocesana: decolla un percorso formativo e organizziamo incontri con testimoni privilegiati. Il 1 gennaio 1990 nasce la Scuola di Formazione all’Impegno Sociale e Politico e a corredo di questa invitiamo testimoni privilegiati: Leoluca Orlando, Padre Bartolomeo Sorge, Roberto Zaccaria, Paolo Giuntella, Tina Anselmi, che dall’81 all’85 aveva svolto il ruolo scomodo di presidente della commissione sulla Loggia Massonica P2. 

Il Vescovo diocesano Eugenio Binini scommette sul nostro arduo tentativo e lo asseconda. Di questo gli rendo grazie. Perché dell’ambito ecclesiale sono veramente pochi coloro che ci spingono ad andare avanti e pregano per noi.


Il Vescovo diocesano Eugenio Binini


martedì 5 gennaio 2021

POST 20 – L’INATTESO LAVORO E L’ATTESO INCONTRO CON ROSSELLA, POI DUE LAMPI

Sono diventato insegnante di religione quasi per caso. Quell’opportunità mi permise di coronare il desiderio di sposare Rossella, il mio amore grande. Poco dopo due lampi: Giovanni e Lucia

 

Nel 1984 (forse marzo) don Giglio Mastacchini mi telefonò inaspettatamente dalla Curia di Pitigliano per chiedermi se fossi stato disponibile a svolgere una piccola supplenza di Religione Cattolica presso il Magistrale di Sorano: “ti prego Stefano – mi disse – non sappiamo chi mandarci”. Iniziò così l’avventura professionale (o vocazionale) che mi ha offerto la soddisfazione di lavorare e il pane per sopravvivere sino al 2007 quando, per motivi di salute, sono stato costretto ad andare in pensione per inabilità. In seguito, naturalmente, mi sono iscritto all’Istituto di Scienze Religiose S. Bonaventura di Viterbo, ho sostenuto 27 esami e – dopo l’interruzione di qualche anno – mi sono diplomato discutendo una tesi su Insegnamento sociale cristiano, pensiero politico cristiano, realtà sociale: quali interazioni? per la quale mi fu indicata una divulgazione in fascicoli (cosa che puntualmente, come per la tesi di laurea, non feci).

 

Nello stesso periodo, come d’incanto, si svela il velato: sento di amare una giovane, che improvvisamente intuisco innamorata di me. Oddio, che botta! Anzi che luce! La seconda luce della mia vita: quella dell’amore. E chi se l’aspettava. Rossella, giovane universitaria, poi insegnante di Lingue e letteratura straniera, accetterà nel 1986 di diventare mia moglie, dopo che per anni avevamo frequentato lo stesso gruppo e fatto le stesse esperienze, senza che nulla lasciasse intravedere l’esito.

Da circa quattro anni prima avevamo iniziato a frequentarci e lentamente capimmo di essere chiamati all’avventura matrimoniale. Detto così sembra semplice, ma io e Rossella, come altri amici che frequentavano i gruppi parrocchiali, eravamo stati abituati ad interrogarci su quale fosse la nostra vocazione, senza escludere nessuna possibilità. E probabilmente entrambi avevamo messo in cantiere la possibilità di consacrare la nostra vita ad un percorso religioso.

Col tempo, il dialogo e il confronto con altre persone, comprendemmo che probabilmente eravamo chiamati a consacrare la nostra vita nel matrimonio.

Decidemmo così il gran passo, anche perché dall’anno scolastico 1984/85 iniziai a lavorare con continuità (continuità un po’ strana, perché ogni fine anno scolastico venivo licenziato e poi riassunto).

 

Ci sposammo il 21 giugno 1986. Per la parte culinaria avevamo organizzato al ristorante Corano una cena all’aperto intorno alla piscina, ma il tempo ci costrinse a ripiegare all’interno, facendo un po’ perdere la magia della serata, per quei tempi abbastanza innovativa, abituati come si era a stare al chiuso di ristoranti o trattorie e ad ingolfarci di lasagne, tagliatelle, arrosto misto, patate, torta e confettate. Ma i circa 200 invitati, tra parenti cari e amici carissimi, ci comunicarono una gioia che non ci ha più abbandonato.

La parte forte fu naturalmente la celebrazione nunziale. Avevo detto a Rossella che se faceva tardi non l’avrei sposata e arrivò puntualissima. Anzi, rischiai di arrivare secondo. A parte gli scherzi, entrambi avevamo un forte rispetto per gli invitati e per Colui che ci aveva invitati alla mensa della Parola e del Pane. Alle 17,10 iniziò la celebrazione, presieduta dal parroco don Lucio Mattei e concelebrata da altri 12 sacerdoti che per noi avevano rappresentato qualcosa di importate nella vita o con i quali avevamo condiviso un percorso di fede, anche se non poterono venire tutti quelli che avevamo invitato. Ricordo don Icilio, don Lido, P. D’Ascenzi, don Giorgio, don Maurilio, don Sandro, il diacono don Giampietro.

Gli amici curarono i canti che avevamo scelto e li eseguirono in maniera sublime. Le letture inneggiavano all’amore, all’accoglienza, alla riconoscenza. Ci credevamo proprio. Poi le promesse, lo scambio degli anelli e l’applauso. Quindi l’Eucaristia, che per la prima volta ricevevamo da sposati.

Sensazioni forti, non c’è dubbio, che non ci hanno più abbandonato in questi anni.

Come non mi ha più abbandonato, anzi è aumentato, l’amore per Rossella, per me sposa, amica, sorella.

A lei voglio dedicare alcune parole di Jovanotti, tratte dal brano A te.

“A te che sei la miglior cosa che mi sia successa.

A te che non ti piaci mai e sei una meraviglia.

A te che sei l’unica amica che io posso avere.

A te che hai reso la mia vita bella da morire.

A te che sei il mio grande amore ed il mio amore grande, a te che hai preso la mia vita e ne hai fatto molto di più.

A te che sei, semplicemente sei, sostanza dei giorni miei…compagna dei giorni miei…”.

Di lì a poco la nostra famiglia viene illuminata da due lampi: la nascita di Giovanni nel 1988 e di Lucia nel ’90. La terza luce della mia vita: quella della gioia.