La famiglia in crescita. La scuola: li porto tutti nel cuore. La comunità ecclesiale: il Sinodo, il Vescovo Mario, l’Azione Cattolica
Terminata la faticaccia provinciale – a parte l’appendice di commissario del Parco della Maremma rischiosa come un’appendicite, che si concluse a dicembre ’99 con un altro passaggio di consegne, questa volta al Ds Giampiero Sammuri – rientrai nel quotidiano. L’atterraggio non fu semplice. Quattro anni prima ero stato messo dentro un razzo e sparato in cielo, ora ero stato gettato fuori dall’abitacolo, per di più senza paracadute. Per riprendermi dalle ammaccature ci volle del tempo. L’ammaccatura fisica invece non passerà più. Pian pianino mi riconciliai con la vita normale, quella della famiglia, della scuola, degli amici, della comunità ecclesiale. E recuperai serenità. Le parole di saluto del Vescovo Bassetti, simili a quelle di molti altri amici credenti, sacerdoti e laici – “Il Signore che ci è Padre e che così teneramente ama i Suoi Figli, ci terrà per mano e ci guiderà per quei sentieri che riterrà utili per un incontro con altri fratelli” – divennero la mia bussola. Dopo essere stato quattro anni tra rose, camelie e orchidee, ora ero tornato all’erba. Ma la vita è fatta di erba e il punto stava nel non essere nostalgico dei fiori del passato, ma di camminare, distendermi, inginocchiarmi sull’erba quotidiana e recuperare la sua straordinaria bellezza, arricchita da margherite e papaveri, il suo profumo e il familiare fruscio.
• Nei 4 anni di presidenza I MIEI FAMILIARI li avevo visti sì e no una volta alla settimana, ora potevo ammirarli tutti i giorni. Giovanni e Lucia erano diventati quasi adolescenti e le tappe principali erano scandite dai sacramenti dell’iniziazione cristiana, insieme alla scuola e al gruppo di amici. Mia moglie Rossella, alla quale ero profondamente grato per essersi sobbarcata l’intera fatica di seguire i figli, mi disse a fine ’99 che aspettavamo un altro bambino. La sorpresa fu seconda solo alla gioia. Erano trascorsi nove anni dalla nascita di Lucia e ci emozionammo come la prima volta. Il pupo sarebbe stato un bambino o una bambina del 2000 e questo rendeva la cosa ancora più eccezionale. A fine luglio di quell’anno nacque Samuele e il suo nome fu scelto, dopo un precedente dibattito, da Rossella pochi secondi dopo il parto. “Che nome diamo a questo bambino” chiese il dottor Cancemi, e Rossella: “Il suo nome è Samuele”. Il ballottaggio – che allora si poteva fare – era con Andrea.
Fu la quarta luce della mia vita: quella dello stupore per l’inatteso. L’ipotetico angelo che ha in mente i quasi 100 post, ricorderà le prime tre luci: quella dell’incontro con il Maestro, quella dell’amore per Rossella, quella della gioia per la nascita di Giovanni e Lucia. Ora s’era aggiunta la luce di Samuele, lo splendido inatteso.
• La ripresa dell’ATTIVITÀ SCOLASTICA mi fece riassaporare la naturalezza di un lavoro normale. L’insegnamento di religione è però un po’ particolare. Si va dalle “serenate nell’ora di ginnastica e di religione” di Battiato alla “figura di Gesù” di Vittorio Messori, per arrivare al Socrate “dell’io non posso insegnare niente a nessuno, io posso solo farli pensare”. La stringatezza dell’orario settimanale mi spingeva soprattutto a farli pensare, utilizzando spesso schede sulla storia del popolo ebraico, le religioni, Gesù, l’uomo, la morale, la società che stavamo costruendo, l’adolescenza, l’amore, la vita, la vita oltre la vita. L’insegnamento in sé, poi, è particolare per i rapporti che si creano in 5 anni di frequentazione con i ragazzi adolescenti, non più bambini e non ancora uomini o donne, con tutto quello che accade loro in quello straordinario periodo della vita. Non ho solo provato ad insegnare, ho anche imparato. Li ricordo tutti, li porto nel mio cuore, anche se non saprei più fare l’appello da Anzidei a Zammarchi.
Potei esercitare quel lavoro solo sino ad ottobre 2006 e ho ancora bei ricordi, anche delle visite guidate che allora stoicamente facevamo. Ne ricordo una bellissima a Praga (anche se la notte stavo semi-sveglio nel corridoio dell’albergo) e un’altra a Barcellona. L’appuntamento più struggente fu, però, la partecipazione al viaggio ad Auschwitz con il treno della memoria del 2005. Un vettore lento e diverse ore di viaggio – come diceva il sito dedicato – proprio per prendere le distanze da dove si era partiti e formare una comunità viaggiante per poi immergersi nella Città di Cracovia, nel Ghetto ebraico, nel Museo della Fabbrica di Schindler e nei Campi di Auschwitz e Birkenau. Che esperienza.
• Dalla COMUNITÀ ECCLESIALE non ero ovviamente mai uscito, ma per delicatezza ero stato a distanza visto il ruolo politico che ricoprivo. Come ho già avuto modo di dire nei primi post dedicati al mio ingresso in Provincia, le reazioni di alcuni esponenti di quel mondo erano allora state scintillanti. Eravamo nel 1995 e chi ricorda quel periodo sa quale era il travaglio dell’arcipelago cattolico nella transizione politica. Nel 2000 erano trascorsi cinque anni e il clima si era rasserenato, ma solo un po’. Notavo un atteggiamento ancora sospettoso nei miei riguardi, soprattutto da parte di quelli più vicini alle sacre tonache. Ero stato in politica e la politica è sempre di parte, poi avevo commesso l’imperdonabile peccato di essermi alleato con i nemici comunisti.
Comunque sia, insieme alla mia famiglia iniziai di nuovo a fare vita di comunità e ad offrire il mio contributo quando richiesto. Insieme a Rossella ci chiesero di nuovo di partecipare alla formazione dei fidanzati che si preparavano al matrimonio.
Mi fu anche fatto il dono di prendere parte al Sinodo Diocesano, primo Sinodo del Terzo Millennio (come fu chiamato e rimarrà negli Annali) aperto ufficialmente il 28 settembre 2003 nella cattedrale di Sovana gremita di fedeli e chiuso nella stessa il 22 marzo 2005, con la promulgazione da parte del Vescovo, Mario Meini, dei documenti sinodali. Fui scelto dal Vescovo e rientrai tra i laici da lui voluti per particolari competenze. In realtà, l’indizione del Sinodo c’era stata, sempre a Sovana, il 25 maggio 2002, con il decreto del Vescovo Mario a conclusione della visita pastorale che aveva fatto per molti mesi nella diocesi. A me, insieme ad un gruppo di amici (la sottocommissione VI), fu dato il compito di elaborare il documento sui Laici cristiani nella realtà socio politica, anche se in prima battuta eravamo intenzionati ad elaborare un documento sui Laici nella chiesa e nel mondo. Dal 10 ottobre 2003 al 21 gennaio 2005 si tennero 29 assemblee sinodali in aula a Pitigliano, composte da circa 130 persone, suddivise in quattro sessioni. Ricordo la meticolosità di quel lavoro: i singoli schemi furono dapprima discussi in maniera generale, poi letti e discussi articolo per articolo. Una volta approvati distintamente tutti gli articoli con voto palese per alzata di mano, ogni singolo documento fu messo a votazione segreta su apposite schede. Ne venne fuori un documento di buon livello e ancora oggi di grande attualità, ma la cosa più importante fu il cammino sinodale, tanto che il Vescovo Mario concluse con parole di speranza: “Non ho dubbi per il nostro futuro. Guardando la fedeltà e l’entusiasmo con cui la grande maggioranza dei sinodali ha portato a termine l’impegno assunto, sono certo che il Signore sta preparando un momento importante per la nostra Chiesa”.
Il rapporto con il Vescovo Mario fu veramente intenso, anche se la frequentazione non era assidua. La sua squisita persona rendeva facile la relazione. L’avevo accolto il giorno del suo ingresso a Pitigliano (29 ottobre 1996) come presidente della Provincia e avevo partecipato per quattro anni agli incontri che lui organizzava una volta all’anno con i sindaci della diocesi. Dal 2000 al 2010 ricorse al mio contributo intellettuale tutte le volte che desiderava elaborare materiale relativo ai laici cristiani e al contesto socio-politico. Lo offrii ben volentieri, perché erano le mie vere passioni. Detti un contributo alla elaborazione del documento Christifideles laici nella chiesa e nel mondo predisposto dal consiglio pastorale diocesano nel gennaio 2002, alla Esortazione del Vescovo a tutti i fedeli laici della diocesi del 19 settembre 2007 e alla riflessione Far tesoro della crisi del 23 novembre 2008.
Confesso di aver seguito, con discrezione, anche l’Azione Cattolica, sia per alimentare la mia formazione e spiritualità che per offrire, quando richiesto, qualche piccolo contributo. Mi piace ricordarne due: la relazione alla Scuola Associativa dell’AC diocesana su: L’Azione Cattolica conciliare, il 30 ottobre 2011; e l’introduzione all’Assemblea diocesana dell’AC di Grosseto dal titolo: È bello essere e fare Azione cattolica, il 14 aprile 2013. Mi furono estremamente utili per ripensare alla storia e all’attualità di questa associazione, da tempo purtroppo bistrattata all’interno della chiesa, ad iniziare dai sacerdoti, che invece dovrebbero farla germogliare e crescere con tutte le possibili attenzioni. Purtroppo non è così, un po’ per loro pigrizia un po’ per protagonismo. Nonostante ciò l’AC diocesana è viva e vegeta, perché il Signore le offre continuamente laici disponibili a sacrificarsi per essa, sia a livello diocesano che in alcune parrocchie. Ma la stragrande maggioranza di quest’ultime se ne frega. E fa male.
Insomma, ero tornato al casa e chiesa di un certo cattolicesimo del passato. Forse non del tutto.
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