lunedì 12 dicembre 2022

POST 95 – SEMPRE PIETRE IN FACCIA PRENDERAI

Il tavolo che mi aveva silurato puntò su Lio Scheggi. La mia battaglia contro la sclerosi della politica provinciale. Il vento di destra e la fifa dei DS. Tra me e Rifondazione erano possibili convergenze programmatiche, ma non furono cercate. I DS di potere. I miei errori politici


Eh sì, aveva proprio ragione il vecchio Antoine: “qualunque cosa fai, sempre pietre in faccia prenderai”.

Chiuso il mese di marzo 1999 con la mia forzata rinuncia alla candidatura, ciò che era chiaro da qualche mese emerse con evidenza in aprile. Bruciato l’eterno candidato Andreini, il coordinamento dei DS, presieduto dall’ex presidente Ciani che certo non mi aveva digerito, sfruttando l’aperta contrarietà alla mia persona dei responsabili grossetani di rifondazione e della responsabile dei verdi, ma di fatto anche dei segretari del partito repubblicano, socialista, patto Segni o come si chiamava, tutti partiti dello zero virgola – dopo un po’ di finti traccheggiamenti su alcuni candidati di area, “dal giovane presidente della Cna, Saimo Biliotti, al segretario Renzo Alessandri; da Casini della Confesercenti, a Massimo Frescucci della Cia” e di “Alessandro Capitani, portavoce dei democratici e presidente provinciale del Coni” (Bianca Zaccherotti, Scheggi-Capitani, candidati in pole position, Il Tirreno, 18.04.1999) – puntò diritto su Lio Scheggi, segretario provinciale della Cna.

Io sapevo da tempo che il candidato vero sarebbe stato Lio Scheggi soprattutto perché i DS volevano un loro uomo sicuro al vertice di una delle massime istituzioni locali, dopo aver perso, per responsabilità di un altro loro uomo e del vento che era cambiato, il comune di Grosseto. Se non volevano questo e, magari, avessero deciso di riconfermarmi, avrebbero trovato mille modi per convincere i recalcitranti alleati, compresa rifondazione.

Da quel tavolo non potevo uscire vivo, ecco perché chiesi le primarie. Volevo vedere come la pensava il popolo del centro-sinistra della provincia e non soltanto i dieci seduti al tavolo. Poi, magari altri sarebbero stati preferiti a me, ma la scelta sarebbe stata larga e diffusa. 


• In quel tentativo v’era il desiderio di scardinare la sclerosi che ormai da anni aveva aggredito la politica provinciale. Non essendo più il tempo che fu, quando le sezioni dei partiti di tutti i comuni e delle federazioni provinciali, unitamente alle associazioni di riferimento, dibattevano seriamente di politica, programmi e persone (poi magari erano sempre i capi bastone a orientare le decisioni), i partiti provinciali di quegli anni erano in mano a pochissime persone assolutamente autoreferenziali che non facevano nulla per coinvolgere la base nelle decisioni importanti. Anzi, meno rotture avevano e meglio era. Rispetto ad oggi era un’altra era geologica riguardo soprattutto ai social. Se avessi avuto a disposizione, io come altri, gli strumenti informatico-informativi odierni, con i quali raggiungere la stragrande maggioranza dei cittadini, allora la battaglia sarebbe stata veramente interessante e democratica. La tenaglia era dunque micidiale per chiunque avesse voluto condurre una battaglia politica innovativa e non asservita ai diktat dei capibastone. Decidevano tutelando quasi sempre i propri personali interessi, piccoli o grandi che fossero. Io, polemicamente, li chiamavo i quattro più quattro. Se andate a vedere le carriere di quasi tutti quei soggetti da quel momento in avanti – a parte chi aveva già avuto – li trovate tutti più o meno provvisoriamente ben collocati. Niente di male, s’intende, ma la politica che avevo in mente io era un’altra cosa.


• Oggettivamente il momento politico nazionale e locale era quello che era. La destra aveva il vento in poppa. Per la vittoria di Antichi, nel 1997, era sceso in campo anche Berlusconi e ricordo ancora – perché ero in ufficio che studiavo alcuni dossier e ascoltavo – una piazza Dante osannante agli slogan del Cavaliere. Nel marzo ’99 il ricordato sondaggio dava, su scala provinciale, al Polo il 41%, all’Ulivo il 26, all’Ulivo più Rifondazione il 12, il 16% di incerti e il 5 decisi a non votare per nessuno. E il confronto tra il 1996 e il 1999 anche sul voto proporzionale era sulla stessa lunghezza d’onda. Io ero comunque convinto che ce l’avremmo potuta fare, confidando nei risultati amministrativi e nel fatto che la provincia sarebbe stata più generosa di Grosseto. Anche se, per la verità, il sondaggio posizionava il Polo al 47 sull’Amiata e al 42 nella zona nord. Ma una cosa era il voto politico e un’altra quello amministrativo, dove contavano le cose fatte o non fatte e i candidati che si confrontavano.


• Comunque i Ds scelsero l’alleanza al primo turno con Rifondazione Comunista. Me lo confermò a posteriori una lettera del segretario dei Ds, Fabio Capitani, a metà giugno del 1999, quando io ero già uscito di scena, di cui riporto solo una parte: “Caro Stefano, sento anch’io il bisogno di ringraziarti. Il lavoro di questi ultimi quattro anni, di cui sei stato il principale artefice, insieme alla tua Giunta e al Gruppo Consiliare, è sicuramente uno degli elementi principali che hanno portato alla straordinaria affermazione del Centro Sinistra e di Lio Scheggi” (…). Rammenta poi il rammarico per essere stato giudicato, in un primo momento, come quello che aveva voluto azzerare un’esperienza innovativa per riportare la politica provinciale a logiche di prima repubblica, assicurando che “nessuno di quei propositi mi ha mai lontanamente sfiorato”. Anzi, sosteneva di aver lavorato proprio per valorizzare e dare continuità “nei modi possibili, al tuo impegno e a quello dei tuoi assessori”. Chiuse dicendo: “Sono purtroppo convinto che non ci sarebbe stata un’altra strada per far questo, rispetto a quella che alla fine è stata intrapresa”. 

Io ho sempre creduto alla parziale buona fede di Fabio, ma perché non chiamarmi, parlare, spiegare, chiarire? E magari discutere con me di candidature alternative alla mia, ma che si muovessero nella stessa direzione, come ad esempio, Mariella Gennai? La sua mancata candidatura mi dette la percezione che invece si volesse proprio creare una cesura con la nostra esperienza. Il fatto poi che Mariella sia stata nominata assessore nella giunta Scheggi, insieme a Pacciani, dipendeva solo dalla ragione che senza loro due non avrebbero saputo che pesci prendere riguardo a patto territoriale, zona nord e sviluppo rurale.


• Naturalmente un’altra strada c’era se mi si voleva ripresentare. Era quella di mettersi in prima battuta attorno a un tavolo io, Fabio Capitani e Salvatore Allocca a ragionare di programmi e di eventuali discontinuità da inserire, visto che Rc era stata all’opposizione (ragionando poi con l’intera coalizione e prevedendo le primarie). Considerando anche che Allocca, in un’intervista del febbraio 1999, aveva testualmente detto riguardo alla mia candidatura (che non aveva gradito in quanto non uscita dal tavolo comune): “Noi non poniamo veti, ma le nostre scelte saranno legate ai contenuti dei programmi e alla possibilità di partecipare alla loro effettiva realizzazione”. E riguardo ai programmi, aggiungeva: “Politica tariffaria e tributaria che sia in grado di sanare gli squilibri sociali che ci sono attualmente, problema occupazione, lotta al lavoro nero e sviluppo valorizzando le caratteristiche ambientali della Maremma, tenendo presente che l’ambiente è una risorsa e non una merce”. (Il nuovo o corriamo da soli, La Nazione, 26.02.1999).

Perbacco, a parte i tributi e le tariffe che erano un problema di più ampia scala, io ero stato il presidente che aveva sospeso il pagamento della Tosap a vantaggio delle aree agricole della provincia; indicato alla Rama di lottare contro il portoghesismo per far pagare tutti e quindi far pagare meno le persone oneste, oltre a dare impulso con il suo risanamento al traporto pubblico locale; che avevo fatto dell’occupazione la mia stella polare con risultati di un certo rilievo tanto che dal 1995 al 1999 la disoccupazione era calata e i risultati più importanti erano previsti per gli anni successivi; che avevo creduto e puntato sulla valorizzazione dell’ambiente della Maremma, istituendo 13 nuove riserve naturali, facendola così diventare la prima in Toscana, con 33.540 ettari di aree protette. Quanto al lavoro nero, non era certo una nostra competenza diretta. Dunque?

Se guardo poi alle dichiarazioni con le quali Allocca (consapevole, come disse, che “un accordo con i partiti che compongono la coalizione dell’Ulivo possa essere uno strumento utile a contrastare l’avanzata del centro-destra”) legittimava l’appoggio a Scheggi, da un punto di vista programmatico – “un’identità di vedute su un’azione amministrativa quali il sostegno all’occupazione, la necessità di privilegiare il trasporto pubblico, la volontà di procedere con celerità alle bonifiche, un impegno qualificato a favore dell’agricoltura, una netta opposizione all’inceneritore di Scarlino” (Sì di Rifondazione a Scheggi, La Nazione, 26.04.1999) – mi viene da ridere. Soprattutto pensando che, al di là di quello che sosteneva Barocci, c’eravamo impegnati con dedizione per far partire le bonifiche, eravamo quelli del Distretto Rurale d’Europa e proprio io ero, all’interno dell’amministrazione, il più deciso avversario dell’inceneritore. 

Sicuramente anche più di Scheggi e di altri Ds seduti al tavolo. 


• Come noto, il mio rapporto con rifondazione era sempre stato dialettico, ma rispettoso. Con i consiglieri provinciali Balducci e Sabatini fu sereno e specie con quest’ultimo proprio amichevole. Con Barocci fu più scintillante. D’altronde io ho bel caratterino, ma anche lui non scherzava. Tranquilli rapporti li avevo anche con altri simpatizzanti locali di rifondazione. L’unico momento di duro scontro dialettico tra me e l’accoppiata Rifondazione-Verdi, diventati una coppia di fatto, ci fu quando Raniero Amarugi e Catia Signorini dissero che il progetto di recupero della Diaccia Botrona (un’azione straordinaria di ripristino idraulico di quella eccezionale zona umida, recupero del degrado e realizzazione di infrastrutture per l’attività scientifica, dall’ingente costo di un miliardo e 650 milioni di lire) era frutto di “pressioni clientelari” e il consigliere verde Guido Ceccolini (eletto grazie alla mia vittoria) ci accusò di “asservimento ad interessi locali”. (Enrico Pizzi, Gentili: “Ceccolini? Ritratti oppure si dimetta”. Il presidente ha replicato a Verdi e Rifondazione comunista sul futuro dell’area umida, Il Tirreno, 6.10.1996). Ricordo, che mi incavolavo proprio quando ci accusavano di clientele, perché il clientelismo era il mio nemico giurato.


• Lio Scheggi era una persona con la quale avevo avuto buoni rapporti sia come assessore del comune di Grosseto che come presidente del Gal Maremma, quindi non avevo nulla da eccepire sulla sua candidatura. E, dopo tutto, così come io ero stato scelto dal tavolo di via Ximenes non ricandidando Ciani, anche Scheggi veniva scelto dallo stesso tavolo non ricandidando Gentili. Era la politica, bellezza. Certo, tra il 1995 e il 1999 era cambiato molto. Come detto, il ricorso alle primarie di coalizione sarebbe stata la scelta naturale per quelli dell’Ulivo (un po’ in disgrazia dopo la caduta di Prodi) e sarei stato disponibile ad essere sconfitto in quella competizione. Pace.

Ma, secondo il mio pensiero di allora, c’era di più. C’era trippa per gatti, specie dopo l’approvazione del patto territoriale con i suoi finanziamenti, il decollo del distretto rurale, la formazione professionale rinnovata che assegnava corsi alle agenzie formative. E, al di là delle belle teorie, gli amici Ds, sia pure con meno consensi del passato, erano ancora una robusta macchina di potere locale. Lo ricorderà, con grande spolvero e competenza, qualche anno dopo il giornalista Gabriele Baldanzi, “Cento nomi in due correnti. A una settimana dal congresso Ds abbiamo ricostruito la mappa della classe dirigente del primo partito in provincia di Grosseto, la vasta articolazione dei poteri all’interno del partito e nella società.” (La mappa del potere sotto la Quercia, Il Tirreno, 12.12.2004). Seguiva una disamina dettagliata con tanto di nomi e cognomi, articolati in ‘la federazione’, ‘correnti e mozioni’, ‘le cariche’, ‘giovani leoni’, ‘seggiole e poltrone’, ‘mal di pancia’, ‘cavalli di ritorno’, ‘eminenze grigie’, ‘gli ex segretari’, ‘professionalità vicine’, e  ‘simpatizzanti doc’. Un bel trattato di geo-politica locale.


• Naturalmente, durante la mia presidenza commisi diversi ‘errori politici’. 

① Il più rilevante dei quali fu quello di non creare una corrente politica a mia immagine e somiglianza all’interno del PPI, ma anche di non aver provato a fare scorribande all’interno del PDS poi DS, cosa che dalla mia posizione si poteva indubbiamente fare. E sbagliai.

② Li tenni a distanza di sicurezza e me la fecero pagare. In realtà anche all’interno dei popolari alcuni lavoravano contro di me: si erano sentiti usurpati dal curato di campagna quando fui scelto come candidato alla Provincia. E quando, scelto il candidato Scheggi, alcuni mi chiesero di fare una lista autonoma del PPI da me capeggiata, come aveva fatto Ciani nel ’95, rifiutai immediatamente, perché avendo lavorato ad una squadra nello spirito dell’Ulivo, mi interessava più il risultato dell’insieme che la mia carriera personale. Confesso che non credevo neppure alla loro sincerità. Non avevo da chiedere incarichi compensativi a nessuno, anche se qualcuno di area Ds, ritengo con amicizia, mi fece sapere di non preoccuparmi che qualche posto di riguardo per me sarebbe stato trovato. Anzi, mi sentii quasi offeso e tra me e me dissi: “non sono in vendita”. E sbagliai.

③ Pur facendo i naturali compromessi della vita politica, non assecondai l’appetito di alcuno, fosse della mia parte o della coalizione. E sbagliai.

④ Scelsi i membri della giunta nel pieno accordo che avevamo fatto nella fase pre-elettorale, ma con grande autonomia, puntando su persone di qualità, piuttosto che sui segnalati o gli imposti, se inadeguati. Chiesi al segretario dei Ds di non presentarmi vecchie volpi. E sbagliai.

⑤ Non creai, tra i dipendenti provinciali, il gruppo dei miei privilegiati come avevano fatto in passato, mettendo tutti sullo stesso piano. E sbagliai.

⑥ Non mi rapportai con i comuni secondo la loro colorazione politica, ma con tutti tenni i corretti rapporti istituzionali. Quando la polemica ci fu, non fu mai legata alla loro appartenenza. Polemizzai con Antichi sul Giubileo, con la Meozzi su alcune questioni dell’area nord, con Di Vincenzo quando dissi no alle circa quaranta varianti contenute nel suo piano regolatore ricadenti in zone ad altissimo rischio idrogeologico, col vice-sindaco di Pitigliano, Brinchi, sulla 74 Maremmana, con Benocci che mi chiamava a tutte le ore. Ma con lo stesso Antichi ci trovammo insieme in molte circostanze, per ultimo ricordo la firma dell’accordo di programma sul porto turistico di Marina, con Di Vincenzo per la questione Ospedale, il ponte di santa Liberata e molto altro, con i sindaci dell’Amiata per il Protocollo d’intesa sullo sviluppo, con il sindaco Petrucci per la sistemazione della strada del Fibbianello, con Benocci perché gli asfaltai tutte le strade provinciali bianche o dissestate del comune. E via dicendo. E sbagliai.

Sì, pensando alla mia carriera politica, sbagliai. Ma non pensavo a quella ed ero convinto di fare bene a mantenere la schiena diritta. E sbagliai perché magari negli anni successivi sarei andato in parlamento, in regione o a dirigere qualche ente para-pubblico o di area, oppure nel consiglio d’amministrazione di qualche banca. Sbagliai?












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