Sono diventato insegnante di religione quasi per caso. Quell’opportunità mi permise di coronare il desiderio di sposare Rossella, il mio amore grande. Poco dopo due lampi: Giovanni e Lucia
Nel 1984
(forse marzo) don Giglio Mastacchini mi telefonò inaspettatamente dalla Curia
di Pitigliano per chiedermi se fossi stato disponibile a svolgere una piccola
supplenza di Religione Cattolica presso il Magistrale di Sorano: “ti prego Stefano – mi disse – non sappiamo chi mandarci”. Iniziò così
l’avventura professionale (o vocazionale) che mi ha offerto la soddisfazione di
lavorare e il pane per sopravvivere sino al 2007 quando, per motivi di salute,
sono stato costretto ad andare in pensione per inabilità. In seguito,
naturalmente, mi sono iscritto all’Istituto di Scienze Religiose S. Bonaventura
di Viterbo, ho sostenuto 27 esami e – dopo l’interruzione di qualche anno – mi
sono diplomato discutendo una tesi su Insegnamento
sociale cristiano, pensiero politico cristiano, realtà sociale: quali
interazioni? per la quale mi fu indicata una divulgazione in fascicoli
(cosa che puntualmente, come per la tesi di laurea, non feci).
Nello stesso
periodo, come d’incanto, si svela il velato: sento di amare una giovane, che
improvvisamente intuisco innamorata di me. Oddio, che botta! Anzi che luce! La
seconda luce della mia vita: quella dell’amore. E chi se l’aspettava.
Rossella, giovane universitaria, poi insegnante di Lingue e letteratura
straniera, accetterà nel 1986 di diventare mia moglie, dopo che per anni
avevamo frequentato lo stesso gruppo e fatto le stesse esperienze, senza che
nulla lasciasse intravedere l’esito.
Da circa quattro
anni prima avevamo iniziato a frequentarci e lentamente capimmo di essere
chiamati all’avventura matrimoniale. Detto così sembra semplice, ma io e
Rossella, come altri amici che frequentavano i gruppi parrocchiali, eravamo
stati abituati ad interrogarci su quale fosse la nostra vocazione, senza
escludere nessuna possibilità. E probabilmente entrambi avevamo messo in
cantiere la possibilità di consacrare la nostra vita ad un percorso religioso.
Col tempo, il
dialogo e il confronto con altre persone, comprendemmo che probabilmente
eravamo chiamati a consacrare la nostra vita nel matrimonio.
Decidemmo
così il gran passo, anche perché dall’anno scolastico 1984/85 iniziai a
lavorare con continuità (continuità un po’ strana, perché ogni fine anno
scolastico venivo licenziato e poi riassunto).
Ci sposammo il 21 giugno 1986.
Per la parte culinaria avevamo organizzato al ristorante Corano una cena
all’aperto intorno alla piscina, ma il tempo ci costrinse a ripiegare
all’interno, facendo un po’ perdere la magia della serata, per quei tempi
abbastanza innovativa, abituati come si era a stare al chiuso di ristoranti o
trattorie e ad ingolfarci di lasagne, tagliatelle, arrosto misto, patate, torta
e confettate. Ma i circa 200 invitati, tra parenti cari e amici carissimi, ci
comunicarono una gioia che non ci ha più abbandonato.
La parte
forte fu naturalmente la celebrazione nunziale. Avevo detto a Rossella che se
faceva tardi non l’avrei sposata e arrivò puntualissima. Anzi, rischiai di
arrivare secondo. A parte gli scherzi, entrambi avevamo un forte rispetto per
gli invitati e per Colui che ci aveva invitati alla mensa della Parola e del
Pane. Alle 17,10 iniziò la celebrazione, presieduta dal parroco don Lucio
Mattei e concelebrata da altri 12 sacerdoti che per noi avevano rappresentato
qualcosa di importate nella vita o con i quali avevamo condiviso un percorso di
fede, anche se non poterono venire tutti quelli che avevamo invitato. Ricordo
don Icilio, don Lido, P. D’Ascenzi, don Giorgio, don Maurilio, don Sandro, il diacono
don Giampietro.
Gli amici
curarono i canti che avevamo scelto e li eseguirono in maniera sublime. Le
letture inneggiavano all’amore, all’accoglienza, alla riconoscenza. Ci
credevamo proprio. Poi le promesse, lo scambio degli anelli e l’applauso. Quindi
l’Eucaristia, che per la prima volta ricevevamo da sposati.
Sensazioni
forti, non c’è dubbio, che non ci hanno più abbandonato in questi anni.
Come non mi
ha più abbandonato, anzi è aumentato, l’amore per Rossella, per me sposa,
amica, sorella.
A lei voglio
dedicare alcune parole di Jovanotti, tratte dal brano A te.
“A te che sei la miglior cosa che mi sia successa.
A te che non ti piaci mai e sei una meraviglia.
A te che sei l’unica amica che io posso avere.
A te che hai reso la mia vita bella da morire.
A te che sei il mio grande amore ed il mio amore grande, a te che
hai preso la mia vita e ne hai fatto molto di più.
A te che sei, semplicemente sei, sostanza dei giorni miei…compagna
dei giorni miei…”.
Di
lì a poco la nostra famiglia viene illuminata da due lampi: la nascita di
Giovanni nel 1988 e di Lucia nel ’90. La
terza luce della mia vita: quella della gioia.
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