Eravamo quattro amici al bar quando facemmo decollare la SFISP (Scuola di formazione all’impegno sociale e politico), che partì ufficialmente il 1 gennaio 1990. Dalla fase preparatoria all’avvio vero e proprio
Proprio nel tentativo di offrire una piccola nostra risposta alla crisi
culturale che investiva anche le periferie e per sensibilizzare, specie (ma non
solo), il mondo cattolico nostrano (che mondo non era mai stato), dopo una
serie di incontri preparatori avviammo l’esperienza della Scuola di Formazione all’Impegno Sociale e Politico (d’ora innanzi
SFISP) che si collocava nel quadro delle attività degli uffici della Chiesa
diocesana. Agivamo in piena autonomia, come si conviene ai cristiani laici,
assumendoci totalmente la responsabilità delle scelte relative alle tematiche
da trattare, alle persone da invitare, alle modalità organizzative da porre in
essere. Il Vescovo Eugenio Binini ci incoraggiava e noi lo tenevamo
costantemente informato sulle idee e le iniziative.
La SFISP partì ufficialmente il 1
gennaio 1990 con sede presso il Centro Studi Politici e Sociali collocato
nella Fortezza Orsini di Pitigliano al numero 19.
Il centro studi doveva servire
come punto di riferimento bibliografico per approfondire le questioni più
rilevanti. Vi portai molto materiale che nel tempo avevo selezionato, diversi
miei libri di studio, altri ne acquistammo. Ma, purtroppo, debbo ammettere che
fu un fallimento: vi stazionavo quasi sempre solo io e raramente qualcuno si
affacciò col desiderio di studiare, approfondire, dibattere. Molti anni dopo fu
spostato con tutto il materiale alla casa del giovane sempre di Pitigliano e lì
è giaciuto fino a metà 2020, quando è stato proprio sepolto.
La SFISP, si diceva nell’atto d’indizione, “sullo stile della Agorà, si propone
l’obiettivo di rappresentare uno spazio di libero dibattito e ricerca sui
grandi temi del nostro tempo e vuole essere un luogo dove – nel confronto
pluralista – ci si abilita ad un atteggiamento critico nei confronti della
realtà, in grado di cogliere le dinamiche dell’attuale fase storica, per
giudicarle e inserirvisi attivamente e orientando anche la trasformazione delle
strutture sociali”.
L’intento della SFISP oltrepassava “il piano ideologico e quello contingente
dei programmi dell’una e dell’altra forza sociale e politica, collocandosi a
monte, sul piano della coscienza personale e sociale, in costante confronto con
i valori fondamentali dell’uomo, illuminati dalla visione cristiana della vita.
Ciò nel sommo rispetto della libera coscienza di ciascuno, della laicità della
politica e del legittimo pluralismo delle opzioni possibili”.
La SFISP, si aggiungeva, “non vuole essere un corso di cultura civile e politica rivolta a un
pubblico di curiosi, ma – proprio perché scuola – intende contribuire alla
preparazione morale e professionale, all’impegno e alla ricerca nei diversi
ambiti della realtà sociale e politica”.
“Eticità e competenza,
democrazia e cittadinanza, partecipazione e solidarietà sono le idee guida
della scuola”, che “è aperta a tutti, credenti e non credenti,
giovani e adulti” ed “è un’esperienza
nella quale lo stile dell’amicizia e della convivialità deve essere l’elemento
preminente e trainante”.
Cosicché, “contaminandosi
reciprocamente negli aspetti nobili delle diverse culture e dei molteplici
ideali e stili di vita, le donne e gli uomini di questa nostra terra sappiano
costruire una città dell’uomo veramente a misura d’uomo”.
Con la precisazione finale che “la partecipazione alla scuola non assicura benemerenze o percorsi
privilegiati in nessun campo”.
Mi sono dilungato per far comprendere lo
stile di quell’esperienza, che da alcuni sarà snobbata, da altri avversata,
da un piccolo gruppo apprezzata e fortemente sentita. Ma anche per far
comprendere che fu un ufficio di curia un po’ sui generis. Per la sua autonomia
e la storia dei suoi primi componenti era collocato sulla soglia tra chiesa e
mondo. Non tutto dentro, né tutto fuori. Ancora oggi a me sembra la
collocazione corretta del laico cristiano adulto.
Ripensando a quell’esperienza,
ricordo alcune fasi. Una preparatoria,
poi l’avvio vero e proprio, quindi una più adeguata strutturazione. La fase preparatoria è tutta nel 1989. In
quell’anno promuovemmo una serie di piccoli incontri, anche nella casa del
seminario di Valentano, proprio per verificare la fattibilità di un’esperienza
per la formazione all’impegno politico. Fu durante quei colloqui che
intravedemmo le tre linee sulle quali muoversi: una rivolta al grande pubblico,
su temi attuali e con protagonisti rilevanti della vita sociale, politica ed
ecclesiale italiana; una seconda, tesa a formare i formatori, un gruppo di
persone disponibili a fare un percorso rigoroso di approfondimento
storico-culturale. Per poi avviare un terzo periodo, quello della diffusione
capillare dell’attività di formazione all’impegno socio-politico, attraverso le
parrocchie o le vicarie, i gruppi e le associazioni disponibili.
L’avvio si ebbe nel
1990 e partì col botto.
Riuscimmo a portare a Pitigliano la persona politica più in vista del
momento, il sindaco di Palermo, Leoluca
Orlando. Ricordo le lettere e le telefonate con i suoi collaboratori;
sembrava difficilissimo riuscire ad averlo, ma improvvisamente una telefonata
comunicò la sua disponibilità. E rammento anche la trepidazione per la sua
accoglienza, la sala Ildebrando di Pitigliano prima visitata dalla Digos, la
preparazione del cibo per poi farlo rifocillare riservatamente e in sicurezza
presso l’episcopio (a cui lavorarono mia moglie e mia suocera), il ritardo con
cui giunse (perché, dissero gli autisti, non si erano resi conto della strada),
l’uscita dall’auto preceduto e seguito da personale di scorta con mitragliette,
quindi il suo importante intervento in una sala stracolma di persone venute
anche da oltre diocesi.
Demmo all’incontro il titolo: “Per
una politica rinnovata”, perché era quello che tutti desideravamo: una
politica nuova fatta da persone nuove e Orlando allora rappresentava una speranza.
Lo guardavamo con trepidazione muoversi sulla lama del rasoio, consapevoli che
stava rischiando l’osso del collo. Tutto qui. Senza nessuna personale adesione
alla sua persona o alla sua rete, come invece tendeva a far credere un
articoletto de Il Tirreno che mi indicava come un suo fedelissimo. Ma, come è
noto, i giornalisti talvolta semplificano e talaltra fanno confusione, altre
volte sono puntuali e precisi.
L’altro appuntamento di grande rilievo si svolse nel giugno 1990 ad Orbetello con Padre Bartolomeo Sorge che ci
intrattenne sulla situazione attuale del
paese e della chiesa italiana, indicando alcune prospettive per la
traversata. Tema caro anche a Orlando, che pochi mesi prima, ci aveva invitati
ad uscire dalla cultura della tenda e ad equipaggiarsi per quella della
traversata.
Anche in P. Sorge intravedevamo una mente lucidissima e sapiente, adatta
proprio per quel tempo di sbandamento e drammatica transizione (anche se alcuni
beati non se ne erano neppure accorti, della transizione e del dramma. E del
treno che stava arrivando). Ero andato a prenderlo a Roma insieme a Bruno
Piccolotti e ve lo ricondussi la mattina seguente, dopo aver dormito da don
Lido. L’incontro con Padre Sorge fu molto stimolante, ma confesso che ancor più
significativa fu la chiacchierata che liberamente facemmo in macchina sulla
Chiesa e alcuni suoi uomini, sulla politica e i suoi protagonisti, sullo stesso
Orlando.
I 4 amici al bar: Aligi Corazzini, Stefano Gentili, Paolo Vignoli, Bruno Piccolotti 1990. Leoluca Orlando accolto da Stefano Gentili In Fortezza Orsini
Leoluca e il vescovo Eugenio Binini
1990. Padre Bartolomeo Sorge a Orbetello tra Stefano Gentili e il vescovo Eugenio Binini |
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